Il PNRR per il rilancio della Scuola

IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA PER IL RILANCIO DELLA SCUOLA

di Gian Carlo Sacchi

La cultura delle riforme scolastiche diffusa nel nostro Paese riguarda soprattutto i contenuti che si devono trasmettere e la discussione verte su quali finalità essi devono raggiungere, se cioè deve prevalere la linea della tradizione da tramandare o quella dell’innovazione da affiancare al cambiamento tecnologico e sociale; se la scuola deve servire all’economia ed alla competitività nel campo della produzione e del lavoro, o se deve dedicarsi alla formazione critica delle persone. Nel tempo ha prevalso in maniera più evidente qualcuna di queste tendenze alle quali si è cercato di adeguare strutture e competenze, però sempre poche risorse finanziarie che servivano a consolidare i diversi obiettivi, in base alle scelte politiche del momento, creando così un sistema complessivamente debole perché costruito su strade che continuamente si incrociano e pur esprimendo ciascuna una certa potenzialità alla fine dovevano sopportare contraddizioni che hanno determinato insuccessi e inefficienze.

L’esigenza attuale è di mantenere le tre dimensioni portandole ai livelli di una società complessa dove i giovani devono allo stesso tempo avere memoria del cambiamento, essere inseriti nella realtàpresente, ma capaci di intravvedere il futuro, in campo tecnologico, ambientale, professionale e sociale. Si tratta di passare da una visione piuttosto frammentata del sapere e dei diversi mestieri per arrivare ad una ricomposizione evolutiva, superare l’addestramento per una più ampia professionalità epromuovere l’azione unitaria della persona in formazione.

E’ proprio una tale svolta che non può più essere finanziata come una piccola riforma, ma deve cogliere l’occasione per sostenere le basi del sistema, offrendo una più ampia autonomia e richiedendo una maggiore qualità. Il PNRR è proprio questa opportunità, che deve far compiere il salto: la notevole quantità di risorse a disposizione quindi non può soddisfare solo una lista di ritocchi, ma deve costituire un investimento in grado di innovare profondamente il sistema stesso perché sia in grado di avere istituzioni scolastiche capaci di “autonomia pedagogica” che interviene sulla crescita delle persone, ma anche sullo sviluppo dei territori e sull’integrazione con il mondo del lavoro.

I pilastri del sistema sui quali occorrerà intervenire, sia a livello micro, cioè di un singolo istituto, o macro, dell’intero Paese riguardano i tempi, gli spazi e il personale. Va ripensato il tempo necessario in cui bisogna stare a scuola e che quest’ultima deve dedicare alla comunità in cui opera, per favorire non solo l’istruzione formale, evidenziando già la differenza tra il curricolo nazionale e locale, ma l’intervento in quella non formale, per far incontrare le generazioni, agire sull’analfabetismo di ritorno, nei rapporti con il lavoro, anche al fine di recuperare situazioni di disagio che potrebbero alimentare l’allontanamento sia dalla formazione che dal lavoro stesso. L’istruzione informale poi è entrata di recente ma in maniera altrettanto dirompente nella vita delle persone e delle istituzioni formative, non solo per la necessità di alimentare l’educazione digitale e mediatica, ma proprio per prevenire e contrastare l’uso strumentale e criminoso della comunicazione.  Ad una scuola che deve poter gestire il proprio tempo, e lo vediamo anche nelle situazioni di emergenza pandemica, va assicurata la capacità di fronteggiare in modo autonomo le diverse situazioni con adeguate risorse umane e finanziarie.

Tempi e funzioni devono ispirare una revisione dei criteri di progettazione ed utilizzo degli spazi. L’edilizia scolastica è la vera piaga delle nostre strutture, come si è detto si è sempre curato il contenuto lasciando ammalorare il contenitore; oggi non è più possibile vedere soltanto la stabilità e la sicurezza, pur doverose, ma occorre che architettura e pedagogia inizino un percorso di collaborazione, da un lato per garantire determinati standard costruttivi, ma dall’altro per inserire la dimensione formativa, che deve andare oltre le tradizionali aule, nell’ambiente naturale, sociale e lavorativo in cui deve operare. Le indicazioni per fronteggiare i cambiamenti climatici, le attività che la scuola deve compiere anche come centro civico e “laboratorio territoriale per l’occupazione”, devono essere alla base dei progetti delle così dette “scuole nuove”, che pur essendo già state finanziate con la legge del 2015 non hanno dato i risultati attesi se non in rari casiquelli in cui si è vista la partecipazione delle autonomie territoriali, così da creare un sistema locale.

Tempi e spazi richiedono una nuova organizzazione, sia per gli studenti, perché siano gli artefici del loro apprendimento, con l’uso flessibile della scuola, per far vivere una struttura “aumentata” dalle tecnologie e dai modelli organizzativi di classi e gruppi, sia per i docenti che oltre ad avere luoghi personalizzati in forma laboratoriale, dispongano di spazi di lavoro individuale e collettivo. Su questo delicato aspetto di innovazione ediliziasarebbe necessario un attento monitoraggio da parte dello Stato, per non rischiare di trovarci ad uno di quegli incroci che dopo un inizio promettente si venga sviati soltanto da emergenze strutturali: scuole e comuni a questo riguardo dovrebbero lavorare insieme. Così come sul piano dei contratti di lavoro del personale non si sente parlare di queste nuove competenze e quindi modalità organizzative che devono essere previste, sia come status e trattamento economico, sia come azioni di valorizzazionenell’ambito dell’autonomia.

C’è bisogno di un cambiamento vero ed i fondi del PNRR lo consentirebbero, la politica, ma soprattutto l’amministrazione e il sindacato lo vogliono veramente ? Il rischio che se questi fondi vengono impiegati solo per le classi pollaio et similia ci troveremo ben presto ancora al crocevia, perdendo un’altra volta il treno dell’innovazione che altri Paesi avranno implementato, il che aumenterà ancora di più il gap nei loro confronti e ci farà ripiombare di nuovo nella miseria delle annuali leggi di bilancio.

Con la relazione del Presidente del Consiglio al Parlamento si dà inizio all’attuazione del PNR, vengono indicati gli obiettivi e i traguardi a cominciare dalla fine dell’esercizio 2021: l’Italia rispetta l’impegno a conseguire tutti i primi 51 obiettivi per quest’anno. Si parla di strutture e strumenti per migliorare l’attuazione del piano, assicurando il coinvolgimento degli enti locali e delle parti sociali. 

Per quanto riguarda il  comparto dell’istruzione sono previste, com’è noto, diverse riforme: dalla carriera degli insegnanti ed il loro reclutamento, all’istituzione di un sistema di qualità per le scuole, ma anche, da parte del settore universitario, di nuove classi di laurea per favorire percorsi interdisciplinari, sempre più necessari al miglioramento dell’apprendimento in una società complessa. Fa capolino l’istituzione di una scuola di alta formazione per accompagnare lo sviluppo professionale del personale ed in particolare dei dirigenti scolastici.

Un consistente investimento viene dedicato alla transizione informatica per potenziare le scuole 4.0 con nuove aule didattiche e laboratori ed un portale dedicato agli operatori sui contenuti dell’educazione digitale. Entro il corrente mese di gennaio il comitato per la transizione digitale ha assunto l’impegno di mettere in campo il bando relativo alla “scuola connessa” per una spesa di 261 milioni che vedrebbe coinvolte circa dieci mila istituzioni scolastiche.

In corso di definizione sono interventi per l’orientamento, con specifici supporti professionali, anche attraverso accordi tra scuole e università; la riduzione dei divari territoriali a partire dalla eterogeneità delle competenze di base e la mancanza di equità. Sarà attivato il potenziamento dell’apprendimento delle discipline STEM e delle lingue, nonché la formazione professionale terziaria, per arrivare alla riforma degli istituti tecnici e professionali.

I primi bandi, emanati nel dicembre scorso, a beneficio degli enti locali riguardano l’edilizia scolastica, per i servizi di cura della prima infanzia, le mense, le infrastrutture per lo sport, la costruzione di nuove scuole mediante la sostituzione degli edifici, oltre ad un piano per la messa in sicurezza e riqualificazione delle attuali strutture. Le scadenze per la presentazione dei progetti sono fissate per febbraio 2022, un tempo troppo breve (?), soprattutto per i piccoli comuni che non hanno competenze tecniche al loro interno, ed anche se il ministero promette attività di accompagnamento, sarebbe più aderente alle esigenze dei territori l’organizzazione di reti di consulenza a livello locale che mettano in relazione i comuni e le scuole per sostenere la progettazione in area vasta.

Sia per le mense che per i servizi alla prima infanzia gli investimenti in infrastrutture dovranno poi fare i conti con le scarse disponibilità degli enti territoriali a mantenerli in futuro, nonché alla fornitura di personale che per quanto riguarda la spesa corrente rimane difficoltosa. Sarà inoltre necessario sensibilizzare gli amministratori locali sull’efficacia del tempo scuola per lo sviluppo delle persone dei bambini, per incentivare la costruzione di tali servizi, e non solo utili alla conciliazione dei tempi di lavoro dei genitori. La dove infatti c’è disoccupazione femminile la domanda di detti servizi diminuisce.

E’ interessante poi vedere nella scuola un centro per il territorio, ma non solo i locali devono servire a diverse attività durante la giornata, ma è l’occasione perché alla medesima venga attribuito un ruolo di “presidio pedagogico”, in collaborazione con altri enti ed associazioni, senza farsi vicariare dal privato sociale. Un punteggio premiale sarà attribuito a quei progetti che si svilupperanno nelle zone con tassi di disagio negli apprendimenti.

Efficienza energetica, riduzione di emissioni inquinanti, riqualificazione degli edifici; sostituzione di parte del patrimonio edilizio obsoleto, con l’obiettivo di creare strutture sicure, moderne, inclusive e sostenibili; progettazione degli ambienti scolastici tramite il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati all’azione educativa con l’obiettivo di incidere positivamente sull’insegnamento e l’apprendimento degli studenti, lo sviluppo sostenibile del territorio e di servizi volti a realizzare la comunità.

La proposta progettuale dovrà rispettare gli indici, su scala nazionale, previsti dal DM 18-12-1975, norme che si tentò di abrogare con la legge n. 23/1966 per elaborarne di più vicine alla scala locale, nell’ottica di un decentramento del governo delle scuole stesse. Le superfici di allora consideravano condizioni di affollamento che dovrebbero essere riviste alla luce del distanziamento sociale. Con tali vincoli sarà difficile che l’edificio   sia uno strumento educativo a tutto campo, nonostante il bando preveda soluzioni condivise tra l’ente locale e la comunità scolastica. 

E’ ormai assodato il superamento dell’aula tradizionale per arrivare a differenti “ambienti di apprendimento” improntati alla massima flessibilità; nel 2013 il MIUR emanò linee guida che seppur volesse ricondurre ad indirizzi progettuali omogenei sul territorio nazionale vedeva la scuola come il risultato del sovrapporsi di diversi tessuti ambientali per realizzare un principio di autonomia di movimento per lo studente che solo uno spazio flessibile e polifunzionale può garantire e per il docente che può muoversi tra i vari gruppi che si organizzano. 

L’adattabilità degli spazi si estende, come si è detto, anche all’esterno offrendosi alla comunità locale ed al territorio. L’aula moderna infatti è uno dei tanti momenti di apprendimento centrati sullo studente. Tante ricerche al riguardo son state compiute a livello internazionale e potrebbero essere utili per i nuovi progetti.