Primo limitare i danni

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Primo limitare i danni

di Maria Grazia Carnazzola

1. L’etica dell’autonomia.

“Una società può essere definita liquido-moderna se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure (…)”. Così Zigmunt Bauman in Vita liquida, pagg. VII – VIII.

Liquida evidentemente è la realtà in cui ci troviamo tutti, in cui si sono trovati ad operare docenti e dirigenti- e di riflesso allievi e famiglie- soprattutto negli ultimi due anni, ma non solo -e in cui si apprestano a continuare per un terzo anno rimpiangendo, forse, quella modernità solida, caratterizzata da rigidità ma anche da certezza, da sicurezza, finanche da ripetitività, come ha avuto modo di scrivere Mauro Magatti ormai un po’ di anni fa.

L’incertezza connota ormai il mondo della formazione e della scuola, con i danni presenti che conosciamo e quelli futuri di cui non sappiamo, incertezza che si cerca di mitigare con progetti e iniziative ministeriali che vengono presentati come certezze praticabili, mentre sappiamo bene che le previsioni infallibili sono ormai fuori dal nostro mondo. I fatti e le circostanze mutano con rapidità sempre maggiore: cambiano le modalità di fruizione del servizio; cambiano le condizioni degli allievi e quelle degli insegnanti; cambiano le situazioni di contesto, le prestazioni richieste; cambiano, anche se impercettibilmente, i rapporti tra Amministrazione centrale e le singole scuole incidendo sulla capacità progettuale e di risultato. O forse non c’entrano le nuove condizioni e la nuova “quotidianità”, ma c’entra piuttosto un’autonomia quasi mai esercitata, una flessibilità organizzativa e didattica quasi mai sperimentata, una ricerca angusta e povera. C’entra la logica dell’adempimento, regola di pensiero e di comportamento che, abbassando la tensione culturale e civica, attenua la percezione della necessaria condivisione delle responsabilità culturali e professionali, in un servizio fondamentale per il Paese.

2. Una scuola ancorata alla realtà.

La scuola pubblica ha come proprio fine la formazione degli allievi. Nel tempo il concetto di formazione si modifica in relazione ai bisogni sociali. L’obiettivo istituzionale rimane però lo stesso e la produttività di una scuola si misura in termini di esiti formativi, prima ancora che di qualità dei servizi. Ogni azione, ogni risorsa, ogni innovazione organizzativa ha senso per il contributo e per i saperi che offre a una formazione globale, alta, che risulti funzionale all’uomo e al cittadino nelle dimensioni sociali ed esistenziali. Una scuola che parte dall’analisi dei contesti di realtà e che assume la contemporaneità come campo di applicazione critica della conoscenza. E qui si pone un problema molto serio. Qual è la contemporaneità di cui parliamo? Quella della transizione ecologica e culturale di cui si dice nel Piano di RiGenerazione, quella che ci disegnano i media quotidianamente, in questo momento storico di estrema gravità, connotato da una crisi mondiale sanitaria, politica, economica, alimentare, sociale.  O ci occupiamo della realtà che sarà, sulla base di quanto indicato nel PNRR? Dobbiamo dirci con chiarezza e spassionatamente che le evidenze di qualsiasi cambiamento nel nostro modo di vivere, di curarci, di alimentarci, di spostarci e di rapportarci con l’ambiente saranno visibili dopo anni- alcuni prima, altri dopo-  ma nessuno sarà immediato.  Se le cose stanno così, bisognerà attrezzarsi perché in attesa di quei cambiamenti, bisogna continuare a vivere, anche con il virus, che sia questo o un altro. Vale anche per la scuola: se le innovazioni produrranno cambiamenti sul medio/lungo periodo ,bisognerà riflettere sul cosa fare per contenere i danni nel presente e pensare al futuro… Magari prendendo spunto da quanto Edgar Morin scrive nel suo ultimo libro “Cambiamo strada”, dopo aver riletto con attenzione quello che aveva scritto ne “I sette saperi”.

Senza dubbio ogni “oggetto” della vita della scuola è un potenziale elemento di progettazione e di miglioramento, consapevoli che a volte, e in certe situazioni, “miglioramento” può significare semplicemente cercare di mantenere i livelli qualitativi raggiunti. Indico alcuni di questi “oggetti” a titolo di esempio: il curricolo di scuola, la qualità della didattica, il sistema di valutazione, l’ampliamento dell’offerta, l’organizzazione dei tempi e degli spazi, la comunicazione e le relazioni, l’inclusione… contestualizzando e finalizzando l’analisi dei bisogni, gli obiettivi, i contenuti, i risultati attesi, le situazioni di apprendimento per una futura interazione con i contesti di lavoro, di studio e di cittadinanza. Non è certo facile, per una scuola abituata da decenni a concentrarsi sugli obiettivi minimi- pensando di produrre motivazione allo studio e risultati soddisfacenti- riuscire a limitare i danni che la contingenza attuale può produrre, aggravando una situazione già critica, e nel contempo iniziare il percorso verso un profilo elevato, un sapere scientifico e critico.  Le emergenze dell’oggi e del domani richiedono con urgenza una formazione globale, funzionale, alta come si accenna nel PNRR, attraverso una ricerca che permetta di dare a ciascuno il suo, ma di dare a tutti. Perché una scuola non è democratica e inclusiva se permette a tutti di entrare, è democratica e inclusiva se permette a ciascuno di uscire con un bagaglio di conoscenze, abilità, competenze e atteggiamenti nella misura massima che le caratteristiche personali gli consentono. In questo senso la didattica si connota come un’attività intellettuale ad alto contenuto scientifico, morale e politico. Un focus strategico di cui ciascuna scuola deve rispondere.

3. La funzione termostatica.

 Una rinnovata riflessione pedagogica sul concetto di “funzione termostatica dell’istruzione”, proposto ormai molti anni fa da Neil Postman, sarebbe opportuna per contrastare gli effetti-  forse inversi rispetto agli intenti, gli squilibri e le contraddizioni  legate alla povertà di indicazioni e di strumenti che arrivano  dal centro. Alla scuola vengono affidate deleghe sempre più ampie, compiti improbabili che la fanno assomigliare sempre più a un bastimento senza rotta e che la portano a potenziare e ad assumere gli squilibri dell’ambiente, a correre con tutte le forze per ritrovarsi esattamente allo stesso posto. Per contrastare questo rischio serve puntare sulla capacità di attivare processi permanenti di progettazione  per tutti gli aspetti della vita scolastica, puntando sulla condivisione degli obiettivi, la convergenza delle azioni, la gestione strategica dei processi , su una cultura  condivisa della valutazione, intesa come momento strutturale della progettazione, finalizzate a far acquisire agli allievi la padronanza degli strumenti tecnici; degli strumenti culturali; degli atteggiamenti, dei valori, delle visioni; dei comportamenti e delle abilità sociali. In attesa degli esiti conseguenti alle azioni previste a livello ministeriale per l’innovazione del sistema scuola, occorre da subito alzare il livello dell’asticella perché- come sostiene B. Vertecchi “…lo standard o il livello minimo finiscono con l’assumere valore regolativo ai fini della programmazione della proposta didattica (…)se il criterio tende verso il basso, è molto probabile che la distribuzione dei risultati si riassesti attorno alla soglia attesa. La dinamica ribassista dovrebbe essere ribaltata capovolgendo l’impostazione dei criteri di adeguatezza(…) si dovrebbe procedere al rialzo, alzando il livello dell’asticella che funge da criterio con l’effetto di orientare l’attività delle scuole al raggiungimento del traguardo indicato. Alle difficoltà della parte degli allievi che si caratterizzano per particolari condizioni sociali o cognitive occorre trovare soluzioni specifiche che non comportino l’abbassamento della soglia attesa.” L’obiettivo è quello di offrire ai giovani gli strumenti per la costruzione di identità forti e di personali sistemi di valori dove le libertà e i diritti siano funzionali alle mete da raggiungere. Una scuola orientativa, quindi, capace di offrire una immagine chiara e una conoscenza approfondita della realtà sociale e di sé, che permetta di decidere in merito al proprio progetto di vita e al proprio posto nel mondo, una scuola che non costringa alla responsabilità, ma che insegni a vedere nella responsabilità un interesse e un guadagno per tutti. Per orientarsi e agire consapevolmente tutte le abilità strumentali, cognitive, metacognitive, affettive e sociali agiscono unitariamente, ma alcune sono particolarmente rilevanti, ad esempio: individuare e risolvere problemi, saper scegliere,  valutare secondo criteri,  porsi e porre domande,  progettare, esercitare il pensiero analitico/argomentativo, ragionare in avanti e indietro, pensare con gli altri, pensare con la tecnologia, porsi un obiettivo e affrontare la fatica di raggiungerlo, comprendere l’inevitabilità dell’errore,  comprendere che ci sono sistemi troppo complessi per essere pienamente conosciuti- come ad esempio il cervello umano-, verificare la comprensione distinguendo i fatti dalla narrazione…. Affrontare il problema della manipolazione dei dati nella comunicazione mediatica o sottolineare che interesse non è sinonimo di impegno o, ancora, che si possono dire cose giuste per motivi sbagliati nelle strategie di comunicazione, o delle responsabilità della scienza ad esempio quando sembra che  individui un problema per negarlo, vanno tutti nel senso della costruzione di quel pensiero critico di cui tanto si dice. Chiarire i concetti è necessario perché i concetti sono costrutti ordinatori. 

4. Orientamento, nuovo paradigma dell’educazione.

I 17 obiettivi dell’Agenda 2030, richiamati anche dal piano di RiGenerazione, rimangono obiettivi astratti: quali i percorsi per renderli azione concreta per orientare al cambiamento, con quali risultati attesi in una visione globale e complessa che veda strutturalmente le condizioni e le condizionalità. Non si tratta solo di soldi qui o lì, ma di chiarire il perché e a quali condizioni, con quali controlli (monitoraggi, verifiche, valutazioni), analizzando ciò che non funziona partendo da quello che funziona, coordinando la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale. Dewey (cito a memoria) riteneva che quando si tratta di perdite, guadagno e investimenti bisogna imparare da quello che c’è intorno.  

I giovani, quelli che sono ancora nella scuola o nell’università, si troveranno ad affrontare il problema del lavoro per cui, con loro, una riflessione su equilibrio del mercato/equilibrio sociale, sulla differenza esistente tra i possibili errori di valutazione e su quelli riconducibili ai rapporti di forza deve doverosamente essere fatta.  Quando si parla di cambiamento bisogna che si consideri il contesto in cui questo avviene o si auspica avvenga: il cambiamento può avvenire attraverso la redistribuzione della ricchezza o il bilanciamento delle opportunità. Insegnare a investire in opportunità e non solo in spesa è fondamentale, pensando a progetti che creino e organizzino servizi, delineando nuovi modelli di produttività e di lavoro e incentivando processi di empowerment. Così come ritengo necessaria una riflessione sui diritti politici, civili e sociali: perché si parla molto dei diritti civili e meno di quelli sociali? Forse perché i diritti civili sono meno costosi di quelli sociali. Com’è il modo di concepire la scuola e quale il modello di scuola, magari rileggendo qualche passaggio del libro Cuore, per riflettere sulla condivisione dello spazio fisico (senso civico), sul ruolo della tecnologia che non è sempre benevola, anzi a volte è limitante, anche se attraverso la tecnologia possiamo seguire lezioni che si tengono nel mondo, e riflettendo- ora che pare si torni in presenza- sulla possibilità di giocare altri ruoli uscendo di casa, magari in auto dopo aver approfondito i danni del cambiamento climatico. 

5. Concludendo…

Per concludere, richiamo l’attenzione sulla necessità di limitare i danni in attesa dei cambiamenti auspicati in relazione all’attuazione del PNRR e dei progetti che al piano fanno riferimento, richiamando anche, e in primo luogo, la differenza esistente tra piano e progetto. Per farlo credo, come adulti – qualsiasi ruolo ricopriamo o funzione esercitiamo-, dobbiamo smettere di protestare molto e di agire poco, magari imparando a usare il linguaggio in ottica performativa e non solo constativa, per dirla con J.L. Austin.  Le scelte che si fanno oggi, anche nel settore della formazione, condizioneranno pesantemente la sostenibilità sociale di domani. I ritardi sono difficili da colmare (lo dimostra bene la vicenda dell’attacco hacker contro la sanità del Lazio), ma necessariamente si deve partire da quello che c’è scegliendo tra “è tutto da rifare” e “ricomincio da tre”. Prendere atto dei ritardi e di ciò che non funziona porta sofferenza, ma non possiamo continuare a vivere in un mondo dove tutto- come dice Chul Han- è spinta al conformismo e al consenso, dove il dolore non ha cittadinanza e per tutto c’è un analgesico, dove tutto diventa un palliativo: la politica, la scuola, la società del like tutta, dove la spinta al consumo, anche della cultura, è evidente e dove “la preoccupazione per la buona vita si contrappone alla sopravvivenza”. Partire da quello che c’è per limitare i danni significa anche questo. 

BIBLIOGRAFIA

Baumann Zigmunt, Vita  Liquida,Laterza, Bari 2006

Morin Edgar, Cambiamo strada- le 15 lezioni del coronavirus,Raffaello Cortina, Milano 2020;

Morin Edgar, I sette saperi necessari alla formazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano 2001;

Postman Neil, Ecologia dei media, Armando 2019,

Vertecchi B., Manuale della valutazione, Franco Angeli 2010; Austin J.L., Come fare cose con le parole, Marietti, Bologna 2019;

Chul Han B., La società senza dolore, Einaudi, Torino 2021.