Non solo Covid, l’emergenza educativa va rimessa al centro degli interventi

da Il Sole 24 Ore

di Tommaso Agasisti*

Era il 14 luglio – appena poche settimane fa – quando la presentazione dei dati del Rapporto Invalsi scosse il mondo della scuola e l’opinione pubblica. Titolava il Corriere della Sera: “Prove Invalsi 2021, il tonfo della Dad. Alla Maturità metà degli studenti ne sa come in terza media”. I dati (finalmente, i dati!) hanno mostrato quello che molti docenti, dirigenti scolastici, famiglie ed esperti già temevano o intuivano: il periodo da febbraio 2020 a giugno 2021 ha implicato per molti studenti un rallentamento significativo dell’esperienza scolastica ed educativa, con conseguenti (enormi) effetti sugli apprendimenti. Per un paio di giorni non si è discusso d’altro, con analisti del settore educativo impegnati a dibattere (molto) sulle cause del problema e (poco) sulle possibili soluzioni. Poi, piuttosto rapidamente, il periodo delle vacanze ha allontanato i pensieri. Ora che l’estate sta finendo (cit.), la realtà torna a imporsi.

Incredibilmente, tuttavia, il dibattito di questi giorni si concentra su aspetti certamente importanti ma non centrali, quali il green pass, vaccini, distanziamenti, mascherine, ecc. Si badi bene: queste vicende sono decisive e possono essere dirimenti per garantire la continuità scolastica, ma non affrontano i nodi rimasti irrisolti a valle della presentazione del Rapporto Invalsi 2021.

La monopolizzazione del dibattito sulla scuola intorno alle vicende medico-sanitarie del Covid-19 non consente, purtroppo, di discutere approfonditamente le priorità per l’affronto delle vere emergenze: 1) contrastare gli effetti la perdita di apprendimenti registrata durante il Covid-19; 2) decidere come utilizzare al meglio le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dedicate all’istruzione.

Questa appena trascorsa è stata la seconda estate consecutiva in cui il settore educativo, pur mostrandosi apparentemente consapevole del problema della perdita degli apprendimenti (e della socialità!) registrata in quest’anno e mezzo, ha di fatto proceduto come se niente fosse. Le (belle) idee per utilizzare l’estate in modo costruttivo sono state dapprima derise, poi contrastate, infine controvoglia sopportate.

Occorrerà capire se le iniziative messe in campo (quali, ad esempio il Piano Scuola Estate 2021 dell’Istruzione) siano state sfruttate al meglio, e quali risultati siano state in grado di generare. L’impressione è che la buona volontà non sia andata di pari passo alla capacità di realizzazione.

In attesa di dati sui risultati di tali iniziative (sperando ve ne siano), nel complesso pare di poter dire che il volume e gli effetti delle azioni estive durante il 2021 siano stati sostanzialmente marginali. Tempus fugit. Occorre ora accelerare per mettere in campo idee ed azioni al fine di utilizzare il 2021/22 per recuperare parte del tempo (e degli apprendimenti) perduti.

A mio parere, ci sono almeno tre linee di azione che vale la pena esplorare – ed, in tempi rapidi, implementare. La prima riguarda l’ attenzione specifica agli studenti provenienti da contesti socioeconomici e culturali fragili. I dati Invalsi dimostrano che questi studenti sono quelli che hanno sofferto di più la crisi dei due anni che abbiamo alle spalle (dal Rapporto Invalsi 2021: «In tutte le materie le perdite maggiori di apprendimento si registrano tra gli allievi che provengono da contesti socio-economico-culturali più sfavorevoli. Inoltre, tra questi ultimi diminuisce di più la quota di studenti con risultati più elevati».

Si possono e si devono effettuare interventi ad hoc. In una ricerca recentemente realizzata insieme ad alcuni colleghi dell’Ocse, abbiamo evidenziato due fattori associati a migliori risultati degli studenti svantaggiati: una quota maggiore di tempo dedicato alle materie e un favorevole clima scolastico. La creazione di iniziative specifiche che consentano, durante l’anno, di dedicare più tempo allo studio anche in situazioni di compresenza dei docenti e dei compagni di classe, può essere una buona idea per supportare gli studenti che hanno subito di più la didattica a distanza (Dad).

La seconda linea di intervento concerne il superamento della didattica digitale «di emergenza», verso un uso più consapevole, integrato e positivo della tecnologia nell’insegnamento. La Dad è stata demonizzata in questi anni, tuttavia essa è stata in larga misura improvvisata e – in molti casi – neppure attuata. La dinamica del settore EdTech suggerisce che vi sia invece spazio per sviluppare strumenti digitali che non sostituiscano, bensì integrino una buona didattica in presenza, rendendola più interessante, efficace e moderna. La combinazione di video, game-based learning, creazione di contenuti interattivi possono far fare un salto di qualità all’insegnamento, in tutti gli ordini di scuola.

Occorrono però due elementi chiave: un ripensamento dei modelli pedagogici, accompagnato da un aggiornamento serio (e non superficiale) dei docenti e dei dirigenti scolastici, e un investimento in strutture e strumenti digitali adeguati. È un’opportunità da cogliere, guardando alle migliori esperienze internazionali e anche nazionali.

Infine, la terza linea di azioni dovrebbe concentrarsi sugli edifici e sugli spazi scolastici. Le risorse messe in campo dal Pnrr possono essere sfruttate per fare investimenti di lungo periodo: mettere in sicurezza gli edifici scolastici dove necessario e possibile, costruirne di nuovi, ripensare e ristrutturare gli spazi interni (inclusi gli arredi) per una didattica più aperta e flessibile, per un’integrazione intelligente con il digitale, per favorire lavori di gruppo e socialità.

Le linee di azione qui brevemente delineate possono essere implementate già a partire da questo anno scolastico.

Una nota di metodo è importante a questo proposito. Occorre evitare, a mio parere, una tentazione centralistica di pianificazione e realizzazione nelle sole mani del ministero dell’Istruzione e degli Uffici scolastici. Invece, si apre una interessante occasione di sperimentare un po’ più di autonomia delle istituzioni scolastiche: il ministero definisca le priorità e allochi le risorse alle scuole statali e non statali, affinché esse liberino la proprie energia, creatività e responsabilità per mettere in campo progetti intenzionalmente disegnati sulle proprie necessità e specificità. Si verificheranno poi, a valle delle azioni condotte, i risultati effettivamente ottenuti, valorizzando le attività più efficaci e correggendo quelle che non hanno ottenuto gli obiettivi desiderati. Si dedichi pure ancora qualche giorno alla discussione del rientro in classe in sicurezza; ma si riprenda presto però una riflessione di più ampio respiro, che torni ad occuparsi dell’emergenza educativa che il nostro Paese deve rimettere al centro della propria agenda.

Ci sono idee da sviluppare, azioni concrete da intraprendere: ci si metta in moto, dunque, identificando priorità chiare e attribuendo autonomia e risorse alle scuole statali e non statali per affrontare le importanti sfide che hanno di fronte.

  • Politecnico di Milano School of Management