Prime considerazioni sulla certificazione verde COVID-19 in ambito scolastico

Francesco G. Nuzzaci

I

Il decreto legge n. 111 del 6 agosto 2021 detta nell’articolo 1 disposizioni urgenti per l’anno scolastico 2021/2022 e misure per prevenire il contagio da SARS-CoV-2 nelle istituzioni del sistema nazionale di istruzione (oltre che nelle università).

In particolare – perché di questo ci occuperemo – inserisce, nel sesto dei dodici commi di cui si compone, l’articolo 9-ter nel decreto legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87: rubricato “Impiego delle certificazioni verdi Covid-19 in ambito scolastico e universitario”.

In stretta sintesi, è statuito che:

1. Dall’1 settembre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, cessazione dello stato di emergenza, tutto il personale della scuola deve possedere ed è tenuto a esibire la certificazione verde Covid-19; diversamente risultando assente ingiustificato e dal quinto giorno incorrendo nella sospensione del rapporto di lavoro con conseguente mancata retribuzione o altro emolumento comunque denominato: tranne che non si tratti di soggetti esentati dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti nella circolare del Ministero della salute, appena emanata con n. prot. 35309 del 04.08.2021.

2. I dirigenti scolastici devono verificare il rispetto delle prescrizioni, secondo le modalità indicate con apposito D.P.C.M. e potendo altresì il Ministero dell’istruzione, con circolare, stabilirne di ulteriori.

3. Il mancato rispetto delle disposizioni “di cui ai commi 1 e 4” (dell’interpolato art. 9-ter del D. L. 52/2021: ante) – vale a dire: sia per il personale della scuola che non possegga il certificato verde e/o che non lo esibisca, sia per il dirigente scolastico che ometta le verifiche – comporta comunque l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, con loro raddoppio in caso di reiterazione, ex art. 4 del D.L. n. 19 del 25 marzo 2020 (convertito dalla legge n. 35 del 22 maggio 2020) e fermo quanto previsto dall’art. 2, comma 2-bis del D. L. n. 33 del 16 maggio 2020 (convertito dalla legge n. 74 del 14 luglio 2020).

Sono dunque occorsi due tempi supplementari, ma alla fine il presidente Draghi, acquisendo l’unanimità del Governo, ha allineato la scuola alle generali prescrizioni del decreto legge n. 105 del 23 luglio 2021, richiedenti il possesso e l’esibizione della certificazione verde (c.d. Green pass) per poter svolgere una serie di attività o per accedervi, quali servizi di ristorazione al chiuso, spettacoli aperti al pubblico o eventi e competizioni sportive, visite a musei o mostre o ad altri istituti e luoghi di cultura, ingresso a piscine o palestre o centri sportivi al chiuso, così come per sagre o fiere o convegni e congressi o attività di sale da gioco et similia, ovvero per i centri culturali o sociali o ricreativi, infine per la partecipazione a concorsi pubblici.

La strategia della spinta gentile del ministro Bianchi, con il suo appello al senso etico, è così traguardata in quello che giuridicamente è un onere, ma nella sostanza un obbligo indiretto o implicito: beninteso, intendendo qui mettere in chiaro che un più radicale obbligo espresso avrebbe avuto piena legittimità, secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 5/2018 e richiamo dei propri precedenti 258/1994, 118/1996, 49/2009); perché la libertà “sacra e inviolabile” del singolo (che si appella al primo comma dell’articolo 32 Cost., contro imposizioni dello Stato in materia sanitaria) non consente di mettere a rischio la salute degli altri (come è scritto nel secondo comma, bellamente ignorato), per giunta senza avvisarli e pure pretendendo che lo status di non vaccinato non sia reso noto, allegandosi – a sproposito, con una lettura (se mai ci sia stata!) parziale e decontestualizzata – la normativa sulla privacy. Prendendo in prestito un’incisiva metafora attribuita al grande filosofo della scienza Karl Popper, la libertà di muovere il tuo pugno finisce dove inizia il mio naso.

II

I riferiti strumenti attuativi dovrebbe vedere la luce subito dopo Ferragosto. E perciò non sussistono  i tempi e neanche, ci pare, le procedure istituzionali per un’ipotetica interlocuzione con le sigle sindacali che hanno levato un coro di proteste contro “decisioni frettolose, radicali e inadeguate a cogliere la complessità delle situazioni”,  stigmatizzando “l’incursione del Governo” in materie inerenti il rapporto di lavoro, “che complica il percorso verso possibili soluzioni condivise” (dal documento congiunto La scuola non si riapre per decreto, in www.cislscuola.it dell’11 agosto 2021).

Se poi – sull’onda emotiva che sembra montare, prontamente cavalcata da politici di lotta e di governo – si volesse in radice contrastare il contenuto del decreto legge, l’unica via sarebbe quella di richiedere audizioni in seno alle competenti commissioni parlamentari nel corso dell’iter della sua conversione. Che dovrà avvenire entro il 5 ottobre p.v., quando, per così dire, i giochi sono già bell’e fatti!

Tal che, al momento, si può solo sperare che il decreto governativo e, più ancora, la circolare del Ministero dell’istruzione, in luogo di chiarire alcuni passaggi della norma primaria e indicare sostenibili modalità applicative, non sortiscano invece effetti confusivi, con un misto di reticenze e di gravami ultra legem.

Il riferimento è qui ai dirigenti scolastici, che alle introdotte cogenti disposizioni di legge devono comunque ottemperare, al cui riguardo vorremmo esprimere alcune considerazioni, seguendo un ordine logico.

1. Banalmente, dovendo essi corrispondere a un obbligo legale, nessuna titubanza possono nutrire perché nulla hanno da temere sotto il profilo giuridico (e quindi delle diverse e concorrenti responsabilità), a fronte di diffide – già circolanti su modelli prestampati e che non meritano neanche una risposta di cortesia – con tanto di “costituzione in mora e riserva di ogni azione per danni cagionati e cagionandi alla (mia) professione e alla (mia) vita socio-relazionale e familiare,… con ulteriore riserva di azione penale per abuso d’ufficio e palese restrizione dei diritti inviolabili dell’uomo, tra cui e non solo quelli alla libertà e alla salute”.

2. Quanto alla (presunta) violazione della privacy – che di certo sarà anche tirata in ballo – la stessa è qui insussistente in radice, poiché è la legge che rende lecito, in automatico e senza il consenso dell’interessato, l’accesso ai dati personali, sensibili e ultrasensibili: ovviamente con l’accortezza di trattarli secondo i canoni della pertinenza, non eccedenza, essenzialità, sul punto fornendosi una mera informativa; vale a dire in misura strettamente funzionale all’obbligo datoriale di tutelare la salute e garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro dei dipendenti, ex articolo 2087 del codice civile, alla di cui lettera “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”;oltre che alle specificazioni figuranti nel D. Lgs. 81/2008, Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro.

3. Riguardo la configurazione di assenza ingiustificata del personale non in possesso del certificato verde e/o che si rifiuta di esibirlo (presumibilmente per essere registrato e acquisito agli atti), non sembra possa essa essere compresa e assorbita nelle fattispecie disciplinari regolate dall’articolo 55 sgg. Del D. Lgs. 165/2001 e successive modifiche e integrazioni, rivestendo ex litteris una distinta e autonoma natura amministrativa, contenuta in una norma di pari grado nella gerarchia delle fonti, quindi prevalente ratione temporis e, più ancora pensiamo, perché dotata del carattere di specialità.

Si consideri che, se pure per i primi quattro giorni il personale renitente conserva lo stipendio senza il corrispettivo della prestazione, la sanzione amministrativa minima di 400 euro assume anche effetti compensatori, riversandosi l’introito nella disponibilità dell’erario per l’incremento dei fondi necessari alla retribuzione dei supplenti sostituti (ex art. 1, comma 6 del decreto legge in discorso, introduttivo dell’art. 9-ter del D. L. 52/2021, cit.). Nel mentre dal quinto giorno di assenza, e già comminata la predetta sanzione amministrativa, subentra la sospensione del rapporto di lavoro e di ogni tipologia di retribuzione.

E tanto dovrebbe bastare, salvo smentita dai preannunciati provvedimenti amministrativi di attuazione.

4. Per quanto concerne i soggetti chiamati ad attivare le procedure sanzionatorie, non dovrebbe revocarsi in dubbio che essi siano il direttore generale dell’USR nei confronti dei dirigenti scolastici omissivi, siccome datore di lavoro quale ufficio territoriale del Ministero; e questi ultimi, parimenti nella qualità di datori di lavoro, nei confronti del dipendente personale dell’istituzione scolastica.

D’altronde, trattandosi qui di sanzioni fisse, non sussistono quelle esigenze di garanzia e di personalizzazione, proprie invece dei procedimenti disciplinari.

S’intende, sempre salvo smentita degli appena menzionati provvedimenti attuativi.

Sempre salvo espressa smentita degli appena menzionati provvedimenti attuativi.