Tempi certi e una nuova governance per la svolta

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Gavosto*

L’edilizia scolastica, con oltre 12 miliardi, domina gli investimenti in istruzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Anche se ristrutturare tutti i 40.000 edifici richiederebbe una spesa di oltre 200 miliardi, si tratta di una buona partenza di un percorso pluridecennale di rinnovamento del patrimonio edilizio della scuola.

Il Pnrr solleva, però, perplessità sia sull’impostazione generale degli interventi sia sulle modalità per realizzarli. Nel testo si parla ampiamente di sicurezza e sostenibilità, in particolare energetica, come linee guida per migliorare gli edifici scolastici; manca invece una visione su come li si vuole usare dal punto di vista didattico nei prossimi decenni. Sappiamo che l’organizzazione dello spazio influenza il modo di insegnare: la tradizionale struttura basata su aule, cattedre, banchi a schiera, corridoi – che tutti conosciamo – limita la possibilità di attuare didattiche diverse dalla tipica lezione frontale. Eppure non mancano in Italia esempi di architetture scolastiche che favoriscono scelte di insegnamento differenziate e flessibili. Anche sul piano pratico – un cantiere dura mesi, se non anni, e provoca disagi – non intervenire sugli ambienti di apprendimento, mentre si mette mano a sicurezza e sostenibilità degli edifici, sarebbe imperdonabile. Quando ci sarà un’altra occasione?

Anche su procedure e governance il Pnrr dice molto poco. A guidare sarà il ministero dell’Istruzione, che dovrà definire i criteri dei bandi. Come? Servirebbero valutazioni sulla qualità dei progetti e degli ambienti di apprendimento (ad esempio, premiando le amministrazioni che dimostrano di dialogare con le scuole, di attuare processi virtuosi per l’assegnazione degli incarichi), così da selezionare progetti realmente integrati nella sicurezza, nella sostenibilità e nella didattica.

Agli enti locali, proprietari degli edifici, tocca invece proporre i progetti e – in caso – curarne esecuzione e rendicontazione. Saranno in grado di farlo a tre condizioni. Primo, ricevendo dal centro regole più semplici e un supporto in materia di selezione e affidamento dei progetti. Secondo, acquisendo maggiori competenze in edilizia scolastica, che a molte difettano, anche attraverso una formazione specifica. Un ruolo meno defilato potrebbero qui avere le Regioni, che possiedono i dati sullo stato degli edifici, necessari a stabilire le priorità. Terzo, trovando modi e tempi giusti per coinvolgere le scuole e la comunità dei progettisti.

Serve, infine, un equilibrio fra un’impostazione top down, che porta a standardizzare gli interventi in tutto il Paese – con risparmi, ma poca attenzione alle esigenze del territorio – e una bottom up, che raccoglie le esigenze delle comunità scolastiche, ma è più difficile da realizzare, specie nei tempi del Pnrr: i lavori devono cominciare nel 2023 ed essere conclusi e rendicontati nel 2026. In ogni caso, priorità e procedure vanno definite ora. Altrimenti, si rischia che gli enti locali recuperino in fretta e furia progetti che giacciono da tempo nei cassetti, dando vita aun pot-pourri di interventi privo di visione e di organicità. Sprecheremmo un’occasione irripetibile per migliorare la qualità della nostra scuola.

  • Direttore Fondazione Agnelli