Adulti che apprendono

Adulti che apprendono

di Rita Manzara

La maggior parte dei cittadini ha una conoscenza molto superficiale delle Istituzioni che, nel quadro del sistema nazionale d’Istruzione, operano nella prospettiva dell’apprendimento permanente.

Un approfondimento in quest’ambito consentirebbe di abbandonare gradualmente alcuni schemi riduttivi e stereotipati di interpretazione del cosiddetto “apprendimento in età adulta”.

Nell’opinione comune quest’ultimo concetto sembra infatti destinato ad essere associato soprattutto ad interventi di contrasto all’analfabetismo “oltre l’età evolutiva” (quello – per usare un’immagine che la mia generazione più facilmente ricorda – associato alla trasmissione TV “Non è mai troppo tardi”). Una condizione che si connota come mancata acquisizione delle abilità di lettura e scrittura abitualmente conseguite dal minore attraverso la scolarizzazione.

Il pensiero immediatamente concatenato è quello relativo alla limitatezza del fenomeno.

Percezione errata: basti pensare che ogni anno, l’8 settembre, si celebra la “Giornata mondiale contro l’analfabetismo” che comprova il fatto che non sia scontata la garanzia per tutti del diritto fondamentale all’istruzione.

Inoltre, nel pensiero comune si tende a far coincidere il concetto di “analfabetismo” esclusivamente con la mancanza delle “competenze di base” descritta nel 1958 dall’UNESCO. In questo modo si può incorrere in errori, come quello di comprendere in questo contesto anche gli stranieri che non padroneggiano lo strumento linguistico, nonostante non possano (nella stragrande maggioranza delle situazioni) essere definiti “adulti analfabeti”.

In effetti, al giorno d’oggi il termine analfabetismo può essere esteso al mancato possesso di altre abilità che dovrebbero essere comunemente padroneggiate risultando indispensabili per la quotidianità.

Fortunatamente, c’è anche chi si sofferma a riflettere su aspetti che vanno al di là dell’analfabetismo primario: situazioni legate al mancato “uso” e successiva perdita delle competenze maturate al tempo della frequenza scolastica, ovvero alla mancanza – nell’età adulta –  di strumenti di partecipazione alla vita sociale (es. utilizzo delle procedure informatiche).

Non manca, infine, chi ritiene fondamentale il lavoro di “recupero in extremis” da offrire come opportunità ai ragazzi che – per svariati motivi sintetizzabili nel concetto generale di “disagio personale e sociale” –  pur non potendosi definire “analfabeti” risultano a rischio di dispersione (es. per pluriripetenze).

La panoramica sin qui condotta mette comunque in luce il fatto che la maggior parte delle persone (soprattutto i “non addetti ai lavori”) è portata a pensare in modo “slegato” alle varie attività promosse dalle Istituzioni che operano nella prospettiva dell’apprendimento permanente, non cogliendo l’identità di queste ultime.

Eppure, il primo degli obiettivi esplicitati nel Piano nazionale di “Garanzia delle competenze della popolazione adulta” promosso dal MIUR vi è quello di “Favorire e sostenere la partecipazione dei CPIA alla costruzione e al funzionamento delle reti territoriali per l’apprendimento permanente.”

Questo obiettivo non sarà raggiunto finché -come ebbe a dire nel 2019 l’allora ministro Lorenzo FIORAMONTI nella postfazione del volume “L’ISTRUZIONE DEGLI ADULTI IN ITALIA” (ed.  ETS)- mancherà la percezione del Centro Permanente di Istruzione degli Adulti (CPIA) in termini di “identità forte, come Istituzione Scolastica riconosciuta sul territorio”.

Le principali cause di questo fenomeno sono riconducibili, in sintesi, ad alcuni aspetti ben esplicitati nel rapporto pubblicato nel febbraio 2020 dall’INVALSI “SCOPRIRE I CENTRI PROVINCIALI PER L’ISTRUZIONE DEGLI ADULTI: CONTESTI, AMBIENTI, PROCESSI”.

I CPIA hanno una duplice connotazione: si configurano, cioè, sia come Istituzioni scolastiche sia come reti territoriali di servizio, in qualità di parte fondamentale delle “reti territoriali per l’apprendimento permanente” che costituiscono le strutture portanti del sistema dell’apprendimento permanente.

Il MIUR, nell’apposito spazio web dedicato a tali reti, le definisce comprensive dell’“insieme dei servizi di istruzione, formazione e lavoro collegati alle strategie per la crescita economica, l’accesso al lavoro dei giovani, la riforma del welfare, l’invecchiamento attivo, l’esercizio della cittadinanza attiva anche da parte degli immigrati.”

E’ appena il caso di sottolineare l’importanza dei percorsi evidenziati: una seria progettazione dei suddetti condurrebbe senz’altro ad un’evoluzione positiva dell’attuale assetto sociale.

In questo contesto, Il CPIA ha la titolarità di azioni fondamentali   quali l’accoglienza, l’orientamento e l’accompagnamento per la “presa in carico” della popolazione adulta.

Cosa significa “prendere in carico?” un adulto? La risposta – che risiede nelle dichiarazioni d’intento del MIUR – è la seguente: significa sostenerlo nella costruzione dei propri percorsi di apprendimento formale, non formale e informale, nel riconoscergli crediti formativi, nel certificare apprendimenti comunque acquisiti, nel consentirgli di fruire di servizi di orientamento lungo tutto il corso della vita.

Questi aspetti ci fanno comprendere meglio l’importanza cruciale dell’apprendimento permanente, in termini di percorsi di Life Long Learning che possono accompagnare ogni individuo lungo tutto l’arco della vita ponendo l’obiettivo di incrementare le conoscenze, le capacità e le competenze per la crescita personale, civica e sociale e professionale.

Tornando all’identità specifica dei CPIA, si può affermare che essiassolvono al compito di assicurare percorsi di primo livello e di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana, ma hanno anche la funzione di stipulare accordi di rete con le istituzioni scolastiche che erogano percorsi di secondo livello per gli adulti, raccordando questi ultimi a quelli di secondo livello. Hanno, inoltre, un ruolo formativo, cioè finalizzato all’ampliamento dell’offerta formativa ed infine (e questa è sicuramente una funzione sconosciuta ai più) sono sede di attività di ricerca sul tema dell’istruzione degli adulti.

Gli USR (e qui mi riferisco in particolare a quello del Friuli Venezia Giulia) hanno in questi giorni definito e comunicato ufficialmente gli obiettivi regionali che i Dirigenti dei C.P.I.A. sono tenuti a raggiungere a decorrere dall’a.s. 2021/22.

Si tratta di mettere in atto misure organizzative finalizzate non solo all’elaborazione e sperimentazione di un curricolo d’ Istituto organizzato per competenze, ma anche alla costituzione di un osservatorio provinciale sui bisogni formativi della popolazione adulta, in collaborazione con soggetti pubblici e privati del territorio di riferimento.

Importante è, inoltre, la garanzia del raggiungimento di una certificazione o un titolo di studio superiore a quello precedentemente posseduto da parte del maggior numero possibile di iscritti ai percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della Lingua italiana e a quelli di primo livello (primo e secondo periodo didattico), nonché la promozione di un “patto formativo individuale” da parte della totalità degli adulti frequentanti i percorsi scolastici in questione. Un “progetto di vita”, quindi, che può e deve decollare anche per coloro i quali –per svariate vicende personali – hanno deciso di prendere in mano il proprio futuro in una fase della propria esistenza non necessariamente compresa in una fase adolescenziale.