G. Capurso, La ghianda e la spiga

Giovanni Capurso, La ghianda e la spiga. Giuseppe Di Vagno e le origini del fascismo, Progedit

UN OMICIDIO POLITICO:IL “PROTOMARTIRE” SOCIALISTA PUGLIESE – GIUSEPPE DI VAGNO (1889 – 1921)

di CARLO DE NITTI

Ho avuto modo di leggere il volume, La ghianda e la spiga. Giuseppe Di Vagno e le origini del fascismo, recentemente edito da Progedit nella collana “Storia e memoria”.

La prima domanda che mi si è palesata alla mente è stata quella intorno alla ragione per cui sia stato affrontato un argomento quale quello dell’assassinio di Giuseppe Di Vagno (1889 – 1921), in occasione della ricorrenza centenaria.

E’ di sicuro interesse la ricostruzione analitica della vicenda umana e politica dell’avvocato di Conversano, socialista, antifascista, martire per la libertà, corroborata dalla lettura ed interpretazione di moltissimi documenti e della letteratura critica

Parimenti interessante anche l’ipotesi storiografica sostenuta nel volume, ovvero che l’uccisione di Giuseppe Di Vagno sia stato il colpo di grazia per affondare il patto di pacificazione del Paese che anche Benito Mussolini stava, in qualche modo, perseguendo. L’assassinio di Di Vagno divenne così uno dei momenti più importanti del passaggio verso la costruzione dello Stato totalitario, attraverso l’eliminazione fisica – come toccherà tre anni dopo ad un altro illustre esponente socialista, Giacomo Matteotti (1885 – 1924) – degli oppositori.

Peraltro, a Conversano, la tradizione culturale, anche cattolica, come viene ben ricordato, era incline al cattolicesimo liberale e risorgimentale, come quello espresso dal Vescovo Mons. Giuseppe Maria Mucedola (1807 – 1865), di cui è memoria in chi scrive, a partire dalla monografia che alla sua figura di vescovo e di patriota dedicò oltre quaranta anni fa, nel 1979, Matteo Fantasia (1916 – 1994), anch’egli conversanese (bambino di cinque anni quando fu assassinato Giuseppe Di Vagno), che tanto ha segnato la vita politica e culturale della nostra provincia nella seconda metà del XX secolo.

L’eccellente ricostruzione storiografica mette in luce anche i rapporti tra Di Vagno ed altri famosi antifascisti pugliesi, da Gaetano Salvemini (1873 – 1957) a Tommaso Fiore (1884 – 1973), che, negli stessi anni di Giuseppe Di Vagno, erano impegnati in una militanza forte in favore delle classi più deboli.

Leggendoti, invero con molto piacere intellettuale, vien fatto odi pensare alla figura di un altro antifascista pugliese illustre suo contemporaneo, Giovanni Modugno (1881 – 1957), pur nella assoluta diversità delle figure studiate, accomunate dall’intransigente rigore etico e politico.

Il testo di Giovanni Capurso giova sicuramente a ricostruire ad onorare la figura di Giuseppe Di Vagno nel centesimo anniversario del suo barbaro assassinio – anche in collaborazione con la Fondazione a lui intitolata – presieduta dall’avv. Gianvito Mastroleo, anch’egli conversanese, già Presidente della Provincia di Bari tra la seconda metà degli anni ’70 ed i primi anni ’80 – contestualmente, a raccontare, spiegandoli  nella loro concatenazione temporo-causale, passaggi importanti di storia, pugliese e non solo, del ‘900. 

Il ruolo svolto da Giuseppe Di Vagno nel Partito Socialista – con tutte le divisioni al suo interno – del tempo suo superò, di certo, i confini della Terra di Bari e della Puglia “rossa” tra il primo ed il secondo ventennio del XX secolo: dalla sua scelta di schierarsi con il proletariato agricolo della sua Conversano prima, e di tutta la Puglia poi, alla militanza coerente nel partito socialista anche in senso antimilitarista allo scoppio e durante la Prima Guerra Mondiale, all’elezione come consigliere della Provincia di Bari, alla collaborazione con Gaetano Salvemini (con il quale dissentì, a giusta ragione, intorno alle prospettive dell’Associazione Nazionale Combattenti nel dopoguerra), consigliere anch’egli nello stesso tornio di tempo. 

L’impunito assassinio del deputato conversanese il 23 settembre 1921 non solo fu certamente il risultato dell’aggressività dello squadrismo agrario pugliese un anno prima della marcia su Roma (28 ottobre 1922) ma le aprì la strada e pare essere anche l’anteprima del delitto, parimenti efferato, di Giacomo Matteotti (1885 – 1924), quando il fascismo era già al governo, nell’ambito della costruzione della dittatura fino alle leggi cosiddette “fascistissime” (novembre 1926). Con l’assassinio di Di Vagno “per la prima volta nella storia d’Italia un parlamentare era stato ucciso per le idee che professava” (p. 92).

Peraltro, come pure il processo agli assassini di Matteotti, anche quello a chi uccise Di Vagno, terminò in un nulla di fatto. Anche il secondo, dopo la liberazione – svoltosi nel clima dell’amnistia voluta dall’allora Guardasigilli, Palmiro Togliatti – non sortì l’esito che avrebbe dovuto avere: la condanna degli assassini. I sicari e non soltanto (cfr. il capitolo “Il secondo processo”, pp. 97 – 101).

Da uomo di scuola quale chi scrive è da circa trentacinque anni, è interessante immaginare un utilizzo “didattico”, “educativo” – in classe, con le ragazze ed i ragazzi, per dirla senza tanti giri di parole – di questa monografia: sarebbe, di certo, un momento di forte tensione (nel senso etimologico della parola) verso la costruzione di una cittadinanza attiva e responsabile, che è una delle finalità dell’istituzione educativa per eccellenza: con tutte le strategie didattiche possibili, al fine di avvicinare l’argomento a tutti i discenti di ogni ordine e grado di scuola. Sarebbe un ottimo momento formativo anche per tanti docenti…