Genitorialità a misura di bambino

Genitorialità a misura di bambino

di Margherita Marzario

Abstract: Il contributo ci interroga sul senso profondo dell’essere genitori scavandone due aspetti essenziali, generatività e generosità

In passato si parlava di maternità e paternità, attualmente si parla di genitorialità in ogni ambito, da quello psicologico a quello legislativo. Ma cos’è la genitorialità? Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, scrive: “Il concetto di generatività ha anche un notevole peso dal punto di vista sociale, se lo si intende non soltanto come la capacità di mettere al mondo, di curare e custodire i propri figli, ma anche come una tensione proattiva che, all’insegna della gratuità, potenzia la dimensione relazionale a ogni livello e promuove la convivenza sociale. Si tratta di passare da una generatività tutta interna al nucleo familiare a una onnicomprensiva, in cui risultino in primo piano gli obblighi della società intera nei confronti delle nuove generazioni. È la società in cui viviamo che dovrebbe prendersi responsabilmente cura dei giovani, offrendo loro la possibilità di realizzare se stessi, di raccogliere il patrimonio del passato, di arricchirlo con le conquiste del presente e di trasmetterlo a loro volta a chi verrà dopo di loro”. Anziché pretendere di avere figli a tutti i costi, oltre una certa età e in qualsiasi condizione (per esempio con lo sperma di “padre” premorto), bisogna riappropriarsi della generatività sociale che si esprime nella responsabilità e corresponsabilità di tutti i figli che già ci sono. Dalla generatività scaturisce la genitorialità e non il contrario.

I figli, sin dal concepimento, non sono un diritto e, pertanto, i genitori devono accettare e saper accettare qualsiasi insuccesso generativo e/o generazionale. La genitorialità potrebbe essere considerata un’obbligazione di “mezzi” e non di “risultato”. Genitorialità è porsi continuamente domande, il più delle volte senza risposta, e dare risposte a domande, spesso assurde, poste dalla vita, perché i figli sono vita, vita in divenire, vita dell’avvenire. Fra Danilo Salezze, fondatore di una comunità terapeutica, fa notare: “«Sofia, Andrea, Luca…, ma perché ci hai fatto questo!?». Da tanti anni sento questa domanda di padri e madri a figli non «conformi»: a volte la droga, altre volte scelte di lavoro o di relazioni affettive che non vanno giù… e quant’altro. Altra domanda, senza risposta: «Ma dove abbiamo sbagliato con lui!?», immaginando che, interrogando il passato e magari un «esperto», si possa sanare un brutto equivoco. […] Niente di più umano di questa domanda senza risposta, perché ha a che fare con un inestricabile groviglio di casualità, inconvenienti educativi, influenze di tutti i tipi; ma è connessa anche al filo rosso della «volontà di esistere» che ogni individuo porta con sé nella vita. A pensarci bene è una domanda rivolta in fondo a ogni individuo: qual è il tuo destino, cioè la stella che ti sta guidando con irresistibile forza?”.

Marino Maglietta (presidente dell’associazione nazionale “Crescere Insieme” e “padre” della legge 54/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, comunemente detto affido condiviso), richiama: «I bambini stanno bene se stanno bene entrambi i genitori. La separazione impoverisce la famiglia separata quando la distribuzione degli oneri non è equa. […] Da una parte il genitore collocatario con i figli e dall’altra il genitore residuale. Che è un’appendice cui si chiede di produrre ma cui molto spesso non si permette di avere le condizioni per farlo. Se un padre non ha nemmeno un alloggio decente dove accogliere i figli e deve produrre solo per dare più soldi alla persona da cui si è separato non sarà molto propenso a darsi da fare…[…]. Perché, al momento, in realtà tra la collocazione prevalente e il meccanismo dell’assegno e la riduzione dei tempi di visita,di “condiviso” non esiste nulla. Non abbiamo elementi per dire se la legge “funziona o non funziona”» (ottobre 2017). In caso di separazione e divorzio continua ad esserci conflittualità esacerbata e disparità di trattamento delle figure genitoriali perché, da più parti, è trascurata – per non dire calpestata – quella che è la cultura costituzionale della famiglia, a cominciare dal principio solidaristico dell’art. 2 della Costituzione di cui la genitorialità (che è connaturalmente bigenitorialità, senza che vi sia bisogno di denominarla in tal modo), disciplinata nell’art. 30 Cost., è l’espressione basilare ed esemplare. Soprattutto si dimentica che i figli non valgono soldi, quote, percentuali, “principio di proporzionalità” (art. 337 ter cod. civ.) o altro ma valgono e rappresentano quello che non si può comprare né trattare: la vita data e la felicità ricevuta dalla stessa.

La giornalista Renata Maderna sottolinea: “Come insegnava san Francesco di Sales […]: «Non bisogna né spezzare le corde, né abbandonare il liuto, quando ci si accorge della discordanza; bisogna porgere l’orecchio per vedere da dove viene lo squilibrio, e con dolcezza tendere la corda o allentarla secondo quanto richiesto dall’arte della musica». Che ha molto in comune con quella di fare i genitori. Veri e non di carta”. La genitorialità è un’arte e, come ogni arte, comporta fatica, impegno, tempo, passione, errori, tentativi, collaborazione con gli altri adulti responsabili dei bambini.

“Ogni adulto è figlio del bambino che è stato” (cit.). Si è figli non solo dei genitori, ma anche delle modalità di esercizio della loro genitorialità – in virtù della teoria dell’imprinting – e delle altre figure di riferimento, cosiddetta genitorialità sociale (in senso lato). “I genitori o le altre persone aventi cura del fanciullo hanno primariamente la responsabilità di assicurare, nei limiti delle loro possibilità e delle loro disponibilità finanziarie, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo” (art. 27 par. 2 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

“Assicurare le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo” prevede anche il rispetto e la tutela dei diritti personalissimi o della personalità del bambino. “Il diritto del minore alla riservatezza prevale sul diritto di cronaca e neanche il consenso dei genitori autorizza il giornalista a divulgare informazioni che possano nuocere al suo sviluppo” (dalla Relazione annuale – anno 2016 – al Parlamento del Garante nazionale per la privacy). I primi a dover rispettare e garantire il diritto alla riservatezza dei bambini sono i genitori, per esempio fotografando o filmando di meno i figli (consentendo loro di vivere a pieno quel momento) e non pubblicando le foto nei “social network”. La genitorialità, in particolare la paternità, deve esplicarsi nella giusta distanza, deve astenersi ma non assentarsi, deve sostenere il figlio e non sostituirlo, aiutarlo e non assillarlo, ovvero deve assisterlo moralmente (artt. 147 e 315 bis comma 1 cod. civ.). “Bisogna restare un passo indietro. Bisogna esercitare una castità paterna, a rischio di essere deludenti, meglio, piuttosto che diventare indispensabili” (don Fabio Rosini).

“Cerca di trovare quanto di meglio c’è in una persona e diglielo. Tutti possiedono qualcosa che merita di essere lodato. Le lodi significano comprensione. Impara a vedere la grandezza del tuo prossimo e vedrai anche la tua” (lo scrittore Kahlil Gibran): quello che si deve insegnare ai bambini, quello che si deve imparare dai bambini. Rivelarsi ai bambini semplicemente per quello che si è nella quotidianità è il primo esempio che si possa dare ai piccoli, perché anche loro manifestino il meglio da adulti. Restare bambini, restare se stessi: questo il compito più difficile della vita, quello che chiede la vita, la vera educazione alla vita. Metodo di insegnamento affinché diventi metodo di apprendimento, metodo di vita (etimologicamente “metodo”, da “andar dietro per ricercare”). Anche la genitorialità deve essere trasmettere la vita e fornire un metodo di vita.

“Genitorialità” ha la stessa origine etimologica di “generosità”: “La generosità, come sappiamo – precisa il filosofo Adriano Fabris -, consiste nel saper dare senza che ci si aspetti un contraccambio. Chi è generoso offre qualcosa di ciò che possiede, magari tutto quello che ha, e lo fa con animo lieto. […] Ma nell’esperienza della generosità c’è più che la manifestazione di un buon carattere. C’è il farro che un gesto generoso rende più bella e più buona ogni relazione con gli altri, e contribuisce a migliorare il mondo. Ecco perché, se chi è generoso non ha nulla da dare, allora offre, magari, qualcosa di sé. Offre non quello che possiede, ma quello che è”. La genitorialità è darsi e dare, dare alla vita e dare la vita, è educazione alla generosità.

Quella generosità che è traboccante del bello e del buono, come descrivono Chiara ed Edoardo Vian, esperti di famiglie in difficoltà: “Gioia e allegria affiorano nel nostro cuore quando accettiamo di ridiventare un po’ bambini, quando decidiamo di rinunciare al controllo, al calcolo, alla logica produttiva per lasciare spazio al gioco, alla sorpresa, alla parte più genuina e più limpida che c’è, magari latente o coperta, ma pur viva, dentro di noi”. Così dovrebbe essere la genitorialità, fonte di vita e di biofilia, quell’amore per la vita e tutto ciò che è vivo.

“Attendere e lavorare nella grande veglia della vita, dilatare giorno dopo giorno gli occhi del cuore e con umiltà intuire la salvezza che arriva da ogni dove” (cit.): questo il senso profondo della genitorialità.