Difficile, ma non impossibile

Difficile, ma non impossibile

di Rita Manzara

Com’è prassi, sono arrivata con ampio anticipo: la sala è ancora deserta. 

Accendo il pc ed il videoproiettore, inserisco la chiavetta USB. Il solito attimo di apprensione, poi con sollievo accolgo la comparsa della prima diapositiva del Power point. 

Tra non molto arriveranno i docenti. Formazione obbligatoria, perciò saranno tanti: probabilmente, in assenza del vincolo, le adesioni sarebbero state decisamente più ridotte.

Tuttavia, anche in un ambiente affollato (ovviamente nel rispetto delle misure di sicurezza) le presenze attive saranno poche. Gli spunti di riflessione vagheranno nell’aria scontrandosi con la demotivazione degli astanti che, dopo qualche battuta, li etichetteranno come “le solite utopie”.

Varrebbe la pena di riflettere sulla disaffezione –da parte dei docenti in particolare – nei confronti della formazione stessa.

È un dato di fatto che, superata la formazione iniziale (obbligatoria ai fini del superamento dell’anno di prova) l’interesse degli insegnanti in tal campo si riduce ad alcuni specifici settori (es. tecnologie informatiche) e coinvolge solo una parte del personale, certamente non l’intera comunità scolastica.

Purtroppo, ci sono discorsi di fondo che, pur essendo essenziali, sono destinati a rimanere confinati nel limbo dei giri di parole edelle citazioni o, nei casi più favorevoli, nell’illustrazione di buone prassi che non sono direttamente applicabili nelle molteplici realtà educative, diversamente connotate in termini di clima relazionale, esigenze, risorse e vincoli ambientali.

La vita scolastica è oggettivamente compressa dentro ritmi e scansioni temporali dettati da condizionamenti sociali e da lunghe e consolidate convinzioni e consuetudini non collocabili in una dimensione ideale come ad esempio quella dell’inclusione: ogni volta che si parla di contesti educativi facilitanti, di abbattimento di barriere, di realizzazione di ambienti che favoriscano il benessere di tutti sembra di entrare in un mondo diverso come un pianeta lontano.

Dal momento che sono questi i contenuti del mio intervento provo ad impiegare il tempo che mi resta prima dell’ingresso dei corsisti cercando un incipit che possa almeno ritardare la sconfortante sensazione che deriva dai discorsi che cadono nel vuoto.

Mi siedo in prima fila, immedesimandomi nell’ascoltatore inizialmente attento e partecipe, quello che raggiungendo la sede del corso spera ancora di uscirne, due o tre ore più tardi, con qualcosa di utile per affrontare la quotidianità di una difficile e complessa azione didattica.

Sono stata anch’io un’insegnante: mi piace questo termine che, a differenza del sinonimo “docente”, mi sembra trasmetteresfumature di empatia e di semplicità. 

I miei esordi professionali sono avvenuti in tempi certamentediversi, tuttavia alcuni nodi sono sopravvissuti perenni alle innumerevoli rivoluzioni che hanno contrassegnato la storia della scuola.

Ci sono sempre stati alunni “problematici”. Ora ci sono più etichette ed acronimi ed i metodi didattici si fanno sempre più “tecnici” e sempre meno pedagogici.

I ragazzi “difficili”, al di là dei limiti oggettivi (collegati o meno ad eventuali, accertabili patologie) percepiscono la scuola comeun ambiente ostile o quantomeno estraneo alla loro vita “vera”, fatta di regole e libertà che non coincidono con quelle imposte o concesse da persone che sono convinti non essere in grado diascoltarli e capirli.

Ognuno, poi, ha un suo modo di reagire: c’è chi dà di matto, chi si ritira nei suoi pensieri… Ma c’è anche qualcuno che spesso non riconosciamo come “difficile” poiché – per evitare coinvolgimenti- si limita a fornire risposte adeguate per ottenere voti positivi, augurandosi che l’ora di lezione (o il quadrimestre) finiscapresto…

Non dimentichiamo che dove esistono alunni “problematici” lo sono spesso anche coloro che operano nella scuola ma non stanno bene in questo contesto. Non si riconoscono, ad esempio, in un lavoro accettato come ripiego, oppure sono delusi da una scelta convinta che è diventata, col tempo, una “quasi condanna”.

Qualcuno, inoltre, pur avendo mantenuto un sano entusiasmo per il proprio ruolo si scoraggia perché non riesce a condividere proposte ed idee con i colleghi contitolari delle medesime classi: con quelli, cioè, che decidono a priori di rimanere ancorati alle proprie convinzioni, spesso corrispondenti ad un rapporto di forza tra le parti dove è l’adulto che comanda, dettando le regole e trasmettendo informazioni.

Le teorie non possono cambiare questa condizione, che si rispecchia chiaramente anche nel momento in cui i docenti ascoltano (in molti casi perché “costretti” o quasi) le parole di un relatore.

La situazione sin qui descritta non si concilia con un concetto di formazione come strumento essenziale per la valorizzazione del personale scolastico, come si evince dalla lettura dell’Atto di indirizzo politico-istituzionale del Ministro dell’Istruzione BIANCHI per l’anno 2022 (destinato ad orientare l’azione del MIUR anche per il triennio 2022-2024).

Non possiamo sperare che basti qualche diapositiva per rendere efficace l’auspicata formazione continua del personale scolastico. 

Per migliorare la qualità dell’offerta formativa si può, innanzitutto, cercare di stimolare il personale scolastico a “spingere fuori da sé” il malessere senza il timore di essere giudicati. 

Una iniziale condivisione delle difficoltà può favorire la collegialità, indispensabile ma spesso assente nella conduzione delle attività scolastiche. 

Non è possibile, però, rimanere nella fase di “lamentela” o di rinuncia: è necessario far emergere la volontà di rimettersi in gioco suscitando la voglia di “essere nuovi”, di creare rapporti di fiducia e di rispetto, di intraprendere una ricerca comune di soluzioni concrete, oggettivamente praticabili.

Solo a questo punto il formatore dovrebbe offrire un input di ricerca di possibili strumenti adatti almeno a contenere – se non a distruggere – ciò che condiziona negativamente il percorso scolastico di ciascuno, nei diversi ruoli.

Difficile, ma non impossibile. Si può almeno tentare.

Mi alzo e spengo il videoproiettore nello stesso preciso momento in cui entrano i primi corsisti.