Maturità, la prova scritta di italiano non ha più motivo di esistere: vi spiego perché

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da La Tecnica della Scuola

Riceviamo e pubblichiamo volentieri un contributo sull’Esame di Stato della secondaria di secondo grado realizzato dalla dottoressa Laura Biancato, dirigente scolastica presso l’ITET Luigi Einaudi di Bassano del Grappa.

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Ho divulgato e sostengo l’appello degli studenti all’eliminazione della prova scritta di italiano dall’Esame di Stato, ma non perché ritenga giusto abolire il testo scritto come dimostrazione delle competenze linguistiche.
Ritengo però che l’importanza del testo scritto e la cura di una didattica mirata a far acquisire al meglio le competenze in lingua madre, come in tutte le altre discipline, non si dimostrano con una prova finale, una tantum, basata peraltro sulla cristallizzazione di una sola tipologia di testo (poco importa se in effetti le tracce inducano a diversi procedimenti per lo svolgimento, sempre di un “tema” si tratta, diciamocelo…).
Questa é la tesi che vorrei sostenere.

 Premessa: in questo preciso punto del dibattito mi importa poco di come sia scritta la petizione; l’ho presa solo come punto di partenza e nemmeno ho controllato se gli errori degli studenti che l’hanno proposta siano reali o refusi in fase di trascrizione da parte della testata.
Credo possiamo tutti concordare sul fatto che la scuola Italiana, al momento, é la summa di pratiche e provvedimenti normativi disconnessi tra loro e spesso obsoleti.
Giusto per fare un solo esempio: la normativa sugli organi collegiali, che vincola profondamente un sistema di governance farraginoso e lento, è del 1974, mentre la legge sull’autonomia scolastica é del 1999; siamo nel 2021 e ancora attendiamo che questi due pezzi del puzzle si possano combinare in modo decente, o meglio, che vi sia finalmente una riforma complessiva e sensata della governance che non ci impedisca quotidianamente di lavorare con serenità per far andare avanti le scuole.
Se ci spostiamo sul piano dei curricoli, cioè dello sviluppo dei contenuti e delle competenze degli studenti, i più recenti sono di quasi 10 anni fa, e già allora non si può dire fossero adattati pienamente all’epoca nella quale viviamo e al repentino sviluppo di conoscenze e competenze per la vita nel XXI secolo.

La struttura dell’esame “di maturità” risale al 1923, quando l’allora ministro Gentile ne tracciò lo sviluppo in prove scritte e orali. Da allora, certo, l’esame ha subito diversi cambiamenti, fino ad arrivare al bailamme degli ultimi anni, Covid escluso. Ma, diciamolo, la filosofia di fondo della prova é rimasta la stessa, vent’anni dopo. Scritti di tipo “classico”, sebbene mascherati dalla proposta di diverse tipologie testuali, e orale sulle discipline e poco altro, dove tocca ascoltare argomenti che difficilmente arrivano a trattare delle problematiche mondiali degli ultimi decenni.
Nel frattempo, il mondo e le competenze necessarie per affrontarlo sono cambiati radicalmente, così come dovrebbero essere cambiati, ma non lo sono, i processi di insegnamento/apprendimento. Decisamente, la scuola non é riuscita ad uscire da logiche dell’”abbiamo sempre fatto così”. Sicché, come qualcuno di voi giustamente sostiene, si sono abbassate le competenze degli studenti. Curioso che continuino a gridarlo sui social, rabbiosi, proprio i docenti, che sono, loro malgrado, irta i primi (anche se non i soli) responsabili di questi effetti.
Dunque, a questo punto del ragionamento, trovo strano che non si consideri che, se le cose stanno così, forse due domande bisognerebbe farsele.

 Venendo al tema dell’esame di maturità e delle prove, quello che critico é una struttura rigida e omologante, che chiude invece un percorso di 13 anni di istruzione basato (grazie alle ultime ricerche psico pedagogiche, che non sono chiacchiere da bar…) su un diffuso concetto di individualizzazione e personalizzazione degli apprendimenti, oltre che sulla scelta, per gli ultimi cinque anni, di indirizzi di studio profondamente diversi tra loro.
La contraddizione tra gli esiti degli studi e della ricerca pedagogica (dati nazionali e internazionali alla mano) e la pratica didattica nelle scuole é tragicamente evidente, a questo punto. Sarebbe come se negli ospedali, per curare i malati, non si tenessero in considerazione le ultime scoperte della ricerca medica, scientifica e tecnologica.
La scuola dovrebbe personalizzare, mentre l’esame spesso omologa senza se e senza ma, in particolare con gli scritti, che per essere affrontati dagli studenti con fragilità dimostrate, richiedono da parte dei consigli di classe provvedimenti carambolici e spesso forzati al limite del ridicolo.
Percorso e prove finali sono in evidente contrasto metodologico, almeno da questo punto di vista.

 Ma non é tutto qui, c’é molto altro.
C’é che l’evoluzione della comunicazione in tutti i settori della vita e del lavoro, ci avrebbe dovuto portare ad evolvere anche le competenze che diamo agli studenti, nell’ambito della lingua come in tutti gli altri ambiti del sapere. E che questo, se fosse stato fatto, ci avrebbe dovuto portare anche ad una profonda revisione dei modi con i quali ci accertiamo che queste competenze siano state acquisite. Ad esempio, per chiunque oggi voglia trovare lavoro o sviluppare una propria attività imprenditoriale, è necessario saper usare benissimo i social e i loro linguaggi che, badate bene, non sono né di semplice attivazione né scontati. Oppure, é necessario saper scrivere bene una lettera motivazionale. Non c’è dubbio che una forma di allenamento alla scrittura  consista anche nella tipologia di testi assegnati per la maturità, ma di certo non si risolve tutto lì, anzi.
In ogni modo c’é sempre il fatto che un esame di maturità, come quello tradizionalmente inteso, è una prova strutturata in un tempo lontano, in una scuola che accoglieva solo una certa categoria di studenti, non una scuola di massa, come per fortuna abbiamo ora, specialmente dopo aver fissato l’obbligo di frequenza fini ai 16 anni.

 Il “tema” d’esame, che ipocritamente si può continuare a chiamare testo contando su una differenziazione davvero fittizia, è una forma non adatta a tutti, ma soprattutto fuori dal tempo, così come fuori dal tempo sono i percorsi di studio.
Il che ci riporta al problema centrale: il sistema scolastico nazionale, fatto di piccoli pezzi aggiunti via via e disconnessi tra loro, che non ci consentono di lavorare con i ragazzi in un percorso continuativo e coerente, e soprattutto aggiornato a ciò che la cultura e la società di oggi richiedono.
C’è chi giustifica la prova scritta, invocando a gran voce la necessità che gli studenti siano preparati per l’università. Ma avete presente cosa ne fanno, le università, dei nostri esami? Un bel niente, tanto che ne propongono di loro per l’accesso, questa volta sì, mirati e selettivi.

 Le università e il lavoro richiedono, invece, che una preparazione seria e completa, adatta ai talenti di ciascuno, si compia dalla scuola dell’infanzia alle superiori, con attenzione alle competenze e ai contenuti. Con prove periodiche ben strutturate e coerenti con il “programma”. E a poco serve che alla fine, una tantum, si faccia finta di proporre un esame selettivo dove passano praticamente tutti, senza colpo ferire. Dove il massimo della determinazione di giudizio sta nell’assegnare un 60 su 100 e via andare…
La dico ancora più chiaramente: io sarei proprio per l’abolizione dell’esame, altro che “rito di passaggio”…

 Chi conosce i meccanismi delle commissioni, quando sono miste esterni/interni, sa bene che si tratta di un’organizzazione piuttosto complicata, per non dire inadatta, e non priva di rischi per l’oggettività  e l’equità delle valutazioni.
Sarei per ragionare al meglio sui percorsi, per tappare le enormi falle di un sistema che non prepara a sufficienza né per l’università né per il mondo del lavoro. Sarei per rivedere la preparazione iniziale e la selezione delle persone che lavorano in questo sistema. Sarei per mettere a sistema metodologie che attivino e motivino i ragazzi e non li riducano spesso a  soggetti passivi seduti dietro a un banco.
Sono e sarò per una preparazione che tenga conto dei talenti individuali, che non per tutti gli studenti necessariamente si esprimono con un “tema”, come invece richiesto dall’esame di maturità classicamente inteso, che assegna a questo compito un valore e un punteggio che pesa fortemente sull’esito finale.

 Anche se la stampa continua ad indicare come “licei” tutti i percorsi di istruzione superiore, non tutte le scuole di secondo grado sono licei.
Lungi da me pensare che in un professionale non si debba saper scrivere, bisognerebbe riflettere che se proprio vogliamo mantenere un esame finale che sia significativo, per uno studente dell’alberghiero vada aumentata la possibilità di dimostrare, in una fase conclusiva del percorso, che se la cava benissimo in cucina o in sala o alla reception, certi di avergli insegnato a parlare bene e a scrivere bene nei precedenti 13 anni, competenze che non si accertano una tantum, ma che richiedono di essere consolidate per bene, e verificate altrettanto puntualmente, con le metodologie necessarie, per tutti gli anni di scuola, e non solo alla fine.

 Sono sicura, purtroppo, di non aver esaurito l’argomento, che richiederebbe una trattazione decisamente più ampia.
Ma, per favore, non svilite il dibattito cercando gli apostrofi in eccesso nel testo della petizione o gridando allo scandalo di una scuola che non bastona abbastanza o che non favorisce i “riti di passaggio”…
Concludo con una considerazione del tutto personale. A me é sempre piaciuto molto scrivere, grazie a insegnanti eccezionali, a partire dalla mia maestra delle elementari. Se scrivo decentemente, é per merito loro. Mi capita spesso di dover produrre articoli professionali, spesso di una certa complessità. Diciamo che la mia sfida nello scrivere questi pezzi è paragonabile, in proporzione, all’impegno di uno studente medio in un “tema” di maturità.
La scrittura, soprattutto dopo l’aiuto che il digitale può fornire nell’esercitarla bene, é un processo lungo, di organizzazione dei contenuti, ricerca di informazioni, stesura e revisione accurata che non può più prescindere dall’utilizzo della rete (se si vuol farlo bene), di un editor di testo e di un tempo adeguato, che può consistere anche in giorni, con pause nel mezzo.
Non so se sono particolarmente incapace, ma non credo. A me, per scrivere un buon testo, servono tempo (tanto tempo), soprattutto per la revisione, e disponibilità di strumenti. Tutto quello che non diamo ad uno studente nel momento della prova di italiano scritto alla maturità. Fine.

Laura Biancato