Grido e stridori

Grido e stridori

L’anno scolastico è incominciato e molti temi ne agitano l’avvio: le modalità di accesso con il green pass,
le nomine dei supplenti, i protocolli sanitari, la situazione delle cattedre, l’impiego delle risorse finanziarie.
Sottotraccia, invece, il confronto su come lasciarsi interrogare dalla precarietà dei tempi, su come aiutarsi a
stare davanti alle attese formative e culturali dei ragazzi, su quale impronta formativa rilanciare, su come
ogni adulto impegnato nel compito educativo è chiamato a giocare le proprie carte, su come aiutarsi a
vivere con speranza.
Urgenze che stridono, allora, con il fatto che l’ingaggio dei docenti a cui affidare i ragazzi sia avvenuto
attraverso l’utilizzo di un neutrale algoritmo. Stride l’incertezza in cui lavorano molti presidi impegnati nelle
reggenze di altre scuole o a gestire segreterie in cui mancano dirigenti e assistenti amministrativi. Stride la
distanza che si avverte tra gli indirizzi stabiliti dal Parlamento per la ripresa delle scuole, le scelte del
Governo e le difficoltà interpretative ed applicative che i presidi devono affrontare per applicarle. Stride,
non di meno in questo abbrivio dell’anno scolastico, l’assenza di confronto politico e sociale sul Piano di
ripresa e sulle politiche scolastiche da impostare per rilanciare l’istruzione e l’innovazione.
Stridori e, dall’altra, un grido: quello umano dei ragazzi che chiedono di essere guardati, riconosciuti,
accompagnati e formati. Un grido che esprime il bisogno – da intercettare – di continuità, di ascolto e
comprensione, di appartenenza e di essere introdotti alla scoperta del senso del vivere. Il grido che chiede
di incontrare adulti e contesti formativi significativi con i quali essere introdotti al senso della realtà, al gusto
del vivere, alla passione per il proprio talento, all’impegno per un mondo sostenibile. Questa è l’urgenza che
prioritariamente dovrebbe essere al centro del dibattito e delle preoccupazioni di genitori, docenti ed
educatori.
Grido e stridori, dunque, ovattati da un ottimismo di copertina, che non possono lasciar tranquilli e che
chiedono vigilanza, responsabilità, capacità di dialogo e dedizione da parte di tutti, dirigenti scolastici,
genitori, docenti ed educatori, offrendo loro, non di meno, strumenti, spazi e risorse adeguate.
Come trasformare, allora, questo periodo di incertezze e precarietà in una opportunità per adulti e
ragazzi a scuola? Occorre mettere al centro del confronto e dell’azione non solo le necessarie condizioni per
lo svolgimento delle lezioni in presenza ed un corretto funzionamento del sistema scuola, ma anche (e
soprattutto) la definizione dei contorni di una proposta educativa e formativa che vinca la passività e la
resistenza di consuetudini e burocrazie e che venga aiutata a fiorire e consolidarsi, magari anche con
l’assegnazione di risorse umane e gestionali all’altezza della sfida.
«La speranza non è per nulla uguale all’ottimismo – ha intuito in modo acuto Václav Havel – . Non è la
convinzione che una cosa andrà a finire bene, ma la certezza che quella cosa ha un senso
indipendentemente da come andrà a finire». Si tratta di aiutarsi, dunque, proprio dentro le condizioni che
questo momento storico impone, nella ricerca del senso, nell’individuazione di modi adeguati per
intercettare la domanda di significato che i ragazzi pongono a scuola, nella definizione di metodologie e
contesti formativi capaci di suscitare interessi e dinamiche positive negli studenti, nel ripercorrere patti
educativi realmente condivisi tra adulti. Partendo dalla certezza che un senso è rintracciabile e a partire da
esso è possibile costruire.
Rifondare la speranza è ragione e motivo di qualsiasi vera ripartenza. Anche a scuola.
Buon inizio!

Milano, 20 settembre 2021