A. Cecconi, Teresa degli oracoli

Arianna Cecconi tra le pene dell’anima

di Antonio Stanca

La Feltrinelli ha pubblicato, l’anno scorso nella serie “I Narratori”, quest’anno nella “Universale Economica”, il romanzo Teresa degli oracoli di Arianna Cecconi. Di professione antropologa, la Cecconi lavora tra la Francia e l’Italia: è ricercatrice presso l’École des hautes études en sciences sociales e insegna Antropologia delle religioni all’Università di Milano Bicocca. S’impegna pure in attività di formazione presso scuole, centri sociali e lavora alla radio e al teatro.

   In Teresa degli oracoli si manifesta, come altre volte, quella sua tendenza a creare situazioni, a svolgere vicende che comprendono anche elementi immaginari, che coinvolgono forze occulte, misteriose e che dai protagonisti sono credute, accettate. Convinti sono essi dell’esistenza, del valore, della funzione di tali presenze arcane, non ne dubitano nonostante, come in questo romanzo, i loro non siano tempi, ambienti del passato più lontano, ma moderni, attuali.

   Di quell’animismo che studia la Cecconi ha fatto una nota, un aspetto della sua narrativa. Di anime invisibili, che possono diventare visibili, l’ha popolata, di spiriti che intervengono nella vita quotidiana, nella realtà delle persone, delle famiglie, della società.

    Una famiglia è la protagonista di Teresa degli oracoli, una famiglia che vive in un paese della Pianura Padana, nella “casa del fico”, dove da tempo si è trasferita dalla Cascina Benvenuta, dalla campagna. Era stata una grande famiglia, con molti parenti sia da parte di Teresa che del marito Antonio. Ma con gli anni si era ristretta poiché deceduti erano parecchi componenti e lontani erano rimasti altri dopo il trasferimento in paese. Qui Teresa stava con le figlie Irene e Flora, una cugina, Rusì, una domestica peruviana, Pilar, e una nipote, Nina, figlia di Irene. E’ ormai molto invecchiata e i tempi del romanzo sono quelli degli ultimi giorni della sua vita. Era caduta in letargo da anni ed ora che il medico l’aveva detta prossima alla morte, i familiari l’avevano trasferita col suo letto nella sala centrale della casa e la vegliavano in continuazione, giorno e notte. Quella morte preannunciata, però, tarderà ad arrivare, ci vorranno parecchi giorni durante i quali la scrittrice si soffermerà a ricostruire, anche se tramite i discorsi non sempre chiari, ordinati di quelle persone, il passato della famiglia, dei genitori e il loro, i tempi, i luoghi che le hanno viste nascere, crescere, diventare adulte, le loro esperienze, la loro vita. Delle due figlie ancora giovani, ancora belle, Irene e Flora, nessuna si era completamente realizzata tramite un lavoro, una famiglia: Irene aveva avuto Nina da uno straniero che l’aveva abbandonata, Flora era anche lei reduce da una triste storia d’amore, ne era rimasta segnata per sempre. Rusì non era mai stata completamente voluta da un uomo ed ora, vecchia, si era dedicata esclusivamente alla religione. Pilar aveva lasciato due figli nel Perù e accettato di lavorare in Italia per poterli mantenere. Di antiche conoscenze, credenze, sentenze, di un’antica morale, quella della sua terra, è depositaria e ad ogni occasione la proclama ai suoi padroni.  Nina, una bella ragazza, lavorava alla radio ma non ne era molto convinta e così dei suoi rapporti con Gabriele che era venuto dopo Nicola. La stessa Teresa proveniva da un’esperienza matrimoniale infelice e da un adulterio commesso col cognato dal quale era nata Irene.

   Difficile, complicato, tortuoso era stato per ognuna il cammino. Non se n’era mai parlato, tutto era rimasto segreto ed ora stava emergendo anche se tramite accenni, allusioni, mezze rivelazioni, mezze verità, mezzi discorsi. E’ la parte dell’opera dove c’è spazio per quelle presenze misteriose delle quali si diceva, per quei fantasmi del passato che sta venendo a galla, per quelle immagini, quelle visioni che non sono mai completamente scomparse dalla mente di quelle donne. Le inseguono, le agitano, le tormentano nell’anima e nel corpo, mostrano come anche una famiglia tra le tante possa diventare vittima di simili travagli, di così gravi problemi, come non riesca a liberarsi.

   Non manca l’aspetto ironico nella narrazione ma quel che più preme alla Cecconi è far risaltare le pene di tante anime, l’inquietudine, l’angoscia che le perseguita e che neanche di fronte all’imminente morte di una di loro accenna a ridursi. Diventa anzi, quella morte, l’occasione per dire, per sapere di tutti e di tutto.    Un romanzo abilmente costruito, combinato, chiaramente esposto. Fino alla fine non smette di incuriosire, di attirare ché in un lungo racconto si trasforma, in uno di quelli che si vogliono ascoltare.