La dannazione di Sisifo

La dannazione di Sisifo

Ovvero ricominciare sempre daccapo

di Maria Grazia Carnazzola

1. Per iniziare

Per deontologia professionale avremmo l’obbligo di essere ottimisti, ma in certi momenti la cosa risulta un po’ difficile. Il periodo che stiamo vivendo è uno di questi: abbiamo l’impressione del già visto, dell’inutile, retorica riformulazione di progetti e di slogan già sentiti, di essere costretti a ricominciare sempre daccapo, come Sisifo. Così, di nuovo- con il rientro in aula questa volta non solo virtuale e a lungo, si spera- riparliamo di mascherine, di distanziamento, di obbligo di green pass per il personale tutto della scuola e per i genitori, di privacy, di esoneri, di durata delle norme, di capienza dei mezzi di trasporto… Sappiamo come arrivare a scuola, come entrarci e come starci. Ma sappiamo altrettanto bene cosa si fa a scuola e come lo si fa? La domanda rimane sullo sfondo, come se tutti sapessimo cosa vanno a fare oggi a scuola i ragazzi. Questione non trascurabile se teniamo conto degli esiti delle prove nazionali e internazionali o delle segnalazioni che arrivano dal mondo universitario e dal mondo del lavoro. Se il compito fondativo della scuola è l’istruzione, intesa come l’acquisizione dei saperi e delle chiavi per accedervi, in un percorso di ricostruzione sociale delle conoscenze da realizzare in processi attivi di insegnamento/apprendimento, le discipline sono e rimangono lo strumento per promuovere la costruzione di strutture mentali- e della consapevolezza dei vincoli conoscitivi- per sviluppare e potenziare progressivamente le competenze culturali. A scuola si va per imparare qualcosa di “scientifico” che permetta a ciascuno di leggere e di comprendere la realtà attraverso gli sguardi diversi delle diverse discipline, intese come insiemi di significati per orizzonti intersoggettivi, che generano il senso della comprensione personale dell’apprendere e della vita attiva. Non solo scienza, dunque, ma co- scienza.

2. Quale formazione per quale uomo per quale società

In questa accezione la scuola, parte del sistema educativo del contesto in cui opera, assume la forma di una istituzione sociale con caratteri peculiari che la distinguono da altre esperienze di informazione e formazione – come l’oratorio, le attività di animazione socioculturale, il volontariato, le attività didattiche connesse con enti di cultura, la vita familiare, i media…- con i quali, pur collaborando, non deve confondersi se vuole adempiere al compito politico indicato nell’articolo 3 della Costituzione e garantire il diritto allo studio e le pari opportunità di successo formativo; contrastare le disuguaglianze socio-culturali e la dispersione, incoraggiare e premiare il merito di alunni, docenti, dirigenti. Il ministro Bianchi ha parlato di un potenziamento dell’autonomia delle scuole e questo dovrà inevitabilmente riportare il discorso sulla scuola da intendere come un’organizzazione nazionale di servizio, la cui identità non può essere la somma delle azioni e dei comportamenti dei suoi attori. Né la scuola può essere il luogo dove gli interessi legittimi prevalgono sui diritti di chi fruisce del servizio e sulla coerenza/coesione dell’organizzazione, dove le regole sono concepite prevalentemente al servizio del personale e non dell’utenza. Dimensioni quali la continuità educativa, la trasparenza dei processi valutativi, gli orari funzionali all’apprendimento rimangono spesso dichiarazioni retoriche (lo constatiamo come utenti) davanti all’interesse dei docenti al trasferimento o all’assegnazione provvisoria, con graduatorie, procedure, precedenze, meccanismi incomprensibili alla logica comune e a quella di un normale servizio pubblico. Su questo versante più di qualche problema continua ad esserci: il boom di supplenze sui posti di sostegno; le nomine da GaE e GpS tra reclami e rettifiche; il numero di alunni per classe (classi di 28-30 alunni tra cui alunni con disabilità e classi di 13-14 di cui nessuno si lamenta) ma, problema ancora più grande, la qualità del personale che arriva nella sede che ciascuno si sceglie. Questo riporta il discorso alla questione della formazione, in generale, e della formazione iniziale e in servizio dei docenti che (sono anni che lo si ripete) dovrebbe svilupparsi nei tre ambiti di competenza: della disciplina di insegnamento, delle discipline professionalizzanti e quello didattico operativo, tenendo chiare da una parte la distinzione tra i settori, dall’altra le necessarie interrelazioni.

3. Scelte politiche e organizzative, professionalità docente, qualità della didattica

Si dice che l’educazione, l’istruzione e la formazione costituiscano le condizioni essenziali per affrontare i problemi di una civiltà e per garantirne lo sviluppo nel tempo. Concetto questo che va certamente calibrato al tempo e alla temperie culturale, per poter scegliere percorsi che consentano una formazione aderente alle fisionomie del presente, ma anche agli scenari che si profilano all’orizzonte e che, in questo periodo, non sono proprio chiari. Non sarebbe pedagogicamente corretto investire tutte le risorse sulle situazioni contingenti, soprattutto se queste hanno il carattere dell’emergenza. Stiamo verificando come i saperi settoriali possano diventare un ostacolo quando, ad esempio, i contesti lavorativi richiedono competenze trasversali, capacità di selezionare, organizzare e mettere in relazione informazioni di diverso tipo, provenienti da ambiti diversi per progettare soluzioni e risolvere problemi, di assumere iniziative e decisioni. Quelle competenze che i documenti nazionali e internazionali, vecchi e nuovi, indicano come un framework capace di contenere le competenze culturali afferenti alle diverse discipline, unitamente a quelle metacognitive, metodologiche e sociali necessarie per vivere con gli altri nel mondo reale. Non so cosa intenda esattamente il ministro Bianchi quando pensa a una scuola affettuosa o al superamento della lezione puramente trasmissiva o, ancora, al superamento della classe come unico raggruppamento per l’apprendimento. Negli anni settanta/ottanta, con altre parole, questi erano aspetti che ogni docente aveva ben chiaro nel proprio operare e il principio etico della responsabilità era visibile anche solo nella partecipazione ai corsi di aggiornamento che ciascuno, di solito, pagava di tasca propria. Non tutto era funzionante neanche allora, ma la tensione ad essere migliori, a fare meglio nell’interesse di scolari e studenti era evidente. Quel progetto di scuola non si è concluso; con le cose che non funzionavano si è buttato anche il resto, ma la necessità di riprenderlo, di rileggerlo e di riattualizzarne le spinte innovative e propulsive è sempre più pressante.

4 . Orientare il cambiamento

Ritengo fondamentale che la scuola pubblica continui ad essere il riferimento per la realizzazione di un curricolo formativo, continuo e progressivo, per l’uomo/cittadino ma, per realizzarlo, deve farsi carico di costruire in ottica di cittadinanza e di giustizia sociale il sistema culturale da proporre. A partire dai saperi formali, dai contesti di realtà, dalle cornici di significato e dalle categorie interpretative che permettono di comprendere l’esperienza e di relativizzarla attraverso il confronto, per continuare, poi, con la riflessione sul sistema sociale e relazionale. Analizzando gli scopi, gli ambiti, le forme di relazione sociale e di impegno per la partecipazione civile si tenderà a costruire il sistema delle padronanze e di auto-orientamento quali l’autoefficacia, la consapevolezza di motivazioni e di scopi del proprio agire nel rapporto tra privato e sociale. Tutto questo costituisce il sistema etico di principi e di regole che governano- nella consapevolezza e nella intenzionalità – l’esperienza, le scelte, i comportamenti e le responsabilità nel privato e nel sociale. Con la speranza che le generazioni future riescano a comprendere la visione allargata di ciò che accade, a cogliere le influenze e le interconnessioni esistenti tra gli accadimenti globali, a pensare ai diritti propri e altrui come a valori che devono diventare obiettivi di sviluppo con risultati evidenti e valutabili. Le scienze della formazione, in quanto pratiche di generazione di valori per gli individui e per la società, sono sollecitate e chiamate in causa per dare significato e direzione di senso all’azione della scuola, indirizzando la formazione iniziale e in servizio dei docenti, privilegiando una visione utopica piuttosto che distopica della questione, indicando un paradigma che superi la logica del “tassello aggiunto” che inserisce corsi di aggiornamento su temi di rilevanza sociale senza verificarne la ricaduta nella pratica curricolare. È una sfida culturale, pedagogica e prima ancora politica; ma sappiamo che per la politica è difficile porre un problema se non ha la soluzione. Parimenti, non si può nemmeno continuare a far passare per emergenza quello che è invece un problema strutturale. La questione degli abbandoni scolastici, ad esempio: ci si chiede quali saranno i dati post-pandemia e in che modo la società tutta affronterà il problema della crescente precarietà che aumenta l’incertezza? O ancora, che cosa faranno i ragazzi che sono usciti dal sistema scolastico senza possedere un livello di formazione che permetta di essere consapevoli e autonomi nelle scelte e nella gestione della propria esistenza? Si continuerà a invocare provvedimenti normativi che garantiscano l’uguaglianza? Bisognerà chiedersi di quale uguaglianza parliamo se siamo tutti diversi. Si può e si deve garantire l’uguaglianza di opportunità e di diritti, non sarà mai possibile garantire l’uguaglianza di risultato. Torniamo a riflettere su questo anche a scuola. Occorre guardare le cose per quello che sono, per le evidenze che tutti abbiamo sotto gli occhi, indipendentemente da come i media ce le presentano. È urgente farlo, lo si può fare e lo si comincia a fare. Dal 16 al 25 settembre u.s., ad esempio, si è svolta la Summer School di Bressanone, organizzata dalla Siref presieduta dalla prof. Liliana Dozza, e tutti questi aspetti sono stati toccati e sviluppati in interventi di alto profilo, senza mistificazioni. Dovremmo ricordarci, e insegnarlo, che come sosteneva Charles Babbage già nel 1830, ci sono quattro metodi di falsificazione a cui dobbiamo fare attenzione: la mistificazione; le affermazioni fondate su osservazioni mai avvenute; l’esclusione ingiustificata dei risultati che deviano particolarmente dalla media; il ricorso a pochi valori concordanti, selezionati ad arte da un insieme più ampio, per avvalorare la tesi sostenuta. Sarebbe un piccolo passo per la costruzione di quello che chiamiamo pensiero critico.

5. Conclusioni

Dicevo prima che non so esattamente cosa intenda il ministro Bianchi con l’espressione “scuola affettuosa”. Se intende Scuola che “si prende cura” con il significato che gli attribuiva Don Milani, sono pienamente d’accordo. La cura, nelle istituzioni, dovrebbe rispondere al principio della giustizia sociale e della responsabilità. Nell’ambito della educazione-istruzione-formazione si configura come la responsabilità di una generazione verso le generazioni successive che restituiranno “alla vecchiaia”. La responsabilità, quindi, non può esaurirsi nella dichiarazione di intenti contenuti nelle “carte” ma deve rendersi visibile attraverso l’azione concreta, fondata sui principi di inclusione e di empowerment. La centralità della relazione, a scuola, non può essere intesa come un generico ritrovarsi e stare insieme, ma come una struttura che connette gli spazi di conoscenza, ampliati dalle differenze individuali che sono cosa diversa dalle disuguaglianze sociali, così come i diritti sono cosa diversa dai privilegi.