«Addio agli slogan, è ora di misurare le performance»

Il Sole 24 Ore del 11/10/2021

«Le aziende devono pensare all’inclusione allo stesso modo con cui pensano alla gestione del loro marchio. Per costruire una storia di successo devi coinvolgere tutta l’organizzazione: passare dall’essere passivi a intenzionali negli sforzi di inclusione». Marianne Waite è Director of Inclusive Design in Interbrand e Access ambassador per il governo inglese. Per questa top manager – una delle massime esperte al mondo sull’accessibilità e negli ultimi anni al lavoro per Burberry, HSBC e il ministero della Difesa britannico – non si deve più parlare di forma, ma di sostanza: l’inclusione non è un elemento accessorio o un orpello di comunicazione, ma parte integrante delle strategie di business. «Il nostro approccio è lavorare con i clienti per aiutarli a incorporare il design inclusivo nelle loro attività. L’obiettivo è cambiare il comportamento», precisa Waite.

Si può misurare l’inclusione?
Si può e si deve. Noi utilizziamo un modello di brand experience senza barriere per esaminare le prestazioni di inclusività dei marchi durante il loro percorso.

Qual è il risultato?
C’è ancora tanto da fare. La maggior parte delle realtà soddisfa appena i requisiti minimi obbligatori per soddisfare le esigenze delle persone disabili e vede l’inclusione come complicata e non necessaria. Classifichiamo queste organizzazioni come passive in quanto non lavorano attivamente per rimuovere le barriere per i clienti.

Ci sono casi di successo?
Certo. Per alcune realtà l’inclusività è così al centro delle proprie esperienze che non c’è distinzione nell’offerta per i consumatori disabili e non disabili.

Progetti concreti?
Penso per esempio all’iniziativa sulla mobilità di Jaguar Land Rover, che ha una partnership di lunga data con The Invictus Game, evento sportivo che coinvolge veterani di guerra con disabilità. Negli ultimi due anni il brand ha lanciato nuovi prodotti, migliorando l’esperienza del cliente e cambiando i processi per tessere l’inclusività nel tessuto stesso dell’azienda.

Cosa è cambiato nel corso degli anni?
La diversità e l’inclusione oggi sono un modo per superare barriere in passato insormontabili, mettendosi nei panni di tutti i clienti.

Su cosa ci si sta concentrando?
Sulla disabilità, che è l’aspetto più centrale della diversità e dell’inclusione. Nel 2018 Interbrand ha contribuito a lanciare The Valuable 500, una campagna globale sulla disabilità basata sul fatto che mentre il 90% delle aziende afferma di dare priorità alla diversità, solo il 4% la considera davvero come rilevante.

Perché l’inclusione genera business?
Perché garantisce che l’azienda sia in grado di soddisfare le esigenze del maggior numero possibile di persone e il più a lungo possibile. Brand come Apple, Amazon, P&G e Netflix comprendono che l’inclusività offre opportunità di crescita sostenibile. Ecco perché stanno investendo sempre più nella rimozione delle barriere.

Per il futuro che lezione dovremmo imparare?
Gli sforzi di inclusione devono andare oltre le mode. Un vero cambiamento può essere ottenuto solo come parte di programmi aziendali ampi che modificano i comportamenti. Ci vogliono tempo, investimenti e perseveranza. Ma il momento è adesso e l’unico vero rischio è restare indietro.