Povertà educativa: al Sud crollano i servizi all’infanzia e aumentano certificati di malattia e reddito di cittadinanza

da Tuttoscuola

di Anna Maria De Luca

Fanno discutere i dati diffusi dall’Inps: al Sud i certificati di malattia sono più che raddoppiati rispetto al secondo trimestre del 2020. I numeri sono rilevanti: +108,4% per gli uomini,  +80,5% per le donne e  +107,4% per i lavoratori più giovani.  Considerando che il Meridione è l’area del Paese con il maggior numero di percettori di reddito di cittadinanza e di reddito di emergenza (il 6% nei Comuni del sud contro il 2% della popolazione nei Comuni del nord), si delinea un quadro su cui riflettere. Soprattutto se lo uniamo ai dati presentati nel Rapporto sulla qualità della vita 2021, realizzato in questi giorni da  ItaliaOggi con l’Università La Sapienza –  che vede in coda 25 province quasi esclusivamente dislocate nel Sud – e alle considerazioni dell’Atlante dell’infanzia a rischio presentato da Save the Children in occasione della Giornata Internazionale per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Su una platea di 3 milioni di individui beneficiari del reddito di cittadinanza, 753 mila sono minorenni. Non solo la povertà come indicatore deve essere preso in considerazione, anche l’incisività delle disuguaglianze è una cartina tornasole importante.

Sono pagine che ritraggono una geografia dell’infanzia che svela ingiustizie di opportunità, di diritti e di futuro. I numeri  dimostrano che non si è investito sulle generazioni più giovani. Tra il 2010 e il 2016 la spesa per l’istruzione è stata tagliata di mezzo punto di PIL, si è risparmiato sui servizi alla prima infanzia, sulle mense e sul tempo pieno. Divari e  disuguaglianze che, allo scoppio della pandemia, hanno spianato la strada ad una crisi educativa senza precedenti. E cosi gli Early school leavers (ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non studiano e non hanno concluso il ciclo d’istruzione), sono cresciuti fino al 13,1% (contro il 9,9% di media europea), i NEET – giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in alcun percorso di formazione – fino al 23,3% (media europea 13,7%).

Il punto di svolta sarà il PNRR, combinato alla nuova programmazione dei fondi europei e alla Child Guarantee, un investimento complessivo sull’infanzia che non ha precedenti dal dopoguerra. Spiega Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia – Europa di Save the Children: “Con la pandemia i divari nelle opportunità di crescita si sono ampliati, non solo lungo la linea geografica Nord-Sud, ma anche all’interno delle regioni più sviluppate, nelle grandi città come nelle aree interne”. E sul PNRR dice: “Se l’impiego di queste risorse sarà volto a rafforzare solo i territori più attrezzati e verrà tutto deciso dall’alto, senza un coinvolgimento delle comunità locali e degli stessi ragazzi e ragazze, il rischio reale è quello di migliorare gli indicatori nazionali senza tuttavia ridurre – anzi aggravando – le disuguaglianze. E’ un rischio concreto, se si considerano i primi bandi sugli asili nido che hanno tagliato fuori molti territori più deprivati”.

Ed è proprio il dato sugli asili nido che emerge con forza nel rapporto di Save the Children: le diseguaglianze e la povertà educativa si sperimentano infatti sin dalla primissima infanzia. In Italia solo un bambino su 7 (14,7%) usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l’infanzia finanziati dai Comuni: il 3,1% dei bambini che nascono in Calabria contro il 30,4% di quelli che nascono nella provincia di Trento. La spesa media pro capite (per ogni bambina o bambino sotto i 3 anni) dei Comuni per la prima infanzia è di 906 euro ciascuno, con divari che vanno dai 2.481 euro di Trento ai  149 euro della Calabria. Tempo pieno: in Italia solo il 36,3% delle classi della scuola primaria usufruisce del tempo pieno, con forti disparità sul territorio, dal 95,8% delle classi della provincia di Milano al  4,5% di Ragusa, fanalino di coda.

Cali di apprendimento e divari sono evidenti anche nell’analisi degli ultimi test Invalsi; la dispersione implicita, cioè il mancato raggiungimento del livello sufficiente in tutte le prove, è in media del 10% nell’ultimo anno delle scuole superiori, con significative variazioni su scala regionale. Per quanto la crisi abbia colpito tutti gli studenti, quelli già in condizione di svantaggio hanno subito le conseguenze più gravi. I punteggi medi dei test in italiano e matematica, evidenziano, infatti, risultati peggiori per gli adolescenti che provengono da famiglie di livello socio-economico basso o medio basso.