Nuovo PEI, il Ministero ha travisato la sentenza del TAR; le terapie in orario scolastico sono sempre possibili

da La Tecnica della Scuola

Fa discutere (e anche molto) la circolare ministeriale del 17 settembre scorso con cui si danno alle scuole indicazioni su come comportarsi d’ora in poi su alcune specifiche questioni.
Un passaggio molto importante della circolare riguarda la questione dell’orario di frequenza degli alunni con disabilità.
Scrive infatti il Ministero: “Non può essere previsto un orario ridotto di frequenza alle lezioni dovuto a terapie e/o prestazioni di natura sanitaria – con conseguente contrasto con le disposizioni di carattere generale sull’obbligo di frequenza – in assenza di possibilità di recuperare le ore perdute”.

Ancora una volta chiediamo all’ex ispettore scolastico Raffaele Iosa un ulteriore approfondimento sulla questione. Cosa ne pensa di questo passaggio?

Chiariamo subito un punto: il tempo, per una persona con disabilità, è questione importante, delicata e complessa.
Si pensi alle attese per i dolorosi e lunghi tempi di attesa per visite, terapie; o il tanto tempo a cercare, da parte delle famiglie, aiuto, comprensione, proposte, attenzione.
Si pensi all’angoscia di sapere che se non si fa bene tutto quando i figli con disabilità sono piccoli  (educazione, terapie, riabilitazione, ecc..) si rischia che la vita adulta (quella sì oscura e lunga)  sia più drammatica.

E quindi?

Il rapporto tra tempo della scuola e di vita di una persona con disabilità è per natura variabile secondo la condizione hic et nunc di ognuno.
La variabilità scuola/terapia è immensa, nella mia lunga esperienza ne ho viste di tutte i tipi.
C’è il bambino gravissimo che, in carrozzina e in condizione di semiveglia riesce a stare a scuola due ore al giorno, ma la scuola e la famiglia sono felici di offrire spicchi di umanità e comunità. Cosa volete che importi a babbo e mamma se si farà “matematica” o che voto prenderà? Volete che si preoccupino del tormentone giuridico del cd. “esonero”? Ma via.

E poi c’è anche il problema che le terapie si fanno quando è possibile farle, non quando la scuola le “autorizza”…

Esattamente, c’è anche il bambino che fa terapia al mattino perché ci sono pochi terapeuti (si sa, no?). E il problema dov’è? Nell’eterea e agnostica “norma” della frequenza o non invece di come si correla  il tratto “educativo” e quello “terapeutico”, cioè se i due si parlano, agiscono o no in parallelo, se l’uno supporta l’altro e viceversa?

E allora come ci si dovrebbe regolare?

Il rapporto fra frequenza scolastica e terapie è complesso, non può essere ridotto ad una faccenda formale. C’è il tema, sostanziale della governance professionale che ci chiede la Legge 328/2000, troppo scordata;  PEI e Progetto di vita sono due facce della stessa medaglia e non invece – come spessissimo accade – due atti che non si incontrano.

Quale dovrebbe essere la soluzione?

E’ nella governance locale che si deve trovare quell’ accomodamento ragionevole che ci chiede la dichiarazione ONU del 2006. Cioè fare in modo che i diversi tempi si armonizzino e rispettino i tempi della persona con disabilità, non quelli dei diversi professionisti, per evitare il più possibile che il bambino perda scuola e il più possibile faccia terapia in tempi necessari.
Insomma il tempo della scuola e il tempo della disabilità sono in natura un’armonia complessa, a volte drammatica, e non riesce a stare dentro alcun comma algido valido per tutti.

Tutto vero, ma purtroppo c’è una sentenza del giudice amministrativo da rispettare

La sentenza del TAR Lazio va letta con attenzione, mentre – secondo me – il Ministero ne ha travisato il senso.
Il TAR, per la verità, si richiama con chiarezza a norme di livello internazionale tra cui anche la Convenzione dell’ONU sulle persone con disabilità esortando al rispetto della ratio in esse contenuta ovvero “che debba essere il contesto, inteso come ambiente, procedure, strumenti educativi ed ausili, a doversi adattare agli specifici bisogni delle persone disabili, e non viceversa.
Questa parte della Sentenza è sorprendentemente molto chiara e di grande spessore propositivo. In sostanza chiede “accomodamenti ragionevoli” non di autorizzare qualsiasi uscita da scuola, nè  la naja obbligatoria di tutte le ore obbligate a scuola, né chissà quali recuperi di ore.

In sostanza lei vuol dire che la circolare è sbagliata sia sotto l’aspetto pedagogico sia sotto il profilo normativo.

Proprio così, perché le assenze per terapie e/o prestazioni di natura sanitaria sono sempre ammesse e valgono per tutti gli alunni della scuola italiana; tali regole, sulla base di quanto stabilito dai Collegi docenti, incaricati di “definire i criteri generali e le fattispecie che legittimano la deroga al limite minimo di presenza”, a fronte di “casi eccezionali, certi e documentati” (fra questi sono annoverati: “gravi motivi di salute adeguatamente documentati o terapie e/o cure programmate” (CM 20/2011), non sono quantificate neppure per il raggiungimento del tetto minimo di frequenza finalizzato a rendere valido l’anno scolastico. Tetto che, peraltro, non è previsto nella scuola dell’infanzia e neppure nella scuola primaria.
Comunque – e concludo – una disamina più completa dell’argomento l’ho fatta in due articoli pubblicati di recente che stanno suscitando molto interesse:
Il tempo della scuola, il tempo della disabilità
Nuovo PEI annullato, azzeccagarbugli e scuole in difficoltà