Alunni diversamente abili, alotolà alle ammissioni per sorteggio

da Il Sole 24 Ore

di Pietro Alessio Palumbo

Avere educazione ed istruzione come tutti gli altri è diritto fondamentale del disabile. Diritto che trova riconoscimento nella stessa Carta costituzionale e nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e ratificata dall’Italia nel 2009.

L’obiettivo primario della normativa in parola è assicurare le massime garanzie di parità dei bambini disabili all’interno della classe e del gruppo scolastico. Un diritto che a ben vedere assume natura individuale, ma anche sociale, dal momento che l’istruzione rappresenta uno dei fattori maggiormente incidenti sui rapporti dell’individuo e sulle sue possibilità di affermazione personale e professionale.

L’istruzione del disabile è quindi potente strumento anti-discriminatorio. Su queste coordinate il Tar di Palermo (sentenza 2107/2021) ha annullato gli atti di un liceo relativi alle operazioni di “sorteggio” dei minori disabili al fine di ammetterli nel numero massimo di uno per classe. Secondo il Tar siculo la disciplina regolamentare della scuola coinvolta comportava il paradosso per cui nell’obiettivo di esonerare dall’esame di ammissione gli alunni con disabilità dell’80%, apparentemente favorendoli rispetto agli altri alunni, invero ne produceva la discriminazione a causa del rigido limite numerico richiamato.

In altre parole l’assenza di una qualsivoglia fase selettiva, seppure adeguata alle specifiche esigenze dell’alunno disabile, comportava la sostanziale estromissione di quelli più sfortunati, non “estratti”. Così intesa, la normativa di tutela degli alunni con disabilità si traduceva in uno strumento volto a “penalizzare” gli studenti disabili, i quali invece devono avere la possibilità di partecipare alle prove di ammissione esattamente come tutti gli altri. Anzi dovrebbero essere esonerati solo se richiesto dal genitore. Diversamente, una previsione di esonero dalla prova, da misura di integrazione finirebbe per diventare di fatto, una misura di disuguaglianza se non persino di discriminazione.