G. Rinaldi, C’ero anch’io su quel treno

Giovanni Rinaldi, C’ero anch’io su quel treno. La vera storia dei bambini che unirono l’Italia, Milano, Solferino

“C’eravamo tanto amati …” Un’Italia unita e solidale da Nord a Sud per i bambini

di CARLO DE NITTI

“W l’Italia, l’Italia che resiste”: questo verso conclusivo di una nota canzone -, “W l’Italia”, appunto – del 1979, di Francesco De Gregori (tratta dall’album omonimo) è il primo pensiero che mi è venuto in mente dopo aver letto tutto d’un fiato quest’ultimo bel libro di Giovanni Rinaldi, ricercatore di storia orale, fotografo e documentalista antropologico: testo coinvolgente ed emozionante, al limite della commozione, C’ero anch’io su quel treno. La vera storia dei bambini che unirono l’Italia, recentissimamente edito a Milano dalla casa editrice Solferino nella collana Saggi.

Giovanni Rinaldi, da oltre venti anni, prosegue il suo appassionato e diuturno lavoro di ricerca tra coloro i/le quali furono protagonisti/e di un’esperienza pressoché unica in un’Italia che, al termine della seconda guerra mondiale, in cui era stata sconfitta e materialmente distrutta, ma rigenerata con la caduta del Fascismo e la Resistenza in tutte le sue forme (militari e dei civili, delle donne, degli internati militari italiani), aveva dentro di sé fortissimi il desiderio e la volontà di rinascere su basi ben diverse da quelle della società liberale di inizio secolo.

Lo scenario all’interno del quale si muove la ricerca di Giovanni Rinaldi – di cui questo volume è testimonianza – è quello dell’Italia post bellica, che vuole cercare/trovare in sé le forze per la propria ricostruzione umana e sociale, prima ancora che politica ed economica.
C’ero anch’io su quel treno. Storia dei bambini che unirono l’Italia è la prosecuzione ideale di un’altra pubblicazione che lo stesso Giovanni Rinaldi ha dato alle stampe nel 2009, I treni della felicità. Storie di bambini in viaggio tra due Italie, pubblicato dalla casa editrice Ediesse nella collana Cartabianca, con un’indimenticabile prefazione della giornalista e scrittrice Miriam Mafai (1926 – 2012).

La ricerca ha l’obiettivo precipuo di ricostruire, attraverso le loro testimonianze dirette e non, le storie di vita (furono in totale circa settantamila) di alcune migliaia di bambine e bambini che furono fatti partire dal Centro-Sud martoriato dalla guerra – Cassino, Napoli, Sardegna – o dalle repressioni anticomuniste dei governi dell’epoca – San Severo –  e che trovarono accoglienza, ospitalità ed amore presso famiglie di semplici lavoratori dell’Italia Centro settentrionale – Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Piemonte, Umbria, Liguria.

Il volume si articola in tre parti – Alla ricerca dei bambini salvati; Alla ricerca delle famiglie solidali; Ridare senso alle storie spezzate – ed un Epilogo: questo libro non è riconducibile in modo unitario ad alcun genere letterario . L’autore si muove in una zona di confine – come un esploratore che si avventuri in terre incognite – tra saggistica storica, memorialistica, autoetnografia e romanzo di formazione. Questi generi si intrecciano tra loro e mostrano una tranche de vie di un’Italia povera ma solidale, animata da forti ideali umani, prima ancora che sociali e politici.

Attraverso quei treni si concretizzò il tentativo di salvare bambini meridionali dalla fame da parte di un partito politico, il Partito Comunista Italiano, attraverso le sue strutture territoriali (federazioni provinciali e subprovinciali e sezioni locali) nonché le sue organizzazioni collaterali, come l’Unione Donne Italiane, o create ad hoc come il Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli, il cui presidente era l’on. Giorgio Amendola (1907 – 1980), napoletano egli stesso, nonché uno dei massimi esponenti del partito medesimo. Furono in primis le donne dell’U.D.I. – le “compagne”, come erano appellate all’epoca nel partito comunista – con in testa l’on. Teresa Noce (1900 – 1980), partigiana e deputata alla Costituente, a lanciare l’idea e l’iniziativa.

Questi trasferimenti dei bambini per via di treno – i treni della felicità – come l’allora sindaco di Modena Alfeo Corassori (1903 – 1965) definì i convogli che condussero quei bambini a vivere un’esperienza unica ed inimitabile durante la loro infanzia.

Quei bambini ricevettero un’accoglienza affettuosa ed un’ospitalità imprevista presso famiglie accoglienti di volenterosi lavoratori, che fecero giustizia dei pregiudizi che al sud avevano accompagnato l’iniziativa da parte di tanti (a cominciare dagli influentissimi sacerdoti) impegnati in polemiche anticomuniste, in un momento storico in cui frontale era la contrapposizione tra cattolici e “senza Dio”, culminata il primo luglio 1949 in un decreto del Santo Uffizio ed approvato da Pio XII (1939 – 1958), passato alla storia come la “scomunica dei comunisti”

Quella che Giovanni Rinaldi compie nel corso del volume non è soltanto una mera ricostruzione storiografica attraverso le testimonianze orali raccolte da quei bambini oggi anziani ed eventuali loro parenti e discendenti: <Abbiamo trovato il protagonista di un racconto e di fatti accaduti 60 anni prima. Senza rendersene conto, dalla ricerca di storie e dei testimoni che avrebbero potuto raccontarcele, stiamo intervenendo all’interno di queste storie […] Stiamo smuovendo non più solo la memoria e il passato, ma giocando col presente e la realtà di persone anziane che, nel momento in cui offrono il loro racconto, ci appaiono bambini veri, senza età, proiettati in un tempo felice misterioso, lontano dalla loro vita quotidiana che spesso non sembrano all’altezza di quella piccola epopea vissuta molto tempo prima […] Ospitare come figlio, sia pure per poco tempo, il figlio di altri diventava la consegna i propri figli di una scelta culturale, politica e sociale, mentre al piccolo ospite offriva un segnale una mappa che gli avrebbe consentito di trovare strade migliori di quelle che aveva percorso, di potersi confrontare esperienze affettive diverse, mondi diversi, parole e gesti che avrebbe conservato per tutta la vita> (pp. 175 – 176).

Il lungo passo del volume di Giovanni Rinaldi dice la tensione etico-politica di tutti i protagonisti di quell’esperienza che faceva conoscere a bambini ed adulti l’esistenza di altri mondi, di un altro cielo possibile, e che aiutava a modificare il proprio “destino”, posto nelle proprie mani semplici di lavoratori uniti da un ideale e da una capacita organizzativa fuori del comune.

Un esempio della capacità dell’Autore di “entrare” nelle storie: quello di Benedetto, bambino frusinate accolto per circa due anni dalla famiglia Muccinelli a Lugo di Romagna (Non si doveva toccare, quel bambino era sacro, pp. 151 – 157) e ritrovato (Il ritorno di Benedetto, pp. 175 – 179).

Giovanni Rinaldi  si è meritoriamente fatto coinvolgere – e continua a farlo anche per mezzo del suo blog giorinaldi.com – come “levatrice della storia” nella misura in cui cerca di “ridare senso alle storie spezzate”, contribuendo a far incontrare persone che il tempo e la vita hanno diviso, facendo riemergere storie di vita personale e sociale, altrimenti condannate ad un’ingiusta damnatio memoriae.

Come la storia di Aldo Di Vicino, bambino napoletano ospite di una famiglia di Imperia, che è descritta all’inizio e nell’ultimo capitolo del volume per concludersi nel suo Epilogo a due voci, quelle dei figli/nipoti dei protagonisti della storia. Sono loro che – con un maieuta d’eccezione come Giovanni Rinaldi – si incontrano in piena pandemia e scoprono una dimensione diversa delle loro storie familiari e del loro rapporto con i “padri”. Per i figli, soprattutto maschi, il rapporto con il padre non è mai “roseo”, come Sigmund Freud insegnava: non poteva non esserlo in condizioni estremamente particolari come quelle vissute in “tempi bui”, come li chiamava Bertoldt Brecht (1898 – 1956), da Gennaro Di Vicino ed, in modalità diversa, da Simone Castagno.

Scriveva, nel 2004, Franco Marcoaldi, in un contesto storico tutt’affatto diverso, sul rapporto tra padre e figlio: “Ascolto la tua storia perché è il senso della mia che sto cercando” (Beniaminowo: padre e figlio. Poemetto teatrale a due voci, Bompiani).

E’ innegabile il merito di Giovanni Rinaldi di aver squarciato, con la sua ventennale ricerca, il velo di oblio che era calato su questa esperienza di storia politica e sociale. In un’epoca, quale quella in cui ci tocca di vivere, ricca di frequentissimi trasformismi e di diffusi gattopardismi di ogni sorta, le storie raccontate da Giovanni Rinaldi nel suo volume rappresentano una bella lezione di etica e di politica, quelle con le lettere maiuscole: dai protagonisti del volume una testimonianza di altissimo profilo.