L’eredità di Giancarlo

L’eredità di Giancarlo

di Maurizio Tiriticco

L’ispettore Giancarlo Cerini, il collega, l’amico Giancarlo Cerini, ci ha lasciati. L’“Atlante delle riforme (im)possibili”, edito recentemente dall’Editrice Tecnodid, è l’ultimo lavoro di Giancarlo, “faentino di nascita – come leggiamo in quarta di copertina del volume – e forlivese di adozione. Maestro di scuola, Direttore Didattico, poi Dirigente Tecnico del Ministero dell’Istruzione, Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Autore e redattore di numerosissimi libri, centinaia di saggi e migliaia di articoli a partire, giovanissimo, dagli anni ottanta. Componente di molte commissioni ministeriali che hanno ridisegnato nel tempo l’assetto delle nostre istituzioni scolastiche tra cui il ‘Comitato scientifico nazionale per l’attuazione delle Indicazioni nazionali per il curricolo e il miglioramento continuo dell’insegnamento’. Da ultimo, Presidente della ‘Commissione Nazionale Infanzia per il Sistema integrato 0-6, costituita ai sensi del Dlgs 65/2017’. Ha diffuso nel Paese la cultura pedagogica, l’amore per la scuola, la passione per il lavoro”. Questo è il ricordo dell’Editrice Tecnodid. Ma il mio?

Eccolo: è il ricordo sentito del collega ispettore – o, se si vuole, dirigente tecnico – Tiriticco e dell’amico Maurizio. Conosco Giancarlo da tanti anni! Non ricordo da quando. So soltanto che mi chiamò molti molti anni fa (anni settanta?) a Forlì: lui era un maestro di scuola elementare ed io ero un professore di scuola secondaria, “distaccato” – era il linguaggio ministeriale – presso la cattedra di “pedagogia” del Prof. Raffaele Laporta alla Terza Università di Roma. Dove dovevo condurre attività di aggiornamentol’espressione “formazione continua in servizio” non era ancora stata coniata – nei confronti di insegnanti di scuola secondaria, in ordine a tematiche che allora cominciavano a vedere la luce! Relative alla Pedagogia! Alla Didattica! Parole e discipline da sempre estranee alla formazione professionale di insegnanti di scuola secondaria di primo e di secondo grado. Roba da maestre! E di qualche raro maestro maschio! Ma ormai in quegli anni, sessanta e settanta, l’accesso all’istruzione secondaria di secondo grado cominciava a generalizzarsi. Pertanto, non più solo la “professoressa” – per usare il linguaggio di Don Milani – della scuola media, ma anche la “professoressa” del biennio postobbligatorio incontrava grosse difficoltà a misurarsi con un pubblico giovanile che, dopo avere frequentato – e non sempre volentieri – la scuola media obbligatoria, cominciava ad “invadere” anche l’istruzione secondaria di secondo grado!

Erano giovani attratti dal miraggio di un diploma più premiante in un’Italia che ormai era diventata la quinta potenza al mondo! Altro che l’Italietta della “maestrina della penna rossa”! Un Italia grande, dove un lavoro tecnico non più soltanto manuale era sempre più richiesto. Altro che l’Italia di un tempo, quel Paese trascinato in una guerra sciagurata da una dittatura! Diventato ormai un Paese che, grazie alla Resistenza a ai suoi tanti martiri, aveva trovato un suo autorevole posto nel mondo. Lo studio post-scuola media era pressoché obbligatorio. Ed in generale negli istituti tecnici e professionali. E forse anche nel liceo scientifico. Il classico era in genere “immune” da questa invasione: lo spauracchio era il greco! Nonché la prospettiva di un “lavoro intellettuale” non molto appagante per un giovane che vuole lavorare al più presto. E poi era già più che sufficiente misurarsi con il latino.

Il Ministero della Pubblica Istruzione avvertì l’esigenza di una formazione supplementare – diciamo così – dei suoi insegnanti di istruzione secondaria, e proprio quelli del primo biennio! Occorreva forse una seconda “lettera a una professoressa”, stavolta attiva nell’istruzione superiore. I seminari annuali che avviammo presso la cattedra del Prof. Laporta erano essenzialmente dedicati ad una formazione “supplementare” dei nostri insegnanti dell’istruzione secondaria su materie pedagogico/didattiche a loro di fatto sconosciute.

Ed io compresi che, con questa sorta di “scolarizzazione forzata”, anch’io avrei dovuto fare i conti con la ricerca pedagogica. E i miei interessi pedagogici e didattici trovarono una sede originale presso la Casa Editrice Tecnodid, di Napoli, che da anni pubblicava quindicinalmente una rivista preziosa per gli operatori scolastici, direttori, presidi, segretari, “Notizie della Scuola”. E in seguito – non ricordo esattamente dove, come e quando – io, Umberto e Antonio Crusco, responsabili Tecnodid, e Giancarlo Cerini avvertimmo l’esigenza di pubblicare un qualcosa di operativo per gli insegnanti, e soprattutto in materia di valutazione. Ormai la ricerca educativa ci aveva insegnato che la valutazione non è solo assegnare voti, promuovere o bocciare. Implica operazioni altre e più complesse! La valutazione iniziale, quella intermedia, quella conclusiva. E ci aveva anche insegnato che la prestazione offerta da un alunno, prima di essere valutata, deve essere misurata. E sono operazioni che rinviano ad una specifica disciplina di ricerca, la docimologia! Se ne sono occupati, in Italia, studiosi importanti: Mario Gattullo, con “Didattica e docimologia, misurazione e valutazione nella scuola”, Armando, Roma, 1957; Clotilde Pontecorvo, Aldo Visalberghi, Luigi Calonghi (fondanti i suoi “Reattivi nella scuola” e “I test di acquisizione e di profitto”). E poi Benedetto Vertecchi, Roberto Maragliano, Michele Pellerey.

Insomma, in questa situazione così in movimento, una scuola che deve istruire tutti, ma che deve anche orientare e valutare tutti, e con i criteri più attendibili possibili, occorreva intervenire nei confronti degli insegnanti! Ma non con il linguaggio accademico, bensì quello della scuola, comprensibile, chiaro, operativo, quello, appunto, di uomini di scuola. Ed io e Giancarlo eravamo uomini di scuola; e con la scuola, con gli insegnanti avevamo dimestichezza, lavoravamo! E allora? Perché non scrivere un qualcosa sulla valutazione, che fosse di estrema chiarezza e, soprattutto, operativo?

Fu così che, agli inizi degli anni novanta, in occasione del varo delle “nuove schede di valutazione” per la scuola elementare e per la scuola media (si vedano le CM 167/1993 e 237/93), la Tecnodid affidò a me e a Giancarlo il compito di scrivere qualcosa in merito ma che fosse soprattutto operativo per gli insegnanti. Fu così che nacque “Le nuove schede di valutazione nella scuola dell’obbligo, indicazioni per la compilazione nella prospettiva della continuità educativa”. E Gaetano Domenici fu così cortese da scrivere un’introduzione per nulla di circostanza! Ben otto pagine! Significa che era convito della validità del nostro scritto.

Ma non finisce qui! Nello stesso anno io e Giancarlo scrivemmo a quattro mani sempre per la Tecnodid “Valutare perché e come”. La parte prima riguardava la scuola elementare (allora si chiamava ancora così); la parte seconda, scritta da me, riguardava la scuola media. E la nostra collaborazione, che in effetti veniva da lontano, continuò. E in forme diverse: ad esempio nei tanti convegni organizzati dalla Tecnodid ad Ischia, nel periodo estivo. Convegni, per altro affollatissimi, di insegnanti e dirigenti scolastici! Chi legge penserà: sì ad Ischia! Con tutto quel mare… è vero! Nonostante “tutto quel mare”, al mattino interventi preziosi e stimolanti, e al pomeriggio lavori di gruppo. E il mare era lontano! Perché la Tecnodid non dava tregua né agli insegnanti né ai suoi esperti. Ma non finiva lì! In autunno, altri convegni, a Scanno.

E Giancarlo era sempre presente, con i suoi interventi ricchi, articolati: tante carte sul tavolo e le sue mani a farle scorrere, a ritrovare i mille spunti che arricchivano il suo parlare, lento, chiaro, ricco, convincente. Questo era Giancarlo: nei convegni! E nel quotidiano? Sempre pronto a rispondere a qualsiasi quesito, ad aiutare l’operatore scolastico a superare difficoltà d’ogni sorta. E per finire? Che pensare? Che scrivere? Per tutte queste cose, e per mille altre, Giancarlo rimarrà sempre nei nostri ricordi, nella nostra mente e nel nostro cuore. Come concludere? Salutare per sempre qualcuno è sempre difficile! Ancora di più se dobbiamo salutare una persona a cui vogliamo bene, perché a Giancarlo tutti vogliamo bene. Un maestro ci ha lasciati! Ma ci ha lasciato una grande eredità. Non abbiamo perduto i suoi insegnamenti. La sua eredità è nella mente e nel cuore di tutti noi. E saremo testimoni attendibili? Ai posteri l’ardua sentenza!