Per l’autonomia delle Istituzioni scolastiche

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L’ANDIS per l’autonomia…

di Vittorio Zedda

…delle istituzioni scolastiche! Un pizzico di storia. L’ 8 marzo 1989, presso la “Sala Leonardo da Vinci” della Fiera di Milano, nell’ambito della mostra “Didattica 89”, l’ANDIS, per iniziativa dell’allora Presidente Nazionale (il sottoscritto) e della Vicepresidente Nazionale Cinzia Mion, con la fattiva collaborazione della sezione ANDIS di Milano e del suo presidente Bernardino Lavatelli, celebrò un incontro di studio dal titolo “CONVEGNO SCUOLA 1992: QUALITA’, GESTIONE, PRODUTTIVITA”. Il tutto al fine di studiare e di predisporre le condizioni per poter varare l’autonomia delle istituzioni scolastiche.

Ogni parola del titolo conteneva, nella massima sintesi, la grossa questione delle innovazioni che stavano per interessare il mondo della scuola. Della quattro relazioni, affidate nell’ordine a Zedda, Mion, Sartori, Giglioli, con le conclusioni finali di Lavatelli, la prima e più corposa s’intitolava “Autonomia delle unità scolastiche: attuabilità della riforma e opinioni dell’ANDIS sul disegno di legge del Ministero PI”. Poiché il movimento associativo nato fra i Direttori Didattici, e poi sfociato nell’ANDIS, aveva all’epoca più volte trattato in varie sedi la questione dell’autonomia, parve opportuna l’occasione offerta all’ANDIS dal settore “Scuola” della Fiera di Milano, al fine di rendere pubbliche le riflessioni condotte in seno all’ANDIS sul tema.

Concretamente si puntava quindi ad offrire dei contributi di studio agli ambiti politici impegnati sulla riforma, o quanto meno si sperava che le riflessioni provenienti dai lavori seminariali, locali e nazionali, dell’ANDIS potessero essere considerate e vagliate nelle sedi opportune. E’ difficile fare un sunto della mia relazione, per cui vedrò in quale modo di renderla integralmente fruibile agli eventuali interessati. Posso però enucleare in breve alcuni “nodi”, seppure rinunciando a riportare le argomentazioni che ne sorreggevano la definizione e i contenuti.

Iniziai considerando le condizioni necessarie al successo della riforma, definendole come “il terreno d’impianto”, da predisporre per far radicare e rendere fruttuoso un cambiamento potenzialmente epocale o addirittura rivoluzionario. Era stato preparato il terreno? E, qualora l’operazione fosse in atto, cosa ancora restava da fare? Qui cominciavano ad emergere i nodi cui era necessario porre rimedio, e per tempo. Si avvertiva da vari anni una perdita di qualità del servizio scolastico, il quale, se tale regresso qualitativo non fosse stato corretto, rischiava di non essere più compiutamente in grado di garantire all’utente-alunno una prestazione educativa e didattica adeguata ai tempi, alle istanze e alle norme. Occorreva quindi una efficace tutela, anche giuridica, dei “diritti del discente” cui garantire un servizio di qualità eccellente e non in fase di scadimento.

L’immissione in ruolo di insegnanti d’ogni ordine di scuole e per alcuni ordini anche di capi d’istituto, senza rigorosi sistemi di selezione (con gli ulteriori danni indotti dalle immissioni in ruolo “ope legis” per sanare i problemi del precariato) aggravava i problemi legati alla formazione inadeguata di detto personale e condizionava la qualità del servizio. Si rilevava l’esigenza di rimettere mano al miglioramento dei livelli di professionalità, anche per contribuire a riadeguare gli indici di produttività del sistema, minati da effetti di dequalificazione aggravati dall’ipergarantismo politico-sindacale, fonte di conflitti intercategoriali interni. Con la riforma del “74, quella cosiddetta dei “Decreti Delegati” (D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, 417, 418,419 e 420) era stata soppressa la valutazione annuale del servizio dei docenti, ma il nuovo Comitato di Valutazione previsto da detta Riforma non era stato pensato per innovare un sistema di valutazione delle prestazioni professionali e degli esiti.

Ed i nuovi organi collegiali mostrarono ben presto tutta la loro inadeguatezza funzionale. Il quadro delle criticità pareva richiedere una loro correzione, preventiva o contestuale, secondo i casi, alla riforma dell’autonomia, affinché detta autonomia corrispondesse effettivamente ed efficacemente ai suoi significati e alle finalità cui mirava. A questo punto la relazione considerava i significati dell’autonomia, prioritariamente pensata a garanzia del discente, alla eliminazioni dei fenomeni di dispersione del sistema, alla correlazione del servizio con le esigenze sociali emergenti, alle sinergie con le risorse del territorio di riferimento, al superamento delle rigidità dell’offerta a fronte delle istanze di un contesto sociale dinamico, alle flessibili richieste da bisogni differenziati, alla soluzione delle contraddizioni fra esigenze di razionalizzazione e produttività nel settore pubblico, al superamento di obbiettivi quantitativi in favore di obiettivi qualitativi, fino all’auspicato ripristino di “una responsabilità individuale e professionale, specifica e diffusa a livello di ogni operatore in ordine ai risultati del lavoro svolto, pertanto all’uopo accertato, incentivato, sostenuto e corretto, fatti salvi gli strumenti amministrativi e giuridici atti a salvaguardare l’interesse pubblico da prestazioni inidonee o dannose.

La sintesi qui operata, omettendo, come detto, le argomentazioni, può far apparire alcuni passaggi alquanto spigolosi, ma il discorso si sviluppava in connessione con l’esame dei nodi politici del momento in cui la legge sull’autonomia andava prendendo forma e ne considerava i condizionamenti e le dinamiche dei rapporti. La relazione considerava poi la riforma in rapporto alle esigenze dei diversi gradi e ordini di scuole e si concludeva con l’esame della figura giuridica e funzionale del nuovo Dirigente Scolastico preposto a quella che chiamavamo “unità scolastica autonoma”.

Quella relazione suggeriva implicitamente, nello sviluppo delle sue varie articolazioni, anche una sorta di possibile griglia di valutazione degli effetti dell’autonomia, una volta varata e resa operativa. Oggi, a fronte di reiterati rilievi critici su detta riforma e sui suoi esiti, parrebbe il caso che ad ogni livello venissero condotte analisi organiche e verifiche scientificamente predisposte e condotte al fine di valutarne ogni suo aspetto giuridico, funzionale, operativo, organizzativo e produttivo. Sarebbe un compito che l’ANDIS potrebbe assumersi, progettando modi e forme di verifiche collegiali periodiche, anche nell’ambito di specifici convegni e seminari per porre sotto esame le fasi di un processo iniziato in ambito associativo già nei primi anni 80.