La salute nel 21° secolo

La salute nel 21° secolo

di Margherita Marzario

Abstract: Il contributo, partendo dalla citazione di documenti di rilevanza internazionale, si interroga sulle diverse dimensioni e sullo stato attuale della salute delle persone, in particolare delle nuove generazioni.

  1. La salute del mondo

Con la risoluzione 65/309 del 2011 l’Onu aveva definito la ricerca della felicità come “un obiettivo umano fondamentale” e in una riunione delle Nazioni Unite del 2012, dopo aver  discusso della felicità come nuovo paradigma economico, è stato pubblicato il primo Rapporto sulla felicità mondiale (World Happiness Report), da allora redatto su base annuale e presentato come testo fondamentale per delineare lo stato della felicità nel mondo, le cause della felicità e della sua mancanza e le implicazioni politiche evidenziate dai casi di studio. La pandemia da Covid-19 ha confermato tutto ciò rilevando quanto siano determinanti per la felicità la salute psicofisica, la famiglia e le relazioni umane.

Infatti, una nuova forma di povertà che assilla le famiglie è la povertà relazionale (figli unici, nonni lontani o tenuti lontani, genitori singoli, famiglie d’origine in altri posti geografici, chiusura al diverso, paura e così di seguito). “I prerequisiti per la salute sono la pace, una casa, l’istruzione, la sicurezza sociale, le relazioni sociali, il cibo, un reddito, l’attribuzione di maggiori poteri alle donne, un ecosistema stabile, un uso sostenibile delle risorse, la giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani e l’equità” (dalla Dichiarazione di Jakarta per la promozione della salute nel 21° secolo, luglio 1997): tutti requisiti necessari per la salute della famiglia da cui dipende la salute di ciascuno. Il sociologo Francesco Belletti, in un articolo del 3 luglio 2021, ha richiamato: “[…] come l’indagine del Family International Monitor ha ampiamente evidenziato nel Rapporto 2020, e come anche i più recenti rapporti della World Bank documentano – la povertà delle famiglie è multidimensionale, e non può essere tradotta in termini puramente economici: la ricchezza (e quindi l’eventuale povertà) delle famiglie deriva non solo dal reddito e dal lavoro ma anche dal capitale culturale dei membri, dalla qualità e coesione delle loro relazioni interne, dalla presenza di relazioni solidali esterne (capitale sociale, legami di parentela, reti di vicinato), dal livello dei servizi di base del territorio in cui vivono, in termini di acqua potabile, sanità, istruzione, welfare, trasporti, diritti di libertà e democrazia”.

Il Rapporto del Family International Monitor 2020ha evidenziato l’anziano come una figura cruciale della relazione intergenerazionale, quale risorsa per la famiglia, che aiuta a contrastare l’impoverimento relazionale nelle diverse realtà sociali. Il progressivo invecchiamento della popolazione di fatto riduce la portata della relazione intergenerazionale, accentuando la dimensione di bisogno di cura dell’anziano all’interno della famiglia.Nella città tedesca di Salzgitter (Germania centrale) è stato creato il progetto delle case intergenerazionali: giovani, bambini e anziani si ritrovano in un centro di aggregazione aperto a tutti per contrastare l’individualismo e creare dei rapporti sociali a protezione dei soggetti più vulnerabili. L’esperienza nasce dall’associazione “SOS Kinderdorf” (SOS Villaggi dei bambini), sorta come progetto di assistenza per madri sole e bambini in affidamento. A partire dal modello Salzgitter, sono nate centinaia di realtà di questo tipo, ormai veri e propri quartieri solidali in cui le persone non convivono sotto lo stesso tetto ma si ritrovano in spazi comuni per trascorrere del tempo assieme. Queste iniziative tengono anche conto delle “priorità per la promozione della salute nel 21° secolo”, come espresse nella Dichiarazione di Jakarta sulla promozione della salute nel 21° secolo, tra cui “aumentare le capacità della comunità”, e realizzano “la solidarietà tra le generazioni” di cui al n. 9 del Pilastro europeo dei diritti sociali (2017).

L’esperienza tedesca ripropone il modo di vivere e condividere gli spazi come si faceva una volta nei rapporti di vicinato. La scrittrice Michela Murgia scrive: “Se è vero che gli spazi generano comportamenti, i luoghi feriti generano ferite anche tra le persone, che non si incontrano più negli spazi comuni e familiari delle piazze in cui sono cresciute e perdono pian piano anche la forza di pensarsi come una comunità, con le sue appartenenze e i suoi piccoli riti ciclici”. Perché, si legge nel paragrafo “Entrare nel futuro” Della Carta di Ottawa per la promozione della salute (1986): “La salute è creata e vissuta dalle persone all’interno degli ambienti organizzativi della vita quotidiana: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama. La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri, essendo capaci di prendere decisioni e di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita, garantendo che la società in cui uno vive sia in grado di creare le condizioni che permettono a tutti i suoi membri di raggiungere la salute”. E il primo “ambiente organizzativo della vita quotidiana” è la famiglia, la casa di famiglia. I genitori devono avere la consapevolezza che ogni loro litigio o frattura è devastante per i bambini come un sisma, per cui ci vogliono maturità e lucidità in qualsiasi scelta tanto all’inizio della vita insieme quanto nell’eventuale fine della vita di coppia. I genitori devono rendersi conto di essere anche artefici della salute dei figli.

2. Un mondo di salute

“Nel mondo che vorremmo – annota Michela Murgia –, i bambini e le bambine non si ammalano mai, ma il mondo che vorremmo purtroppo non è quello in cui viviamo, che tra le sue molte ingiustizie annovera anche gli inspiegabili dolori dei piccoli e le sofferenze senza senso apparente degli innocenti a cui la sorte ha riservato una strada più in salita di quella della maggioranza dei loro coetanei. Il disagio della malattia di un bambino – oltre a offendere profondamente il nostro senso di giustizia – è molto più grave di quello che incombe sugli adulti, perché i bambini sono soggetti socialmente deboli per loro stessa condizione anagrafica e l’accudimento di cui hanno bisogno anche quando sono perfettamente sani raddoppia o triplica quando la salute è compromessa, costringendo l’intero cerchio familiare a ricalibrare i suoi ritmi per garantire assistenza costante al piccolo sofferente. La cosa che manca di più in mezzo all’esperienza della fragilità fisica non sono le medicine o gli spazi per curarsi, ma un luogo dove sia possibile vivere senza abbandonare la normalità”. “Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo al godimento dei più alti livelli raggiungibili di salute fisica e mentale e alla fruizione di cure mediche riabilitative. Gli Stati parti devono sforzarsi di garantire che il fanciullo non sia privato del diritto di beneficiare di tali servizi” (art. 24 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Un’applicazione di questa previsione è la Carta dei diritti del bambino nato prematuro (approvata dal Senato della Repubblica il 21 dicembre 2010) in cui vi sono indicazioni che dovrebbero ispirare una normativa più efficace, organica e univoca in materia di diritto della famiglia e di diritto sanitario, quali “sollievo dal dolore”, “presenza dell’affetto”, “evitando ogni dispersione tra i componenti il nucleo familiare”.

Tutti quegli elementi di cui si ha bisogno anche quando una famiglia è colpita da un problema di salute mentale. “Quando un evento grave come una malattia psichica accade in una famiglia – spiega Fabrizio Fantoni, psicologo e psicoterapeuta –, ci si preoccupa di chi ne è direttamente colpito, spesso dei genitori che se ne fanno carico. Più raramente si tiene conto dei fratelli. Che si portano dietro per molto tempo, talvolta anche in età adulta, l’esperienza traumatica del disagio psichico. Della sua incomprensibilità. Dello sconvolgimento degli ordinari legami e della rabbia profonda e non esprimibile che questo comporta. […] Talvolta un adolescente può provare anche vergogna per la situazione familiare, che teme sia conosciuta dai coetanei. Perché la malattia mentale spaventa, in quanto è difficile da capire nelle sue cause e nelle sue manifestazioni”. “[…] sviluppare la medicina preventiva, l’educazione dei genitori e l’informazione ed i servizi in materia di pianificazione familiare” (art. 24 lettera f Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Investire in salute mentale potrebbe avere ripercussioni significative sull’economia globale (è questo il risultato di uno studio pubblicato nel giugno 2016 e condotto in 36 paesi), basti pensare a tutto quello che causa il traffico internazionale di droga.

F. Fantoni aggiunge: “Quando l’angoscia prorompe violenta e in modo inatteso, l’adolescente la manifesta con tutta la potenza del suo corpo e delle sue emozioni. Spesso si tratta di un episodio isolato, che, curato adeguatamente, rientra. Ma talvolta può essere il segnale di esordio di un problema psichico più importante. Di sicuro, una osservazione di questi segnali da pare di un esperto, protratta nel tempo, può dare risposta a questo dubbio”. L’adolescenza è il momento in cui è più a rischio la salute, in particolare quella mentale, per cui è ancor più necessario prevenire, ed è anche il momento in cui si avverte ancor di più la necessità della concertazione degli interventi a tutela della salute del singolo e di tutti, in ottemperanza alle previsioni normative: “[…] prevedere consultori e servizi d’istruzione riguardo al miglioramento della salute ed allo sviluppo del senso di responsabilità individuale in materia di salute” (art. 11 n. 2 Carta sociale europea, riveduta nel 1996). 

L’esperto Fantoni che “[…] anche l’amore può fare del male. Che va purificato per essere autentico. Cioè va liberato da quegli elementi nocivi che provocano sofferenza. Ciò vale per l’amore narcisistico della madre”. L’amore è un elemento della salute, come si legge nel paragrafo “Entrare nel futuro” della Carta di Ottawa, ma anche dal modo e dalla misura in cui si ama dipende la salute dell’altro, in particolare nella relazione madre-figlio, relazione che torna preponderante nel periodo adolescenziale del figlio perché è necessario che la madre sappia dare un taglio definitivo al cordone ombelicale.

Relazione madre-figlio che è alla base e la base di tutto. “Una delle componenti moderne nelle relazioni personali è il rapporto tra l’uomo e la parola. Che la parola sia un miracolo, una realtà straordinaria, nessuno ne dubita. La parola è vita e dà la vita. Quando una madre dà vita al figlio, gli fa un dono grandissimo, ma quando gli insegna a dire le prime parole, gli conferisce una seconda vita, importante quanto la prima, e forse ancora più stupefacente. La madre aiuta a far nascere il pensiero nel bambino, a sviluppare la sua intelligenza e creatività, a far emergere in lui i primi segni dell’affettività: amandolo, gli insegna ad amare. La parola fa del bambino una persona capace di comunicare e di relazionarsi con gli altri” (lo studioso gesuita Saverio Corradino). Ogni madre trasmette la vita, ma dovrebbe trasmettere anche il bagaglio minimo per la vita: non solo l’alfabeto di lettere (“competenza alfabetica funzionale”, che prima era indicata come “comunicazione nella madrelingua”, la prima delle 8 competenze chiave europee di cittadinanza) ma anche l’alfabeto di gesti, quello che è necessario per il “ben-essere” tenendo conto del crescente numero di disturbi del linguaggio o di altra natura, come evidenziato dagli esperti, tra cui il pedagogista Daniele Novara. È doveroso, perciò, anche educare a volersi bene, educare alla salute per sé e per gli altri, perché da questo dipende la salvezza di tutti. “Bambini e giovani uomini e donne sono agenti critici del cambiamento e troveranno nei nuovi obiettivi una piattaforma per incanalare le loro infinite potenzialità per l’attivismo verso la creazione di un mondo migliore” (dal n. 51 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile).

Affinché non si abbia da dire come scriveva il poeta Andrea Zanzotto verso la fine della sua vita: “Devo lasciare un biglietto a mio nipote: la richiesta di perdono per non avergli lasciato un mondo migliore di quello che è”.