Una terribile ricorrenza!

Una terribile ricorrenza!

di Maurizio Tiriticco

16 OTTOBRE 1943 — E’ una data importante e tristissima per la comunità ebraica di Roma, ed anche per l’intera città. Per gli ebrei romani quella data segna una tappa del mostruoso itinerario normativo e applicativo iniziato nel settembre del 1938 con la promulgazione delle leggi razziali. Si trattò di un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi applicati nel nostro Paese fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal Regime Fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. Le leggi razziali hanno di fatto rappresentato l’anticamera dei campi di sterminio nazisti. Così dal 1938 in Italia gli ebrei addirittura…non muoiono più! Perché è vietata la pubblicazione dei necrologi! Perché gli ebrei devono diventare “invisibili”! Tuttavia – stando a quel che di tragico accadde in quel 16 OTTOBRE 1943 – gli ebrei romani in effetti erano molto visibili e facilmente reperibili: erano stati registrati in una lista, quindi perfettamente identificabili. Quel 16 ottobre era un sabato, quando, alle 5.30 del mattino, un nutrito drappello di soldati tedeschi, guidati dal capitano Dannecker, fecero irruzione nelle case degli ebrei di Roma, che le leggi razziali avevano contribuito a identificare. Furono così arrestate 1259 persone. Di queste, 237 furono rilasciate, le altre 1022 furono caricate su dei treni merci e deportati direttamente ad Auschwitz. E solo in 16 torneranno a casa!

Dal racconto di LELLO DI SEGNI —- “Eravamo tutti e sei in casa: io, mio padre, mia madre e tre fratelli: Angelo, Mario e Graziella. Quasi all’alba sono arrivati, si sono presentati e con una lista di nomi hanno iniziato a perlustrare le stanze, convinti che nascondessimo qualcuno. Dentro gli armadi, in soffitta, in cantina. Niente. C’eravamo solo noi, gli altri parenti erano scappati le settimane precedenti. Poi con il mitra dietro la schiena siamo scesi in strada e ci hanno fatto salire su dei camion… ”—- Un passo indietro. Il 26 SETTEMBRE 1943 il generale Kappler parla con il presidente della Comunità israelitica di Roma: vuole 50 chilogrammi di oro da racimolare in meno di due giorni. In cambio garantisce la non deportazione di 200 ebrei. L’oro viene consegnato. Fino a quel momento i tedeschi si erano dimostrati di parola e fino all’armistizio dell’8 SETTEMBRE 1943 non avevano deportato ebrei. Eppure tutto cambiò. La decisione arriva dall’ufficio centrale per la sicurezza del Reich, diretto da Otto Adolf Eichmann: che vuole un blitz come quello di Parigi: la cosiddetta operazione “Velodromo d’inverno”, quando più di tredicimila francesi furono riuniti e chiusi in uno stadio dedicato a gare di ciclismo e poi rastrellati. Pertanto l’oro fu intascato e gli ebrei furono tutti catturati! E’ opportuno ricordare che In Italia furono eseguiti 1898 arresti di ebrei da parte di italiani, 2489 da parte di tedeschi. 312 arresti vennero compiuti in collaborazione tra italiani e tedeschi, mentre non si conosce la responsabilità dei rimanenti 2314.

I prigionieri furono trasportati alla Stazione ferroviaria Tiburtina e rinchiusi in vagoni merci debitamente piombati. Ma torniamo al racconto di LELLO DI SEGNI: “Rimanemmo chiusi dentro ai vagoni per cinque giorni, quasi senza mangiare, il poco cibo e la pochissima acqua dipendevano da quanto le mamme erano riuscite a racimolare prima di partire. I nazisti non hanno mai, dico mai, aperto un portellone del vagone. Respiravamo a fatica”. Giungono in Polonia. La sfilata dei “trofei”, il ghigno dei gerarchi, i cani tenuti a fatica al guinzaglio, anche loro eccitati, la scelta di chi era utile per il lavoro e di chi no. La famiglia Di Segni non esiste più: la mamma e i tre fratelli sono uccisi subito, giudicati inutili dai nazisti. Si salvano solo Lello e il padre e, quando lo ricorda, non possono bastare settant’anni per trattenere le lacrime. Non ha potuto neanche dirgli addio! Un attimo ed è finita un’esistenza.

Lello si ferma. Sbottona il polsino della camicia sinistro, alza la manica, gira l’avambraccio e mostra il suo numero tatuato. “Mi sono fatto due anni di campo di concentramento, tra la Polonia e la Germania; ho anche lavorato dentro al Ghetto di Varsavia, scavavo, scavavo e ancora scavavo. Cosa trovavamo? Meglio lasciar perdere…”. Non vuole aggiungere altro. Troppa fatica, troppo dolore. Finita la guerra, Lello torna faticosamente in Italia; non pesa neanche trenta chili. “Mi sono fermato a Milano da alcuni parenti e, quando a Roma si è sparsa la voce che ero sopravvissuto, non ha idea di quante persone mi hanno raggiunto con le foto dei parenti scomparsi per chiedere se sapevo qualcosa. Se li avevo visti. Se erano ancora vivi”. Fino a quando gli giunge anche un messaggio inaspettato, del padre, anche lui vivo. “Sono riuscito a riabbracciarlo, ma per poco! Era troppo stanco, provato e malato. Subito dopo è morto”. Dei deportati di quella maledetta notte del 16 OTTOBRE 1943 sono tornati in sedici! E Lello era l’unico ancora vivo insieme a Enzo Camerino. Ma ci lascerà il 26 OTTOBRE del 2018.