Ricorsi a futura memoria contro il Green Pass

Francesco G. Nuzzaci

1. Non pensavamo davvero di dover intervenire sull’argomento a così breve distanza, giusto una settimana, da quando questa stessa rivista ha pubblicato il nostro contributo dal titolo Prime considerazioni sulla certificazione verde COVID 19 in ambito scolastico. Ma l’iniziativa di alcune sigle sindacali di promuovere due collegati ricorsi contro il decreto-legge n. 111 del 6 agosto 2021, nel punto in cui ne introduce l’obbligo per l’accesso del personale della scuola nei luoghi di lavoro, costituisce una sollecitazione che non si può non cogliere. Perché, a quanto abbiamo letto sui rispettivi siti, sono ricorsi, più che privi di fondamento, del tutto pretestuosi. E potrebbe dirsi, ricorsi a futura memoria.

Le disposizioni contestate del predetto decreto sono quelle contenute nel suo articolo 1, comma 6; che il Lettore conosce per averle noi già schematizzate nei termini che seguono. Vale a dire:

a) dal primo settembre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, cessazione dello stato di emergenza, tutto il personale della scuola deve possedere ed è tenuto a esibire la certificazione verde COVID 19, diversamente risultando assente ingiustificato e dal quinto giorno incorrendo nella sospensione del rapporto di lavoro con conseguente mancata retribuzione o altro emolumento come che sia denominato, tranne che non si tratti di soggetti esentati dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti nella circolare del Ministero della salute con n. prot. 35309 del 04.08.2021;

b) i dirigenti scolastici devono verificare il rispetto delle prescrizioni, secondo le modalità indicate con apposito D.P.C.M. ed eventualmente potendo il Ministero dell’istruzione, con circolare, stabilirne di ulteriori;

c) il loro mancato rispetto – sia per il personale della scuola che non possegga il certificato verde e/o che non lo esibisca, sia per il dirigente scolastico che ometta le verifiche – comporta comunque l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, da 400 a 1.000 euro.

2. Orbene, con il primo ricorso sarà domandato al giudice amministrativoun provvedimento monocratico inaudita altera parte, allegandosi la massima urgenza, perché annulli le impugnate disposizioni di legge “a ridosso dell’inizio dell’anno scolastico”, magari rientrando precipitosamente dalle ferie; con l’altro ci si rivolgerà all’altrettanto eroico giudice ordinario per ottenere una non meno immediata ordinanza interinale “contro l’azione discriminatoria e per i relativi risarcimenti”.

Potranno indistintamente aderirvi – entro il 23 agosto – docenti e ATA che non intendono vaccinarsi “contro l’azione discriminante in atto” e i dirigenti scolastici, loro controparte datoriale, che pure dovranno effettuare i controlli e infliggere le sanzioni, perché ciò “aumenta notevolmente il carico di lavoro e soprattutto le responsabilità”.

Che i due contestuali ricorsi – dicevamo –  siano del tutto pretestuosi, vieppiù nella richiesta attivazione di strumenti processuali della più celere tutela, lo si può affermare alla luce di elementari considerazioni, rispettivamente d’indole tecnica e attinenti alle ragioni di merito (se mai al merito ci si dovesse arrivare).

3. Per il primo aspetto, dai giudici – amministrativo e ordinario – si vuole (non l’annullamento, non avendo essi questo potere, ma) la disapplicazione del decreto-legge poiché in contrasto con il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, n. 953 del 14 giugno 2021.

E lo si vuole – mette conto rimarcarlo –  quando le sue censurate norme non sono ancora in vigore; e a poco più di dieci giorni dal primo settembre non risultando neanche emanato il D.P.C.M. che deve dettarne le modalità di attuazione, cui altre può aggiungerne la facoltizzata circolare del Ministero dell’istruzione, che al momento ha diffuso un’anomala nota (prot. n. 1237 del 13 agosto 2021) a firma del capodipartimento dr. Versari, qualificata parere tecnico e d’incerta decifrazione, ad ogni modo privo di qualsivoglia valenza giuridica, nella sostanza essendo null’altro che una mera raccomandazione o un, per molti versi alquanto discutibile, consiglio.

Non si comprende poi quali possano essere i soggetti legittimati a ricorrere per censurare un atto avente forza di legge “a ridosso dell’inizio dell’anno scolastico”, se non c’è alcuna richiesta ai virtuali renitenti di esibire la certificazione verde e ovviamente non possono esserci i conseguenti provvedimenti sanzionatori del dirigente scolastico (se non dall’inizio – e quindi oltre il ridosso – del nuovo anno scolastico 2021/2022), e in assenza dei quali il giudizio non può semplicemente instaurarsi perché nessuno è stato inciso nella propria sfera giuridica; che – come dovrebbe esser noto – è il presupposto di qualsivoglia ricorso.

Del pari, nel momento in cui il giudice ordinario sarà adito e in tempo utile per ottenere una pronuncia urgentissima, sempre “a ridosso dell’inizio dell’anno scolastico”, quale “azione discriminatoria” potrebbe essere accertata e quali “danni” dovrebbero essere risarciti se ancora – per l’appunto – nessun provvedimento pregiudizievole è stato prodotto dall’Amministrazione?

Dunque, quale periculum in mora, che – accanto al coessenziale fumus boni iuris – giustifica ogni procedura d’urgenza, può mai esserci, atteso che il risarcimento dei futuribili danni patrimoniali (perché altre tipologie di danno non sarebbero ragionevolmente prefigurabili, né sembrano essere state prenotate) sarebbe tranquillamente garantito, inclusi in automatico gl’interessi legali, da un’ordinaria favorevole sentenza di merito?

4. E proprio nel merito, a significare l’inconsistenza del ricorso, va anzitutto chiarito che il regolamento europeo, che si assume violato, concerne la definizione di un quadro di riferimento per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione al COVID 19, al fine di agevolare la libera circolazione delle persone nel territorio degli Stati membri; per la revoca graduale, sempre in modo coordinato, delle inerenti restrizioni adottate in esito all’andamento della pandemia; per il rispetto del trattamento dei dati personali necessari al rilascio del certificato e delle occorrenti informazioni per la verifica e la comprova della sua autenticità e validità, ovviamente nel pieno rispetto dei canoni di pertinenza, non eccedenza, essenzialità (articolo 1 del regolamento).

Nell’ambito dello specifico oggetto appena riassunto, e in cui i vocaboli ricorrenti sono dovrebbero o potrebbero, gli Stati membri restano ben legittimati nell’adottare misure limitative della libera circolazione delle persone – perché solo di questo ci si occupa – per motivi di sanità pubblica, ma avendo cura che siano proporzionate, non ridondanti, circoscritte nel tempo (articolo 11, comma 2 e, tra i tanti, i considerato n. 6, n. 12, n. 13, n. 29).

Dovrebbe pertanto risultare chiaro che il richiamo del regolamento europeo, se non lo si è volutamente frainteso, è quantomeno forzato, in particolare nell’appiglio fornito dal considerato n. 36 (dopo la sua rettifica, in GUUE L 211 del 15 giugno 2021), volto a evitare la discriminazione diretta o indiretta non solo di chi non è vaccinato per motivi medici o perché non rientra nel gruppo dei destinatari e/o non ne ha avuto ancora l’opportunità, ma anche di chi ha scelto di non essere vaccinato. Appiglio che però va contestualizzato, nel senso che per ciò solo – la non disponibilità a vaccinarsi – gli Stati membri non possono impedire o restringere la sua libertà di circolazione oltre i limiti ritenuti strettamente necessari e senza aver riconosciuto e/o messo la persona in condizione di valersi di soluzioni alternative e tempestive, quali i tamponi e test a prezzi non eccessivi (considerato n. 41).

5. Entro le medesime coordinate si è pronunciata la Corte costituzionale con sentenza n. 5/2018 (e richiamante suoi consolidati precedenti: sentenze n. 258/1994, n. 282/2002, n. 7/2007, n. 268/2017), stimando legittimo il più stringente obbligo vaccinale per legge dello Stato (e, a fortiori, l’onere di dotarsi della certificazione verde e di esibirla a chi è deputato a controllarla), nel rispetto delle condizioni figuranti nella Carta fondamentale, nello specifico agli articoli 2, 16 e 32. In breve: garanzia dei diritti inviolabili della persona nelle sue libere determinazioni, ma contemperati dai doveri inderogabili di solidarietà sociale; libertà di circolazione e di soggiorno, ma fatte salve le limitazioni di legge in via generale e per motivi di sanità o di sicurezza; tutela della salute a un tempo come fondamentale diritto dell’individuo e come interesse della collettività, sì da rendere legittimi per legge trattamenti sanitari obbligatori e con il vincolo di non violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Al riguardo il legislatore gode della discrezionalità nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace delle malattie infettive, “potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talora quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte, e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica” (punto 8.2.1.del Considerato in diritto).

La varietà di approcci – continua la Corte – trova riscontro anche nel diritto comparato. Laddove, posto “un generale favor giuridico per le politiche di diffusione delle pratiche vaccinali – basate sulle evidenze statistiche e sperimentali delle autorità competenti e specialmente dell’OMS, che considerano la vaccinazione una misura indispensabile per garantire la salute individuale e pubblica –, diversi sono gli strumenti prescelti dai vari ordinamenti per conseguire gli obiettivi comuni”; con agli estremi Paesi che impongono obblighi vaccinali e munendoli di sanzione penale (Francia) o che invece attivano programmi promozionali massimamente rispettosi dell’autonomia individuale (Regno unito), con in mezzo una varietà di scelte diversamente modulate: della vaccinazione come requisito di accesso alle scuole, negli Stati Uniti e in alcune comunità autonome della Spagna, o di consulto obbligatorio di un medico prima di operare la propria scelta, come in Germania (punto 8.2.2. del Considerato in diritto).

6. E pensiamo possa bastare.