Dai codici linguistici al Debate

di  Pietro Boccia

    Il dibattito argomentato (Debate) ĆØ un’attivitĆ  metodologica di cooperazione che mette a confronto due gruppi, costituiti da due o tre allievi. Il docente assegna un argomento che viene discusso dai due gruppi che si pongono in campi avversi e su tesi contrapposte. Il dibattito argomentato (Debate), come metodologia, fa emergere e sviluppare diverse competenze: linguistiche; logiche; argomentative; espositive;  analitiche; democratiche e cosƬ via. Pertanto diventa preliminare per i partecipanti a tale didattito argomentato (Debate) conoscere in maniera critica e approfondita non solo la tematica, scelta per argomentare, ma anche i codici linguistici (verbale, paraverbale e paraverbale) per comunicare e relazionarsi con feedback appropriate alle circostanze.

 Il comunicare non corrisponde solo al parlare. Ci sono, infatti, tre codici della comunicazione che si diversificano e si completano reciprocamente. Il primo ĆØ verbale (i contenuti della comunicazione: parole, linguaggio, gergo e cosƬ via). Il secondo ĆØ non verbale (posizione del corpo, contatto visivo, gestualitĆ , abbigliamento e cosƬ via). Il terzo ĆØ paraverbale (tono della voce, altezza della voce, ritmo e velocitĆ  – numero di parole nellā€™unitĆ  di tempo-, sottolineature, esitazioni – non volute-, pause ā€“ volute -, volume del parlato – determinato da quanto tempo si parla prima di lasciare la parola allā€™interlocutore-). Soltanto il primo codice ĆØ un patrimonio che appartiene esclusivamente allā€™uomo. Esso, infatti, ĆØ codificato dalla lingua parlata ed ĆØ strutturato con regole grammaticali, sintattiche e semantiche.

  Lā€™uomo, tuttavia, ĆØ in possesso anche degli altri codici. Secondo Mehrabian (Nonverbal Communication, 1972), le persone decretano il nostro successo (o insuccesso) secondo quanto siamo credibili, quando parliamo, analizzando prima di tutto il non verbale (55%) e il paraverbale (38%), fattori spesso del tutto estranei al contenuto di quanto affermiamo. Per questo motivo, riteniamo importante rafforzare proprio questi aspetti. E cosƬ, per migliorare la nostra immagine, spendiamo molto nel non verbale, vale a dire in abiti, parrucchiere, cosmetici, profumi, palestra e accessori.

   Il verbale ĆØ, invece, rappresentato soltanto dal 7%. I tre codici, per comunicare correttamente, dovrebbero armonizzarsi tra loro; per un efficace rapporto comunicativo, la voce, lā€™intonazione e lā€™espressione, dovrebbero sincronizzarsi perfettamente. Un utilizzo congiunto dei diversi codici comunicativi produce i risultati piĆ¹ efficaci. Lā€™apprendimento varia al variare delle tecniche comunicative e, dunque, dei diversi canali di percezione.

Il codice verbale

  Il codice della comunicazione verbale ĆØ il prodotto di parole pronunciate (canale uditivo) o scritte (canale visivo). Essa si basa su regole grammaticali, sintattiche e semantiche e si esplica, in pratica, nella lingua, che permette sia di esprimere modi di pensare, bisogni, stati affettivi e fatti osservati, sia di assolvere pienamente la funzione comunicativa.

  Il codice della comunicazione verbale ĆØ un linguaggio che, come si ĆØ detto, appartiene solo allā€™uomo: molte sono, infatti, le differenze di ordine fisiologico e neurologico tra gli animali e lā€™uomo che permettono solo a questā€™ultimo di esprimersi con le parole. Esso trasmette ordini e permette resoconti, consente unā€™azione volontaria, permette di mentire ed esprime complessitĆ  e astrazione. Lā€™essere umano, a differenza degli animali, possiede un apparato vocale (cavitĆ  orale lunga, mandibola meno mobile, apparato faringeo), una postura eretta e unā€™organizzazione cerebrale che gli permettono non solo maggiori possibilitĆ  di articolazione, ma anche lo sviluppo di concrete capacitĆ  linguistiche.

  Nel processo della comunicazione verbale non ĆØ importante solo lā€™aspetto fisiologico, ma anche quello neurologico. Infatti, nel cervello sono localizzati i centri del linguaggio: area di Broca e area di Wernicke.

   La neurologia, oggi, afferma che il linguaggio non ĆØ elaborato solo allā€™interno delle aree scoperte da Broca e da Wernicke: numerosi studiosi sostengono che ĆØ lā€™intera corteccia cerebrale a essere implicata nellā€™elaborazione linguistica. Il linguaggio verbale, comunque, ĆØ strettamente legato alla maturazione e allā€™apprendimento dellā€™individuo. Non cā€™ĆØ, infatti, comunicazione senza apprendimento e questā€™ultimo non si realizza senza la capacitĆ  di memorizzare.

  Per il singolo individuo comunicare verbalmente ĆØ una base insostituibile nella conduzione della propria vita: grazie al linguaggio verbale, egli conversa, chiede e riceve aiuto, esprime se stesso, ascolta messaggi radiotelevisivi, legge e scrive, assimila la cultura del suo gruppo, impara concetti e pensa.

  Nel parlare comune, linguaggio e lingua sono spesso usati come sinonimi; sappiamo bene, perĆ², che in linguistica queste due parole hanno significati diversi:

  • il linguaggioĆØ uninsieme di processi psichici,determinati dalla vita sociale, cherende possibile lā€™apprendimento, lā€™acquisizione e lā€™utilizzo concreto di una qualsiasi lingua; ĆØ, cioĆØ, la cosiddetta facoltĆ  umana di comunicare verbalmente, ossia di parlare e di scrivere;
  • la lingua, invece, non ĆØ altro che un sistema di segni linguistici (le parole) e di regole (grammaticali) che ci permette di realizzare la capacitĆ  di esprimerci verbalmente.

  Il linguaggio,al contrario della lingua che ĆØ un prodotto sociale ovvero un fatto esterno costruito nel tempo e da una societĆ , ĆØ una capacitĆ  naturale, comune a tutti gli uomini. Lā€™eloquio ĆØlā€™uso individuale, personale della lingua; il parlare, infatti, segue le regole imposte dalla lingua con cui parliamo, ma riflette anche le scelte e le abitudini personali di ciascun individuo. Il modo di usare una lingua, adeguata alla situazione (cioĆØ al contesto) e ai comunicanti con cui interagiamo, viene dettto registro linguistico. Come allora comunicare verbalmente in modo efficace? Una risposta a queste domande puĆ² essere la cosiddetta regola delle sette Ā«CĀ», che sono:

  1. Chiarezza, cioĆ© i messaggi che dobbiamo trasmettere devono essere chiari, lineari e diretti. Per evitare fraintendimenti, ĆØ opportuno non lasciarsi andare a discorsi contorti o complicati. Per parlare in modo chiaro, ĆØ necessario usare frasi brevi, essenziali, con termini semplici e aderenti ai loro significati. ƈ, infatti, opportuno usare un linguaggio tecnico/specialistico solo con gli esperti di uno specifico settore, mentre con chi non ĆØ del settore ĆØ preferibile usare un linguaggio comune, poichĆ© potrebbe non comprendere adeguatamente ciĆ² che viene detto.
  2. Completezza, in altre parole i nostri messaggi devono contenere tutti gli elementi essenziali che sā€™intendono trasmettere. Una comunicazione parziale, infatti, puĆ² far nascere degli equivoci. Bisogna, quindi, evitare di parlare per sottointesi, dando per scontato che lā€™interlocutore sia giĆ  in possesso di alcune informazioni.
  3. Concisione, in altre parole il livello di attenzione degli ascoltatori diminuisce in modo progressivo con il trascorrere del tempo e con lā€™accumularsi delle informazioni che vengono ricevute. Pertanto, ĆØ importante anticipare i concetti fondamentali e arrivare al punto con poche parole. Infatti, se la comunicazione si dilunga, sono maggiori i rischi di incomprensioni, fughe di notizie, distorsioni dei contenuti, a causa della stanchezza, della distrazione o della noia.
  4. Concretezza, ovverosia il passaggio di informazioni risulta piĆ¹ efficace se la comunicazione ĆØ fondata su fatti ben delineati. Essere concreti significa essere aderenti il piĆ¹ possibile alla realtĆ , evitando discorsi astratti, complessi e troppo generali. Se ciĆ² non ĆØ possibile, si possono utilizzare esempi, metafore, aneddoti o similitudini, che siano perĆ² attinenti e alla portata cognitiva dellā€™interlocutore, altrimenti risulteranno inefficaci.
  5. Correttezza, vale a dire una comunicazione efficace deve essere fondata sullā€™onestĆ  e sulla sinceritĆ : solo un rapporto di reciproca fiducia, infatti, consente agli interlocutori di essere ben disposti fra loro e quindi di collaborare attivamente. Infatti, con il linguaggio verbale si puĆ² mentire facilmente, ma con quello non verbale ĆØ molto difficile;
  6. Cortesia, la quale rivolta lā€™interlocutore, non forzando mai la risposta, realizza un ambiente ideale per una comunicazione efficace. Un clima positivo dispone lā€™interlocutore allā€™attenzione e ad una comunicazione positiva;
  7. Considerazione, che ĆØ fondamentale per la riuscita di una comunicazione efficace; ĆØ di vitale importanza, infatti, che lā€™emittente tenga nella dovuta reputazione quello che il ricevente pensa.   Il comunicare efficacemente si compie quando chi comunica si dispone positivamente, immedesimandosi, allā€™esperienza del ricevente.

  Nellā€™ambito di una lingua si distinguono:

  1. un registro informale o familiare,usato generalmente e prevalentemente nel parlato quotidiano,con interlocutori con cui si ĆØ in grande confidenza e per trattare argomenti non elevati;
  2. un registro medio o standard, usato prevalentementenelle comunicazioni normali, parlate e scritte, della vita quotidiana e con persone con le quali non si hanno rapporti di stretta confidenza;
  3. un registro formale,usato prevalentementenelle comunicazioni parlate e scritte di argomento elevato, in situazioni di tipo ufficiale (cerimonie, conferenze e incontri importanti) o piĆ¹ in generale se si ha a che fare con interlocutori con cui non si ĆØ in confidenza e verso i quali si nutre un certo rispetto.

  Nella comunicazione, la lingua parlata rispetto a quella scritta ĆØ un processo dinamico di costruzione, di retroazione, di cui non si ha sempre consapevolezza e dal quale emergono le regole del particolare contesto culturale cui si appartiene. Vi ĆØ un lungo addestramento sul verbale, sullā€™uso appropriato e sullā€™acquisizione delle regole che lo sostengono; tale linguaggio ĆØ direttamente legato ai contenuti che si vogliono esprimere, ma anche alla relazione, cioĆØ al rapporto che si forma con gli interlocutori. In tale contesto, sono da considerare significative tre funzioni linguistiche, soprattutto in ambito aziendale e commerciale: espressiva, centrata sullā€™emittente; conativa, orientata verso il ricevente; referenziale, centrata sullā€™argomento.

  La funzione piĆ¹ usata ĆØ quella referenziale, quando il verbo viene usato in terza persona, conferendo un carattere oggettivo alle informazioni (la situazione del mercato ĆØ quella diā€¦); cā€™ĆØ poi la funzione espressiva, che ĆØ centrata sullā€™emittente, su chi esprime il messaggio, quando il verbo ĆØ usato in prima persona e conferisce carattere soggettivo alle informazioni (io ritengo che la situazione del mercato siaā€¦); vi ĆØ infine la funzione conativa, centrata sul ricevente, sul destinatario del messaggio, con la quale sono possibili piĆ¹ espressioni del verbo secondo il codice o registro linguistico che si usa con lā€™interlocutore (sarebbe utile che lei andasse da quel clienteā€¦ oppure sarebbe utile che tu andassi da quel clienteā€¦).

  Se lo scopo ĆØ di approfondire un certo problema, lā€™uso della funzione referenziale ĆØ senzā€™altro efficace; ma se su un certo argomento si vuole far percepire chiaramente un proprio punto di vista, la funzione espressiva coniugata in prima persona contribuisce alla chiarezza; infine, se si vuole inviare un messaggio che spinga il destinatario allā€™azione, la funzione esplicita conativa semplifica il raggiungimento dello scopo.

  Con il linguaggio verbale ĆØ possibile una duttile organizzazione dei contenuti e delle informazioni finalizzate a scopi diversi, appresa attraverso addestramenti fatti nei diversi gruppi professionali e privati, che indicano non solo come utilizzare la costruzione linguistica verbale adeguata, ma anche come esporla secondo obiettivi e con scopi diversi. Ad esempio dire lā€™azienda in questo momento ha deciso ĆØ una declinazione in terza persona, che mette in evidenza lā€™impersonalitĆ  della decisione e il suo contenuto, ma puĆ² talora nascondere la volontĆ  di far passare un certo contenuto. Allo stesso modo, nei vari passaggi che vanno dallā€™io ritengo che, al plurale noi riteniamo che fino a dire che lā€™azienda ritiene che, lā€™apparente impersonalitĆ  puĆ² essere interpretata come il massimo di funzione espressiva nellā€™identificazione io/azienda.

  La scelta dellā€™uso di queste funzioni puĆ² quindi incidere sia sul contenuto in oggetto sia sulla relazione e sul clima che si puĆ² creare con gli interlocutori. Oltre alle funzioni linguistiche, dobbiamo in questa prospettiva considerare le seguenti varietĆ  linguistiche situazionali e geografiche:

  1. I sottocodici, cioĆØ varietĆ  situazionali che si creano nella lingua parlata in ambiente organizzativo. Essi sono legati soprattutto al linguaggio tecnico (ad esempio il sottocodice informatico, quello medico e cosƬ via), e contribuiscono a stabilire il senso di appartenenza tra i membri che ne fanno parte. La funzione dei sottocodici da aggregativa puĆ² anche diventare, perĆ², separativa, quando alcuni gruppi allā€™interno dellā€™organizzazione tendono a chiudersi nel loro linguaggio (sottocodici specifici), rendendo difficile il dialogo con altre funzioni aziendali. Con i clienti non bisogna usare una lingua specialistica, poichĆ©, per comunicare con chiarezza, ĆØ importante usare termini conosciuti dallā€™interlocutore e non dare per scontate informazioni che non possiedono: occorre, infatti, fornire informazioni precise, coerenti ed esaurienti ma usando un linguaggio comune.
  2. I registri sono unā€™altra varietĆ  della lingua parlata e si caratterizzano per lā€™utilizzazione di alcuni elementi del codice piuttosto che di altri. Il registro piĆ¹ noto ĆØ quello che si muove lungo la polaritĆ  formale/informale da scegliere ogni volta nei confronti dellā€™interlocutore, ad esempio dando del tu o del lei, che riduce o aumenta il peso gerarchico nella relazione con lā€™altro.
    La decisione di usare un tipo di registro piuttosto che un altro dipende da una serie di valutazioni fatte sul ruolo di chi parla e del destinatario e diventa in tal senso un filtro fondamentale per stabilire il tipo di rapporto; un operatore di unā€™azienda turistica, ad esempio, deve usare un registro piĆ¹ o meno formale secondo lo stile dellā€™albergo e della tipologia dei suoi clienti, che puĆ² essere raffinata e facoltosa oppure informale e giovanile; se invece il colloquio si svolge con un tour operator, i due interlocutori possono anche usare un gergo specialistico, perchĆ© sono entrambi degli addetti ai lavori.
  3. Le espressioni dialettali sono spesso presenti nella comunicazione con alcuni interlocutori e in alcuni contesti regionali. Il dialetto veicola molti stati emozionali ed ĆØ talora usato come rinforzo o sintesi di un discorso o di un accordo, anche in contesti professionali. Lā€™espressione dialettale, anche se riferita a una sola battuta, puĆ² servire a far condividere una comune condizione che riduce le differenze, per esempio, tra cliente e fornitore; inoltre, la battuta in dialetto conferma lā€™appartenenza al proprio gruppo culturale.

  Non esiste, per le espressioni linguistiche descritte, una forma giusta o sbagliata, ma diverse forme possibili che possono ottenere effetti diversi secondo i contesti e gli interlocutori che le esprimono e anche in funzione dello stile del soggetto che comunica. Infatti, se incontriamo un interlocutore che parla in modo formale e ridondante, mentre noi ci riteniamo caratterizzati da uno stile piĆ¹ sintetico e informale, lā€™efficacia delle espressioni verbali utilizzate sarĆ  legata alla capacitĆ  di essere attenti a trovare una soluzione comunicativa che rispetti il proprio modo di essere, ma che tenga conto della diversitĆ  e, quindi, rispetti lo stile dellā€™altro, il quale ĆØ piĆ¹ a suo agio con modalitĆ  dā€™incontro diverse dalle nostre.

  La comunicazione persuasiva ĆØ un procedimento o un insieme di procedimenti attuati intenzionalmente, allo scopo di modificare il comportamento dellā€™interlocutore, conformemente agli obiettivi che ci siamo prefissati. PiĆ¹ semplicemente, persuadere significa convincere il nostro interlocutore su qualche cosa o a fare qualche cosa.

   Nella Grecia e nella Roma antiche, la retorica, che era lā€™arte della persuasione e che Cicerone definƬ come unā€™arte, costituiva una delle discipline fondamentali nellā€™educazione della persona. Essa si basava e si fonda, come capacitĆ  persuasiva, su tre aspetti:

  1. Il logos, la razionalitĆ . I nostri discorsi, per essere convincenti, devono essere comprensibili, cioĆØ dotati di significati chiari, validi e credibili e devono essere, inoltre, lineari e razionali, vale a dire dotati di forza argomentativa. Dā€™altra parte, perĆ², una comunicazione in cui siano presenti troppe argomentazioni razionali o che sia basata esclusivamente su di esse, risulterebbe sicuramente arida e non favorirebbe lā€™attenzione, essendo noiosa e generando gradualmente distacco dallā€™ascolto.
  2. Il pathos, la forza emotiva. Per essere veramente persuasivi, ĆØ necessario che i nostri discorsi siano in grado dicatturare lā€™attenzione delle persone, facendo appello alla loro emotivitĆ  e alla loro creativitĆ . In altre parole, per realizzare una comunicazione persuasiva, non sono sufficienti la chiarezza e la forza argomentativa dei nostri discorsi (cioĆØ il logos), ma ĆØ necessario che questi siano in grado di suscitare emozioni e di stimolare la fantasia dei nostri interlocutori (cioĆØ il pathos). Un discorso, dotato di forza emotiva, infatti, cattura lā€™attenzione e favorisce la memorizzazione dei concetti trasmessi. Dā€™altra parte, puntare solo sulla forza emotiva non ĆØ sufficiente, perchĆ© una volta cessato lā€™effetto suggestivo, lā€™ascoltatore riflette sui contenuti trasmessi e se questi sono privi di logos non si lascerĆ  convincere. Tipici ingredienti di un linguaggio, dotato di carica emotiva, sono le metafore, le similitudini e gli aneddoti. La metafora ĆØ una figura retorica che consiste nel trasferire il significato di una parola o di unā€™espressione dal senso proprio a un altro senso figurato, avente con il primo un rapporto di somiglianza. Ad esempio, Anna ĆØ una gazzella significa che Anna ĆØ agile come una gazzella: si tratta di una metafora, in cui viene abbreviato il paragone, attribuendo le caratteristiche dellā€™animale ad Anna. Una metafora ĆØ molto efficace nel coinvolgere lā€™interlocutore, perchĆ© utilizza un linguaggio che suscita emozioni, curiositĆ  e senso di creativitĆ , soprattutto se allude a conoscenze, interessi ed esperienze proprie del soggetto cui ĆØ diretto. Per tale motivo, lā€™uso di metafore adeguate puĆ² essere utile nellā€™ambito di trattative di vendita o nelle comunicazioni con probabili clienti. La similitudine differisce dalla metafora per lā€™impiego di riferimenti diretti, quali come, simile a e cosƬ via. In questo caso diremo che Anna ĆØ agile come una gazzella. Allo stesso modo delle metafore, le similitudini sono in grado di catturare lā€™attenzione dellā€™interlocutore, stimolando la sua emotivitĆ  e la sua fantasia. Gli aneddoti, infine, sono racconti di esperienze vissute da persone, patrimonio di una tradizione e sono, pertanto, efficaci. Anche questi ultimi stimolano la curiositĆ  dellā€™interlocutore, catturando la sua attenzione.
  3. Ethos, forza morale. Per essere veramente persuasivi, bisogna essere dotati di forza morale, cioĆØ credere veramente in ciĆ² che si dice o quantomeno essere in buona fede. Infatti, quando il tentativo di persuasione ĆØ fatto in buona fede, esso genera una serie di messaggi verbali, ma soprattutto non verbali, di alta efficacia persuasiva, proprio perchĆ©, essendo sinceri, sono captati come tali dallā€™interlocutore. Essere in buona fede significa credere veramente e profondamente in ciĆ² che si afferma e si trasmette allā€™interlocutore: lā€™influenza che ne deriva nel soggetto ricevente ĆØ sicuramente elevata. Vi sono alcune parole e frasi, usate frequentemente nel parlare quotidiano anche del mondo lavorativo, che influenzano negativamente lā€™ascoltatore, spesso senza che questi se ne renda conto coscientemente. Sono espressioni talmente diffuse che nessuno presta attenzione allā€™effetto negativo che generano, in modo inconscio; esse sono, perciĆ², da evitare, soprattutto in contesti professionali. Si tratta di espressioni che suggestionano. Ad esempio: le rubo solo un minuto! Il termine rubare dĆ  il senso della perdita di tempo e ci colloca in una posizione dā€™inferioritĆ  rispetto al nostro interlocutore: solo gli scocciatori rubano il tempo; puĆ² dedicarmi un attimo?

      Ci poniamo in una posizione dā€™inferioritĆ , autodefinendoci poco importanti e supplicando il nostro interlocutore di degnarsi di gettare uno sguardo su di noi; non vorrei disturbare. Espressione molto usata da ciascuno di noi nel quotidiano. Anche con questa espressione ci collochiamo in una posizione di inferioritĆ . Non solo: con essa, lasciamo trapelare la nostra insicurezza e una scarsa considerazione verso il messaggio che vorremo trasmettere al nostro interlocutore; non intendo annoiarla con i miei discorsi, ma… Espressione che spesso denuncia il timore che quanto abbiamo da trasmettere allā€™interlocutore sia da noi stessi ritenuto poco interessante e noioso. Al di lĆ  di quanto recepisce, il destinatario del messaggio, che puĆ² porsi in una situazione di ascolto negativa, ĆØ possibile che ci auto/influenziamo negativamente, perdendo sicurezza e forza di convinzione man mano che emettiamo il messaggio; non vorrei che lei pensasse male. Frase tortuosa e ambigua che lascia forti dubbi sulla sinceritĆ  o sulla buona fede di quanto si comunicherĆ . Durante la conversazione (soprattutto telefonica), possono, inoltre, ricorrere spesso espressioni o parole con valenza suggestiva e negativa quali abbiamo avuto dei problemi, abbiamo alcune difficoltĆ , vi sono state carenze oppure in azienda si sono verificati sbagli; queste espressioni hanno un denominatore comune, rappresentato dalla sensazione che possiamo trasmettere al nostro interlocutore di allontanare da noi una possibile colpa.

   Vi sono altri comportamenti verbali, i quali, anzichĆ© provocare interesse nellā€™interlocutore, lo possono influenzare (suggestione negativa) in modo negativo facendolo gradualmente allontanare dallā€™ascolto, quali:

  1. Lā€™uso ricorrente del pronome io, molto frequente nelle conversazioni quotidiane e generalmente usato in frasi negative a propria discolpa (io non ho detto, o non ho fatto ecc.), oppure in frasi affermative che rimarcano la propria persona (io dico che, io ho sempre detto che e cosƬ via). Lā€™uso ripetuto del pronome io e lā€™uso di frasi in prima persona indeboliscono notevolmente la comunicazione, poichĆ© creano nellā€™ascoltatore disagio, fastidio e antipatia in modo piĆ¹ o meno accentuato. Infatti, questo modo di esprimersi denuncia, di solito, una personalitĆ  infantile, che cerca di richiamare continuamente in causa la certezza della propria identitĆ .
  2. Lā€™uso categorico del no, che risulta di estrema durezza per ciascun interlocutore. In realtĆ , quando compare un no secco, puĆ² essere inteso come una sfida tra due contendenti.
  3. Parole ed espressioni di dubbio e incertezza, come, ad esempio, usare frequentemente verbi quali credere, sperare, cercare o tentare e avverbi quali forse, perĆ² o magari, che possono condizionare negativamente lā€™ascoltatore, poichĆ©, puĆ² percepire incertezza e mancanza di sinceritĆ . Spesso, infatti, lā€™uso di questi verbi e avverbi avviene inconsapevolmente da parte del soggetto emittente, proprio perchĆ© nel suo intimo egli non ĆØ sufficientemente convinto di ciĆ² che sta affermando.
  4. Lā€™uso del condizionale, che indebolisce notevolmente la forza espressiva del messaggio e lascia dubbi e incertezze nellā€™ascoltatore: vorrei, direi, o farei possono denunciare incertezza e lā€™efficacia della comunicazione puĆ² esserne indebolita.

   La comunicazione puĆ² diventare efficace applicando alcune semplici regole, quali: adoperare il pronome noi, ad esempio, trasformando la frase le idee che io intendo presentarvi consistono in nella frase le idee che noi vedremo insieme consistono in (ā€¦). Con la seconda frase, infatti, viene proposto qualcosa che coinvolge tutti. Il noi, cioĆØ, crea spirito di appartenenza, solidarietĆ  e spirito di gruppo; usare lā€™indicativo al posto del condizionale; ad esempio, invece di dire domani ti inviterei al cinema, sarĆ  opportuno dire domani ti porto al cinema. Nel primo caso prevale, orbene, una situazione dā€™incertezza, che puĆ² portare a una risposta negativa; ciĆ² ĆØ meno probabile, viceversa, nel secondo caso; utilizzare espressioni a suggestione positiva: ĆØ regola fondamentale della comunicazione proporre il messaggio sempre in termini positivi, poichĆ© lā€™obiettivo ĆØ di generare nellā€™ascoltatore una sensazione di sicurezza e di certezza di soluzione. Esistono inoltre parole a forte valenza positiva e suggestiva, che ben predispongono lo stato di animo del soggetto che ascolta, perchĆ© suscitano, soprattutto a livello inconscio, immagini mentali positive: nascita, novitĆ , crescita e sviluppo, oppure soluzione e opportunitĆ , o alcuni avverbi, quali sempre, certamente e sicuramente.

  La dimostrazione dellā€™efficacia di determinate parole ĆØ data dallā€™uso delle stesse nella comunicazione pubblicitaria. Ad esempio, la frase ā€œĆØ nato un nuovo modelloā€ accompagna da sempre le raffigurazioni sognanti e cariche di emozionalitĆ  dei prodotti in vendita. La suggestione positiva ĆØ molto importante in ogni forma di comunicazione aziendale e ancora di piĆ¹ in ogni comunicazione esterna allā€™azienda, perchĆ© basta giĆ  di per sĆ© a creare unā€™ampia aspettativa positiva.

  Lā€™espressione comunicazione ecologica ĆØ stata coniata dallo psicologo J. K. Liss e indica lā€™applicazione dei principi ecologici alle relazioni umane, vale a dire: coltivare le risorse di ogni persona, rispettare la diversitĆ  e mantenere una coesione globale, in modo che le persone possano agire insieme per un obiettivo comune. I punti, che caratterizzano tale tipo di comunicazione, sono:

  1. evitare di monopolizzare, cioĆØ di dominare la scena della comunicazione, condensando i propri interventi in poche frasi e accettando il feedback degli altri;
  2. sfuggire al dogmatismo, cioĆØ di imporre le proprie idee, rispettando le opinioni dei propri ascoltatori, anche se non si ĆØ dā€™accordo. Non bisogna mai dire io so, si deve, ma secondo me, a mio giudizio, nĆ© formulare giudizi pesanti, evitando di dire hai torto o non capisci, ma affermando invece ho unā€™opinione diversa, la penso in modo diverso;
  3. modificare i giudizi pesanti che si ricevono in suggerimenti positivi, evitando, quindi, la provocazione o usandola come punto di partenza per un dialogo migliore. Infatti, chi non si lascia andare alle contro/provocazioni, mira a mantenere una buona volontĆ  nella relazione;
  4. evitare di fare la morale. Se diciamo tu devi o ĆØ tuo dovere, usiamo, infatti, espressioni moralistiche, che mettono lā€™ascoltatore in una posizione di inferioritĆ . CiĆ² puĆ² portarlo a ribellarsi, perchĆ© si puĆ² sentire non rispettato. ƈ molto piĆ¹ proficuo manifestare i propri desideri in modo diretto: desidero che, mi piacerebbe che e cosƬ via; fare, di continuo, proposte in positivo, anche nella critica: bisogna mettere sempre in rilievo ciĆ² che sarebbe positivo in futuro, invece di ciĆ² che ĆØ stato negativo in passato.

Ā Il codice non verbale

  Il codice della comunicazione non verbale si esprime attraverso posizioni e movimenti del corpo, gestualitĆ , espressioni del volto, ma anche tramite un determinato abbigliamento, lā€™utilizzazione dello spazio, la direzione dello sguardo, i movimenti degli occhi e cosƬ via.

  La posizione complessiva del corpo (postura), le espressioni del viso, la maniera in cui il corpo si dispone in rapporto allā€™interlocutore (orientazione), la disposizione nello spazio (comunicare da vicino o da lontano, assumere una posizione centrale o periferica) e altri elementi di questo genere, influiscono sul significato di un messaggio verbale. Durante una normale conversazione, lā€™espressione del volto ĆØ utilizzata soprattutto come strumento per regolare lā€™alternarsi di chi parla e di chi ascolta.

  I soggetti interagenti non sono mai fermi: essi, oltre ad assumere differenti posture, gesticolano e fanno cenni con il corpo, fornendo, quindi, precisi feedback a chi parla. Coloro che vogliono produrre livelli piĆ¹ elevati di affiliazione e di solidarietĆ , dovranno utilizzare nella conversazione particolari tecniche sia verbali sia paralinguistiche. Lā€™espressione, come fattore del codice non verbale nella dinamica della comunicazione, ha il compito di regolare rigorosamente il rapporto dei ruoli tra chi parla e chi ascolta.

  Il codice non verbale trasmette relazioni e sentimenti, consente azioni involontarie, non permette di mentire ed esprime semplicitĆ  e concretezza. In una conversazione, i ruoli degli interlocutori devono alternarsi: chi emette un messaggio e chi lo riceve deve costantemente mantenere il ritmo nella distribuzione dei contenuti del processo di comunicazione in una sincronica interazione. Chi parla e chi ascolta, in tal modo, sono sincronizzati e usano gli stessi movimenti. Il codice della comunicazione non verbale, oltre ad avere una funzione ausiliaria e a volte sostitutiva del linguaggio, serve anche a gestire le relazioni sociali e a trasmettere emozioni.

  Anche lā€™orientazione e lā€™uso dello spazio e dellā€™abbigliamento sono espressioni importanti del codice non verbale: secondo come si colloca nello spazio e della distanza che pone fra sĆ© e gli altri, un individuo instaura rapporti comunicativi diversi. Per questo motivo, ad esempio, il capo in un ufficio siede dietro una scrivania molto grande che generalmente domina la stanza: riesce, cosƬ, a porre molta distanza tra sĆ© e lā€™interlocutore e ad abbracciare tutto il campo visivo.

  Lā€™uso di un particolare abbigliamento, inoltre, permette di esprimere messaggi ben determinati: esso non solo puĆ² informare sul gruppo di appartenenza di una persona, ma puĆ² anche segnalare alcuni atteggiamenti sociali, quali la trasgressione, il conformismo, lā€™aggressivitĆ , il rigore e cosƬ via. Le parole e lā€™intonazione che scegliamo sono sempre accompagnate da movimenti complementari del corpo, che danno espressione materiale a pensieri e sentimenti inconsci o subliminali. Noi siamo, infatti, consapevoli del fatto che comunichiamo, ma non sempre di tutto il nostro comunicare, che ĆØ fatto anche del non verbale e che deve essere congruente con il messaggio verbale per non creare confusione nellā€™interlocutore.   Attraverso diverse ricerche ĆØ emerso che le persone producono circa ventimila diverse espressioni del viso e circa mille variazioni paralinguistiche. Questa gran varietĆ  di segnali, che accompagna lā€™interazione comunicativa, puĆ² essere organizzata in tre categorie: segnali para-linguistici,cioĆØ quelli che produciamo con la voce nel pronunciare le parole. Anche le vocalizzazioni, che vengono introdotte nel discorso, contribuiscono a dargli un preciso significato: il riso, il pianto, i sospiri, le pause, i suoni come uh, ehm o i colpi di tosse forniscono allā€™interlocutore informazioni utili su chi sta parlando e su ciĆ² che vuole comunicare; le espressioni del volto, vale a dire lā€™insieme dei segnali piĆ¹ importanti nellā€™esprimere le emozioni e gli atteggiamenti verso gli altri.

  Molti psicologi sono dā€™accordo nel riconoscere lā€™esistenza di un certo numero di emozioni alle quali sono associati determinati movimenti dei muscoli facciali, che provocano emozioni universalmente riconoscibili, quindi non influenzate dal contesto culturale nel quale si manifestano. In questa categoria si puĆ² classificare il contatto visivo. Infatti, molte informazioni passano attraverso gli sguardi che le persone si scambiano; il comportamento spaziale, cheriguarda la posizione del corpo, i gesti, il contatto fisico tra i parlanti. Il significato che si attribuisce al contatto fisico dipende dai fattori di contesto e dalla relazione esistente tra i protagonisti dellā€™interazione.

  Un elemento di grande importanza ĆØ la distanza che viene mantenuta nellā€™interazione. La distanza interpersonale in termini spaziali viene utilizzata generalmente per regolare il grado dā€™intimitĆ  fra le persone. Lā€™eccessivo avvicinamento di una persona che non si percepisce come particolarmente intima o lā€™eccessivo allontanamento di una persona che percepiamo intima, procura un certo stress. Infatti, come vedremo, alcuni studiosi sostengono che ogni persona percepisce quattro zone di distanza progressiva alle quali mantiene gli altri, secondo il livello dā€™intimitĆ  raggiunto nella relazione: la zona intima, la zona personale, la zona sociale e la zona pubblica.

  Nella nostra cultura, inoltre, assumono una gran rilevanza i gesti che le persone fanno con le mani per accompagnare la conversazione; essi possono assumere diversi significati, sia sul piano dellā€™espressione sia su quello della regolazione dellā€™interazione. La bocca ĆØ circondata da unā€™infinitĆ  di piccoli muscoli ed ĆØ anchā€™essa unā€™inestimabile miniera di informazioni aggiuntive. Quando si cerca di nascondere la veritĆ , ci si sforza di sottrarre la bocca alla vista: si puĆ² fare apertamente, coprendola con la mano, o in modo piĆ¹ sfumato, toccando la punta del naso con lā€™indice in modo cosƬ veloce da sfuggire allo sguardo.

  Ci sono poi micro-segnali subliminali, che sono gesti automatici e incontrollati e che possono essere di accoglienza o di rifiuto: un microsegnale di godimento ĆØ lā€™avvicinamento, o il movimento in avanti; un micro/segnale di rifiuto, invece, ĆØ il movimento indietro o la smorfia della bocca. Anche la postura puĆ² indicare un atteggiamento piĆ¹ o meno di rifiuto o di accoglienza. Quando sā€™incrociano le braccia o le gambe, ci si pone in un atteggiamento di chiusura, come anche quando ci si sposta con la spalla allā€™indietro o si guarda altrove rispetto a chi parla. Al contrario, un atteggiamento di apertura puĆ² essere quello di protrarsi in avanti e guardare negli occhi chi parla.

  La mano ĆØ una parte, cui diamo un gran rilievo, ed ĆØ lā€™elemento che facilita la produzione di molte figure; essa, inoltre, poichĆ© ĆØ in coppia simmetrica, permette un arricchimento delle possibilitĆ  espressive, come ad esempio: indicare, con lā€™indice disteso; segnalare alt con la mano allargata e con il palmo rivolto al soggetto che vogliamo fermare; salutare, agitando la mano; tenere tesi e allargati a V indice e medio, raccogliendo a pugno le dita in segno di vittoria; congiungere le mani per pregare; tenere il pollice teso allā€™infuori e le altre dita chiuse per indicare lā€™autostop.

  La testa e, in particolare, il viso, sono le parti del nostro corpo particolarmente adatte alla comunicazione. La faccia, infatti, ci mette in diretto contatto con il nostro interlocutore e le sue componenti sono controllate da un sistema neuro-muscolare piuttosto fine. Con il capo, quindi, mandiamo diversi messaggi, tra cui: dire no, roteando la testa da destra a sinistra e viceversa; dire sƬ, sollevando e abbassando in successione il capo; esprimere dubbio e perplessitĆ , scuotendo la testa.

  Con gli occhi e con lo sguardo, invece, comunichiamo il contatto psicologico; di solito, mandiamo messaggi combinando lā€™uso di occhi, palpebre, sopracciglia e fronte, ad esempio se strizziamo lā€™occhio, se spalanchiamo o sbarriamo gli occhi, o, infine, se inarchiamo le sopracciglia verso lā€™alto. Molto diffuse sono anche le combinazioni mano/testa/viso; ad esempio, lanciare un bacio con un gesto della mano, mettersi le mani nei capelli o accostare lā€™indice al lobo frontale per indicare intelligenza o pazzia. Il corpo, nel suo complesso, permette unā€™infinitĆ  di messaggi ed ĆØ evidente che ciĆ² condiziona notevolmente lā€™intero processo comunicativo.

  Parlare fluentemente, in modo colorito e avendo la battuta pronta, ĆØ legato allā€™espressivitĆ  e alla quantitĆ  dei gesti che facciamo durante il dialogo. Si suppone da tempo che il linguaggio abbia avuto origine dai gesti e le osservazioni sullā€™acquisizione della parola sembrano sostenere questa ipotesi; solo in tempi recenti ci si ĆØ, perĆ², accorti che lā€™espressione verbale ha tuttā€™altro che soppiantato i gesti e che proprio questi ultimi sono parte integrante della facoltĆ  di parlare con scorrevolezza; anzi, pare che il movimento anticipi sempre la parola.

  In un recente studio, in cui i soggetti erano immobilizzati, si ĆØ costatato come questi ultimi, parlando, avessero difficoltĆ  a esprimersi e provassero molto spesso la sensazione di avere una parola sulla punta della lingua. Da altri studi ĆØ stato invece messo in luce come il numero e la tipologia dei gesti cambi in relazione allā€™argomento di conversazione: sono minori, quando ci si riferisce a un concetto astratto, mentre sono piĆ¹ vivaci ed espressivi se si descrivono scene, azioni oppure oggetti concreti.

  Durante la terapia, lo psicanalista invita il paziente a stendersi sul lettino in modo che i loro sguardi non sā€™incrocino e i loro gesti rimangano nascosti lā€™uno allā€™altro. Questa pratica mette tra parentesi il corpo e le sue capacitĆ  espressive a favore della parola. La societĆ  attuale privilegia, in effetti, la parola e gli scambi simbolici a discapito del corpo e del gesto: a tal proposito Wilhelm Reich parlĆ² di corazza caratteriale e affermĆ² che il corpo ĆØ chiuso a guscio su se stesso.

  Abbiamo sempre i muscoli e le vertebre contratti perchĆ© lā€™aspetto difensivo della corporeitĆ  prevale su quello propositivo e su quello espressivo. ƈ forse venuta meno lā€™empatia, quel tipo di relazione che risulta cosƬ forte tra madre e neonato: questā€™ultimo, infatti, comunica essenzialmente con il pianto e con la gestualitĆ  e non utilizza dei linguaggi strutturati; nonostante ciĆ², la madre non fatica a comprendere quello di cui lui ha bisogno. Tale fiducia non ĆØ piĆ¹ cosƬ riscontrabile e, in alcuni casi, viene perfino considerata sconveniente.

  Se, ad esempio, una persona gesticola troppo puĆ² essere giudicata fastidiosa, se non addirittura poco educata. CiĆ² che veicola il gesto ĆØ una potente passionalitĆ , tanto che se abbiamo intenzione di offendere qualcuno ci riesce molto piĆ¹ facile farlo a gesti piuttosto che a parole: questo avviene perchĆ© la gestualitĆ  ha unā€™immediatezza che il linguaggio verbale non conosce. ƈ proprio per tale motivo che il gesto provoca tanto timore e devā€™essere costantemente disciplinato. CosƬ, fin da bambini veniamo intimati a non muoverci in questo o in quellā€™altro modo: a scuola, ad esempio, dobbiamo guardare in direzione della lavagna o dellā€™insegnante e assumere una certa postura. Attraverso potenti forme di educazione avviene ciĆ² che Michel Foucault chiamĆ² la sterilizzazione di sĆ©: si tratta di pratiche indirette, che, in un primo momento, non appaiono come educative, ma che riescono a plasmarci in maniera forte e duratura, fissando ciĆ² che siamo e ciĆ² che non siamo piĆ¹.

  La psiche deve continuamente relazionarsi con la realtĆ  esterna e il corpo, camuffandosi, assumendo maschere e fisionomie diverse, negozia lā€™apparire agli altri. Corpo fisico e corpo psicologico, quindi, sā€™integrano a vicenda (lā€™energia, ad esempio, si scarica attraverso i muscoli volontari, provocando rabbia e aggressivitĆ ). In questi ultimi anni, lā€™attenzione, dedicata al corpo, ĆØ diventata sempre piĆ¹ evidente. Le cure per il proprio fisico, lo sport o la danza sono un modo per riscoprire la propria corporeitĆ  ed energia.

  Il corpo bello, forte, tonico e igienico ĆØ il mito odierno, poichĆ© sentirsi bene fisicamente ĆØ percepito come un modo per vivere bene con il proprio io. Il rapporto col corpo e il contatto corporeo, in effetti, sono elementi essenziali della nostra vita fin da quando siamo piccoli, quando con il pianto o il sorriso comunichiamo i nostri bisogni, creando vicinanza e calore. Pertanto, le tante maschere che indossiamo per presentarci al mondo non riescono a nascondere fino in fondo le emozioni.

  Le posture sono le posizioni che ciascuno assume con il corpo e che mantiene per un periodo di tempo. Le posizioni del corpo possono riflettere lo stato emotivo nellā€™andamento della relazione e possono anticipare le espressioni verbali.

 Le posture maggiormente osservabili sono seduta o eretta, simmetrica o asimmetrica (possono riferirsi a posizioni delle braccia, delle mani, delle gambe e dei piedi) e inclinata o diritta (riferita sia alla testa rispetto allā€™asse del collo che alla schiena).

  La postura simmetrica viene percepita come controllo della situazione, la postura asimmetrica come libertĆ  espressiva, mentre la postura inclinata ĆØ percepita come posizione di sottomissione nella relazione. Altri aspetti riguardano la polaritĆ  fissa/mobile della postura e lo stato di contrattura dei muscoli interessati. 

  Le posture mantenute fisse per lungo possono indicare sia sicurezza e controllo della situazione che rigiditĆ  e difesa del proprio punto di vista: cambi di postura moderati, ad esempio durante un colloquio di lavoro, possono indicare che la persona si trova a proprio agio, ma se il cambio di postura ĆØ frequente, puĆ², invece, diventare indice visibile di ansia. Il cambio di postura ĆØ utile da osservare in un colloquio o in una riunione, perchĆ© segnala la variazione di stato dā€™animo o di opinione.

  Al di lĆ  di queste osservazioni, perĆ², ĆØ anche molto importante prestare attenzione alle posture che si assumono, quando, ad esempio, si resta seduti (o in piedi) per molto tempo per ragioni di lavoro o di studio, poichĆ© assumere posture sbagliate puĆ² provocare dei danni alla salute. Anche se puĆ² essere molto piacevole, ĆØ sconsigliabile sedersi su poltrone o divani troppo morbidi; molto meglio una sedia rigida con schienale alto, in modo da poter appoggiare tutta la schiena. Lā€™altezza della sedia deve permettere alle ginocchia distare allo stesso livello delle anche. Se poi la sedia ha anche i braccioli, faremo meno fatica ad alzarci.

  Tutte le altre posizioni (gambe distese, sedia troppo alta o troppo bassa e cosƬ via) determinano sollecitazioni eccessive della colonna vertebrale. Per alzarsi, mettiamo i piedi il piĆ¹ possibile vicino alla sedia, incliniamo poi leggermente il busto in avanti e spingiamo su facendo forza con le gambe e non con la schiena. ƈ molto utile addestrarsi allā€™auto/osservazione delle proprie posture; ciĆ² consente di avvertire in che stato ci troviamo nei confronti di una circostanza comunicativa o di un interlocutore, nonchĆ© il livello di ansia e tensione cui siamo sottoposti. Spesso, infatti, nei momenti di pausa o alla fine di una riunione, ci assale un forte senso di stanchezza, di tensione o dolore, frutto del persistente stato di contrattura mantenuto per ore, perchĆ© impegnati a seguire i contenuti del discorso e a controllare la situazione.

  La comunicazione non verbale ĆØ gestita dallā€™inconscio e, pertanto, conoscerla serve per decodificare la comunicazione del nostro interlocutore. I codici o segnali del corpo possono essere di gradimento o di rifiuto: vediamo i piĆ¹ importanti, tenendo presente che non ĆØ certo sufficiente affidarsi solo a essi, ma occorre invece prestare attenzione allā€™atto comunicativo nel suo insieme:

  1. I codici o segnali di gradimento. Nel viso il centro del piacere ĆØ la bocca (serve per succhiare il latte materno, per mangiare, per provare sensazioni piacevoli); accarezzarsi le labbra o mordicchiarsele indica un notevole gradimento da parte del nostro interlocutore nei confronti di quello che stiamo dicendo. Altri segnali positivi sono succhiare un oggetto, spingere le labbra leggermente in fuori, premere la lingua allā€™interno delle guance, accarezzarsi mento e collo e spostare il busto o il corpo verso lā€™interlocutore, (simboleggia un avvicinamento psicologico nei confronti dellā€™altro). Lo stesso vale per i nostri segnali verso lā€™altro; ad esempio, lo spostamento di oggetti verso di noi indica la volontĆ  di avvicinare simbolicamente anche il nostro interlocutore. Invece, tenere un atteggiamento aperto, con braccia aperte e gambe non conserte, denota cordialitĆ  e disponibilitĆ .
  2. I codici o segnali di rifiuto. Il naso ĆØ il centro del non gradimento. Se, mentre stiamo parlando, lā€™interlocutore si gratta il naso ripetutamente, puĆ² significare che lā€™argomento o la nostra persona, gli stiano causando una forte tensione. Il prurito ĆØ, infatti, causato da una vasodilatazione dei capillari, che reagiscono a situazioni di stress. Anche spostare il corpo indietro, lontano dallā€™interlocutore, non ĆØ un buon segnale: equivale a prendere le distanze da lui. Allo stesso modo, spostare oggetti lontano da noi significa che vogliamo allontanare lā€™argomento o la persona. Spolverare o spazzare via dagli abiti o dal tavolo polvere o briciole ha un significato preciso: non voglio farmi carico di questi problemi, mentre il colpo di tosse e il raschiamento della gola sono un rifiuto netto di quanto stiamo dicendo; inoltre, gambe accavallate e braccia conserte sono segnale di chiusura.

  Le mani ci permettono unā€™espressivitĆ  molto articolata e sono una fonte formidabile di messaggi non verbali. Anche la stretta di mano rivela qualcosa di noi e dellā€™altro; ogni stretta di mano ĆØ, infatti, unā€™esperienza con cui i due comunicanti si fanno una prima impressione reciproca. In base alle diverse modalitĆ  della stretta di mano possiamo, infatti, distinguere tra stretta di mano: superiore (rapida, decisa, sicura). Rivela sicurezza e alta autostima; rustica (troppo forte nello stringere e agitare). Rivela schiettezza, abitudine ai lavori manuali e forse ostentazione di forza; assente (denota debolezza, insicurezza, paura di coinvolgersi e forse falsitĆ ); infinita (indica un individuo invadente e appiccicoso); tremolante con sudorazione (rivela ansia e agitazione); sensuale (accarezza ed esplora anzichĆ© stringere); a sandwich (mostra lā€™intenzione di mostrare un particolare affetto); qualsiasi (giusta e ponderata). Rivela socievolezza o forse desiderio di non definirsi e quindi prudenza e abilitĆ .

  Guardare lā€™interlocutore e sostenere lo sguardo denotano apertura, sicurezza e buona gestione relazionale. Sulla base delle diverse tipologie di sguardo, possiamo cercare di individuare in essi dei segnali specifici:

  1. guardare in avanti indica partecipazione alla realtĆ , attenzione,concentrazione, franchezza ed estroversione, mentre guardare di lato, vuol dire rifiuto del presente, fuga dalla realtĆ , prudenza e introversione;
  2. guardare in orizzontale ĆØ indice di realismo, sinceritĆ , senso dellarealtĆ  e desiderio di contatti stabili e duraturi, mentre guardare in alto, indica proiezione nel futuro, previsioni e voglia di evadere;
  3. guardare in basso significa ripiegamento su di sƩ, scarso contattocon la realtƠ, ricordo passato, meditazione o depressione;
  4. guardare in basso e di lato indica dissimulazione, egoismo edisaccordo.

  Acquisire lā€™abilitĆ  del contatto oculare (guardando negli occhi, senza fissare insistentemente) ĆØ di fondamentale importanza nel rapporto sociale perchĆ© provoca un feedback immediato. Lo sguardo troppo prolungato puĆ², tuttavia, denotare aggressivitĆ  e sfida.

  Nella comunicazione, la gestualitĆ  ha un ruolo fondamentale ma ogni Paese ha le sue regole, per cui bisogna porre particolare attenzione, quando ci si trova allā€™estero, cercando di usare solo quei gesti la cui interpretazione ĆØ ritenuta condivisa. Infatti, in una situazione interculturale possono nascere problemi di omomorfia (gesto uguale ma con significato diverso), responsabile di notevoli fraintendimenti.

  Caratteristica prettamente latina ĆØ la forte gestualitĆ , che accompagna, sottolinea e mima gran parte del discorso; perĆ², tali gesti, del tutto spontanei per noi, sono spesso incomprensibili per gli stranieri. PuĆ² essere utile individuare degli elementi della gestualitĆ  da confrontare nelle varie culture per avere unā€™idea della complessitĆ  e della ricchezza di significati di questo linguaggio.

  Per avere unā€™immediata rappresentazione del linguaggio non verbale proviamo a immaginare di essere in un Paese straniero e di non conoscere per niente la lingua del posto: se proviamo a osservare attentamente un nostro interlocutore anche mentre parla la nostra lingua, potremo individuare una serie di segnali che si accompagnano alle parole e che ci danno delle interessanti informazioni in quanto differenti dai nostri.

  Esprimere emozioni, sensazioni, giudizi e pensieri con la mimica facciale ĆØ una cosa ovvia nellā€™Europa mediterranea, in Russia e in alcune aree degli Stati Uniti; nellā€™Europa del nord, invece, ci si attende che queste espressioni siano abbastanza controllate, mentre in Oriente esse sono poco gradite, tanto che si educano i bambini fin da piccoli a una certa imperscrutabilitĆ  e alla riservatezza. In alcune culture, come quella turca, tale controllo ĆØ richiesto soprattutto alle donne, che devono essere impassibili.

  In Italia spesso si esprimono impressioni e sensazioni piĆ¹ con il viso che con le parole, attraverso una mimica facciale molto articolata. Frequentemente, infatti, facendo il resoconto del dialogo avuto con una persona ci troviamo a dire che ha fatto una faccia! Per noi ĆØ, quindi, del tutto usuale lasciar trasparire in questo modo il nostro pensiero, convinti che ciĆ² sia indice di sinceritĆ . Non funziona sempre cosƬ presso gli altri popoli: ad esempio, in Giappone, la rigida maschera facciale ĆØ una vera e propria necessitĆ  sociale.

  ƈ difficile, quindi, per un giapponese non solo interpretare i nostri segnali ma anche capirne la necessitĆ , giacchĆ© esistono le parole per comunicare la stessa cosa in modo migliore e in misura marginale. Altre culture, come, ad esempio, quella tedesca, si avvalgono della mimica, ma con meno frequenza ed enfasi, danno, quindi, lā€™impressione di essere piĆ¹ freddi, perchĆ© ĆØ difficile comprendere le loro emozioni dallo sguardo o dalla piega della bocca. Quando si sta parlando con un cliente, anche le espressioni del viso devono essere adeguate; occorre, infatti, evitare di essere troppo espressivi, rischiando, in tal modo, di essere poco professionali, ma occorre anche evitare di indossare una rigida e inespressiva maschera facciale, che invece trasmette freddezza e disinteresse. In ogni caso (in ogni cultura), perĆ², un sorriso ĆØ sempre gradito!

  Le azioni parlano di per sĆ© senza utilizzare un codice particolare e possono essere distinte in:

  1. azioni spontanee, cioĆØ quelle che comunicano il nostro stato dā€™animo e provocano delle risposte, come, ad esempio, gridare per dolore o paura portano generalmente unā€™offerta di aiuto e di conforto;
  2. azioni che si protraggono nel tempo, che comportano in genere una risposta; ad esempio fare per lunghe ore un determinato lavoro puĆ² spingere i colleghi a dare una mano;
  3. azioni fatte affinchĆ© vengano percepite, cioĆØ quando agiamo perchĆ© gli altri si accorgano di quello che facciamo e reagiscano favorevolmente alle nostre azioni; ad esempio, se qualcuno indossa il cappotto mentre ĆØ in visita a casa nostra, ci spinge ad accendere il riscaldamento;
  4. azioni volte proprio alla comunicazione, cioĆØ quando lā€™azione diventa uno strumento codificato, una specie di recita; ad esempio, una persona che sorride a unā€™altra verso cui nutre antipatia solo perchĆ© ha bisogno di un passaggio in macchina.

  Lā€™aspetto esteriore ĆØ ciĆ² che immediatamente notiamo dellā€™altro e che determina la cosiddetta prima impressione. Nellā€™incontro con lā€™altro vi ĆØ un immediato impatto visivo, la nostra attenzione va a osservare quanto ĆØ alto o basso, grasso o magro, i particolari somatici delle forme del volto, evidenziando dominanze di curve o spigoli; inoltre, osserviamo il colore della pelle, dei capelli, lā€™eventuale trucco e soprattutto il tipo di abbigliamento, in base al quale facciamo valutazioni (elegante, sobrio, sciatto, adeguato alla situazione e cosƬ via). Questi segnali vengono osservati in pochissimi secondi e la descrizione verbale ĆØ certamente piĆ¹ lunga dellā€™osservazione.

  CiĆ² avviene soprattutto con interlocutori nuovi, per inquadrare il soggetto che si ha di fronte. Lā€™attenzione allā€™estetica ĆØ la cura della bellezza e avere un aspetto gradevole ĆØ una vera e propria forma di comunicazione, su diversi piani:

   Gli accorgimenti estetici, come ad esempio trucchi e pettinature, che sono in genere segnali estetici di identitĆ  sessuale (come colorarsi le labbra e depilarsi le gambe).

  1. La pulizia corporea, che nasce da necessitĆ  dā€™igiene e di benessere fisico e che nella nostra societĆ  non ĆØ solo visiva, ma anche olfattiva (infatti, ĆØ esplicitamente richiesta in ogni contatto umano).
  2. Lā€™abbigliamento riveste non poca importanza; infatti, lā€™essere umano si veste per proteggere il corpo da fattori esterni, per coprire alcune parti del corpo, per pudore o anche per decorarsi, cioĆØ per sembrare piĆ¹ attraente. Con lā€™abbigliamento sā€™inviano messaggi, relativi al sesso, allā€™etĆ , alla classe sociale, alla personalitĆ , allā€™umore e ai gusti personali, ma anche segnali di potere (ad esempio toghe e corone), di posizione economica (ad esempio, gioielli o firme di alta moda) e di competenza professionale (ad esempio, divise e grembiuli).

  Le comunicazioni, realizzate attraverso lā€™abbigliamento, diventano importanti nelle interazioni e nelle relazioni di breve durata, dove gli interlocutori azzardano dei giudizi sommari perchĆ© non sono in possesso di altri elementi ma sono anche molto importanti nel rapporto di lavoro (immaginate di presentarvi a una riunione di lavoro in maglietta e pantaloncini corti!).

  La comunicazione dipende da due fattori, di cui uno esteriore, in altre parole ciĆ² che si vede (ciĆ² che diciamo, come lo diciamo, come ci muoviamo nello spazio e quali gesti accompagnano il nostro comunicare ecc.), lā€™altro, interiore, in altre parole il nostro intento comunicativo, i pensieri che governano la nostra comunicazione, le attese e il nostro modo di essere.

  La migliore comunicazione ĆØ quella che riesce a creare la massima concordanza tra lā€™identitĆ  interiore e quella esteriore. I colori piĆ¹ adatti, quindi, possono dare maggiore visibilitĆ  alla nostra personalitĆ , consentendoci di orientare la comunicazione positivamente.

  Lā€™immagine comunica e tutti noi preferiamo che la nostra immagine comunichi davvero ciĆ² che siamo e non qualcosa di diverso; ciĆ² influirĆ  positivamente sulla comunicazione e sui rapporti personali e professionali e anche su di noi, poichĆ© il vero equilibrio nasce sempre dalla consapevolezza e dalla manifestazione consonante e coerente del nostro essere. Anche nei contesti lavorativi, quindi, ĆØ fondamentale prestare attenzione allā€™uso dei colori: provate a immaginare un manager che si presenta a unā€™importante riunione, indossando un abito giallo!

Il codice paraverbale

  Nel parlare ognuno regola le intonazioni della sua voce, procedendo dai toni piĆ¹ gravi a quelli piĆ¹ acuti. Il codice della comunicazione paraverbale si esprime, infatti, attraverso toni e accenti della voce, pause, ritmi, suoni e cosƬ via. Anchā€™essi, nella dinamica del processo della comunicazione, sono elementi importanti. ƈ proprio lā€™intonazione che, nel rapporto comunicativo produce effetti diversi e fa emergere una vasta varietĆ  di significati.

  Nella lingua italiana i movimenti dā€™intonazione sono detti contorni. Questi possono essere discendenti, quando le domande iniziano con che cosa o chi o quale: il tono, in tal caso, scende. Le domande che iniziano, invece, con dove o quando hanno un tono che in un primo momento scende gradualmente, per poi alzarsi in seguito, producendo un contorno discendente/ascendente.

 Nelle esclamative il tono sā€™innalza progressivamente sino a unā€™improvvisa impennata finale. Si ha, in tal caso, un contorno ascendente finale. In un soggetto che dichiara cose ovvie, si puĆ² osservare un tono alto, che, perĆ², alla fine, crolla in maniera brusca. Il contorno che si produce ĆØ detto ascendente/discendente. Nel caso in cui il tono tende a salire progressivamente senza lā€™impennata finale, si ha il contorno ascendente non finale.

 I codici paraverbali sono detti anche paralinguistici: essi accompagnano il linguaggio, senza farne parte. In tale contesto, la voce ha un gran valore simbolico: sul suo tono si puĆ² esercitare minor controllo e, quindi, nella dinamica della comunicazione, essa rappresenta gli stati emotivi e gli atteggiamenti autentici di coloro che interagiscono. Sono appunto il timbro e il tono della voce oppure un accento particolare nel parlare che ci permettono di riconoscere parenti, amici e conoscenti.  La comunicazione interpersonale ĆØ un processo complesso e, perciĆ², per poterla comprendere, deve essere studiata attentamente.

  Ogni uomo, nella societĆ  attuale, dovrebbe, dunque, acquisire adeguate strategie e appropriate tecniche comunicative per rendere facile ed efficace la codificazione e la decodificazione dei messaggi e per utilizzare i codici comunicativi adeguati nei diversi contesti (familiari, sociali, professionali e cosƬ via.

  Per comunicazione paraverbale sā€™intendono tutti quei codici che vengono usati in concomitanza, prima, durante e dopo un messaggio verbale orale. Possiamo distinguere in essa il volume e il tono di voce, la velocitĆ  di parola, le pause, il silenzio e il riso, nonchĆ© altre espressioni sonore. Saper utilizzare la voce permette di raggiungere piĆ¹ facilmente una comunicazione efficace, precisa ed efficiente, che impegni le risorse adeguate alla precisione e alla completezza.

  Una buona impostazione vocale, ad esempio, preferibilmente accompagnata da una buona dizione, puĆ² certamente aiutare i rapporti di comunicazione con i clienti, soprattutto se si tratta di conversazione telefonica. Il volume della voce puĆ² dipendere dalla distanza tra gli interlocutori o dai rumori presenti, ma puĆ² anche essere espressione della personalitĆ  dellā€™individuo. Esso svolge una funzione comunicante molto evidente; ad esempio, una persona arrabbiata tende ad alzarlo, una persona disperata grida i suoi messaggi, mentre un messaggio intimo viene appena sussurrato.

  Il codice paraverbale ha, inoltre, una funzione ausiliaria del linguaggio; modula e regola la voce, ccompagna il linguaggio senza farne parte, ermette alla voce un valore simbolico e fa riconoscere lā€™autenticitĆ  espressiva nellā€™interlocutore.

  Il soggetto che ha una buona competenza comunicativa non usa sempre lo stesso volume, ma sceglie quello adeguato a un determinato momento.   Alla propria voce si puĆ² dare un tono o una modulazione intenzionale: molto comuni, ad esempio, sono le affermazioni, le interrogazioni e le esclamazioni (Sei pazzo. Sei pazzo? Sei pazzo!). Le variabilitĆ  del tono sono innumerevoli e molto efficaci: ad esempio, lā€™intonazione sarcastica o ironica, il modo altezzoso, il tono affabile o dispregiativo, di fastidio, di comando, di remissione e cosƬ via.

  Ogni frase acquisterĆ  quindi un significato diverso secondo il tono con cui viene espressa. Altra importante funzione della comunicazione paraverbale ĆØ lā€™espressione di emozioni e sentimenti, che sono fattori sempre presenti in qualsiasi comunicazione.

  La comunicazione paraverbale, con quella non verbale, ĆØ, dunque, parte integrante del nostro modo di relazionarci con gli altri; essa viene utilizzata quotidianamente da ognuno di noi, spesso anche a livello inconscio. Se mancassero queste componenti, la nostra comunicazione sarebbe poco comprensibile, cioĆØ non pienamente recepibile dal destinatario.  Un mezzo espressivo particolare ĆØ anche la velocitĆ  nel parlare; parlare velocemente puĆ² manifestare tensione o nervosismo oppure mancanza dā€™interesse nei confronti dellā€™interlocutore. Le pause sono quei fenomeni che interrompono il ritmo di produzione delle parole e il loro significato varia secondo il contesto e della situazione.

 Una pausa in un dialogo serve a offrire allā€™interlocutore la possibilitĆ  di parlare, mentre una pausa dellā€™insegnante puĆ² voler significare un momento di riflessione, o attendere che gli alunni facciano silenzio o intervengano.

  Il silenzio ĆØ vissuto di solito come la rottura delle regole del comunicare, ma puĆ² essere determinato anche dalla mancanza di argomenti, dalla mancanza di desiderio di comunicare con determinati soggetti; esso puĆ², inoltre, accompagnare un momento di tensione emotiva, o ancora essere usato come punizione verso un destinatario che disapproviamo.

  Il silenzio implica una vasta gamma di espressioni: vi ĆØ il silenzio oppositivo (ad esempio quello mantenuto dallā€™accusato mentre viene interrogato), il silenzio comunicativo, grazie al quale si possono provare delle emozioni identiche a quelle della persona che cā€™ĆØ vicina e diversi altri modi di tacere. A rivelare il senso del silenzio ĆØ il contesto in cui, di volta in volta, ci troviamo e il suo valore dipende dalle differenti situazioni comunicative.   Lā€™idea che anche il silenzio possa essere una forma di comunicazione, perĆ², puĆ² rappresentare una gran conquista. In televisione, ad esempio, vige una sorta di horror vacui: vi ĆØ il terrore che si possano presentare dei momenti di silenzio. Gli intervistatori tendono a fare un numero infinito di domande e, se per caso lā€™intervistato ha una breve pausa, cercano immediatamente di riempire il vuoto che si ĆØ creato con un altro intervento.

  Il riso ĆØ una manifestazione spontanea, uno sfogo di tensione o una reazione a uno stimolo comico. Esso puĆ² comunicare diverse cose: la stessa frequenza nel ridere comunica un aspetto della nostra personalitĆ  o segnala qualcosa del nostro umore del momento.

 Il trattenersi dal ridere, invece, comunica la nostra intenzione di nascondere unā€™emozione, mentre ridere con compostezza comunica il nostro autocontrollo. Ci sono, inoltre, molti modi di ridere: possiamo, cosƬ, distinguere tra una risata sarcastica o ironica, artefatta, liberatoria, repressa e cosƬ via. Esistono perĆ² anche altre espressioni sonore: talvolta, ad esempio, comunichiamo producendo suoni come il fischio oppure alcuni suoni che emettiamo per scacciare gli animali o per richiamarli, che possono anche variare nelle differenti culture.

 Tutti cerchiamo di migliorare la nostra immagine, curando lā€™abbigliamento, andando in palestra e cosƬ via. CiĆ² non ĆØ, perĆ², sempre sufficiente. Se dobbiamo chiamare al telefono una persona che non conosciamo per concludere un affare importante, quanto ci servirĆ  essere abbronzati e in perfetta forma?

 Al telefono, infatti, ĆØ soprattutto la nostra voce a parlare di noi. Durante una telefonata, la nostra voce influisce per il 72% sullā€™impatto comunicazionale, mentre le parole che usiamo rappresentano solo il 28% del messaggio (Albert Mehrabian, Nonverbal Communication). In questo caso, ĆØ la voce a essere la nostra immagine. Di persona, del resto, le cose non vanno molto diversamente: in un colloquio di lavoro, una voce sgradevole, incerta o con forti accenti dialettali puĆ² vanificare tutta la nostra gradevolezza estetica.

 La voce va intesa come prolungamento, come estensione del corpo. Se con la vicinanza e il contatto incontriamo lā€™altro con il corpo, con la potenza dellā€™emissione vocale lo incontriamo con la voce. I segnali, che provengono dal suono della voce, infatti, costituiscono il non verbale della parola. Essendo molti i muscoli coinvolti nella produzione dei suoni, la voce risente degli stati di tensione e di rilassamento cui tutto il sistema muscolare va incontro, quindi dello stato emotivo che accompagna i contenuti che le parole esprimono.

Ā I parametri della voce sono il volume, che definisce lā€™intensitĆ  del suono (forte-piano), il tono, che definisce lā€™altezza del suono (acuto/grave), la velocitĆ , che definisce la durata di emissione dei suoni (lento-veloce) e la continuitĆ , che definisce la sequenza di emissione dei suoni (continuo/discontinuo, pausa).

 Di solito, si aumenta il volume della voce per far arrivare il messaggio verbale a chi ĆØ distante da noi, ma tale volume viene aumentato anche per dare enfasi a un discorso o per dimostrare lā€™importanza del proprio ruolo. Si abbassa, invece, per creare intimitĆ  tra le persone o perchĆ© non si tiene conto del destinatario.Se il volume sonoro supera una certa soglia, si realizza una condizione dā€™invasione acustica, percepita talora come aggressivitĆ . Il tono riflette, in particolare, lo stato di tensione delle corde vocali; per questo di mattino, appena svegli, ĆØ mediamente piĆ¹ basso. I suoni acuti tendono a eccitare i destinatari, per esempio, nelle riunioni concitate, dove talvolta si crea il paradosso di richiedere verbalmente la calma con un tono della voce sempre piĆ¹ acuto.

 La coerenza tra i segnali verbali e non verbali della voce ĆØ, infatti, di fondamentale importanza negli eventi comunicativi. Al telefono, poi, la voce assume una rilevanza notevole, perchĆ© la mancanza del canale visivo sposta lā€™attenzione su quello uditivo, non solo per la raccolta dei contenuti verbali ma anche per le informazioni sonore che regolano lā€™interazione e indicano lo stato emozionale dellā€™interlocutore.

 La velocitĆ  definisce le parole e i gesti emessi nellā€™unitĆ  di tempo e riflette lo stato emotivo e quello situazionale. Vi sono persone che parlano molto velocemente, altre che parlano sempre lentamente, anche quando i segnali del contesto indicano impazienza.

 La velocitĆ  assume sempre piĆ¹ importanza per una serie di cambiamenti che stiamo vivendo nelle comunicazioni sociali e nel trattamento delle informazioni aziendali: infatti, oggi, lā€™elemento significativo, spesso non ĆØ piĆ¹ il prodotto ma la rapiditĆ  con cui il cliente viene soddisfatto.La continuitĆ , invece, definisce lā€™alternanza tra lā€™emissione della voce e la pausa. Questā€™ultima serve a riordinare le informazioni (da ricevere o dare), ad ascoltare lā€™altro e a sincronizzare lā€™interazione. Durante la pausa si ha lo scambio di ruoli tra chi parla e chi ascolta.

Ā Molte lotte di potere si esprimono attraverso la pausa e spesso si assiste al furto della stessa come condizione comunicativa in cui gli interlocutori cercano di presidiarne il vuoto, affinchĆ© non sia occupata da altri. DifficoltĆ  o facilitĆ  dellā€™incontro ĆØ dovuta spesso al contrasto o allā€™omogeneitĆ  di tali ritmi, riferiti al modo di formulare i pensieri, di esprimersi con la parola, di interrompere lā€™altro o di aspettare che finisca il discorso; sentirsi in sintonia con lā€™altro significa, infatti, avere ritmi omogenei o complementari.

Dibattito argomentato (Debate)

  Il dibattito argomentato (Debate) ĆØ una metodologia didattica, che ĆØ stata storicamente impiegata nel mondo classico e soprattutto nel Medioevo con le disputationes. Oggi si ĆØ rinnovato ed ĆØ diventato una specie di gioco didattico o sfida verbale e comunicativa. Le fasi di preparazione del dibattito comprendono la divisione delle argomentazioni in:

  • introduttiva;
  • argomentativa a favore della propria tesi;
  • confutativa della tesi degli avversari;
  • conclusiva.

  Il dibattito argomentato (Debate) ĆØ strutturato con regole rigorose, vale a dire due gruppi di studenti di una classe, di una scuola, di istituzioni scolastiche diverse o impegnati in tornei internazionali si devono confrontarre su un tema, suddiviso in tesi antitetiche e contrapposte. Gli studenti coinvolti assumono precisi ruoli (ricercatori, capitani e relatori). Tutti devono prepararsi al tema in maniera critica e approfondita. I ricercatori hanno un compito molto oneroso, perchĆØ, con ricerche anche supportate e coordinate dai docenti, devono fornire a tutto il gruppo informazioni appropriate e rilevanti per le arringhe nel dibattito (Debate). Il capitano ha, a sua volta, un compito notevolmente importante, perchĆØ non solo deve introdurre la tesi del confronto ma anche incanalarla verso gli obiettivi stabiliti e fecondi. Dopo che il capitano ha indrodotto il dibattito, subentrano gli oratori. Questi hanno la funzione di sviluppare, argomentando e dibattendo, la tesi scelta.

Ā  Il dibattito (Debate) ĆØ regolamentato e cronometrato da un arbitro, il cronometrista, che non solo ha il compito di far rispettare i tempi degli interventi, ad esempio 3 minuti per ciascun oratore, ma deve anche, con una strumentazione adatta, avvisare alcuni secondi prima, ad esempio 30, la conclusione dell’arringa. Il tempo prestabilito dal cronametrista deve essere per tutti gli oratori lo stesso. Nel dibattito argomentato (Debate) un altro compito delicato ĆØ svolto dalla Giuria. I membri della giuria, seguendo tutte le fasi del dibattito, devono decretare la vittoria di una squadra, motivandone la scelta soprattutto in considerazione delle conoscenze messe in atto e delle capacitĆ  di utilizzare le strategie piĆ¹ adeguate nel perseguimento degli obiettivi attesi. In conclusione gli elementi fondamentali del dibattito (Debate), da far acquisire, sono: dibattere e argomentare; sviluppare le soft skill e le capacitĆ  curricolari; stimolare il ragionamento logico e la ricerca di nuove idee; educare a parlare in pubblico, cercando di trovare un corretto tono di voce; riferire argomenti accattivanti, sia per mantenere vigile l’attenzione sia per persuadere sulla bontĆ  della propria tesi.