La scuola ai tempi del Covid19: gli effetti dell’isolamento e il crollo delle certezze

da Tuttoscuola

Di Teresa Madeo*

La scuola si sta chiedendo se ancora sia utile la didattica a distanza per garantire la “scuola fuori dalla scuola”, interrogandosi sulle modalità che possano consentire di non creare ulteriori discriminazioni sociali, sul mantenimento dei rapporti con gli studenti con bisogni educativi speciali, ma soprattutto sulla sua finalità costituzionalmente garantita, che non è solo l’istruzione, ma anche l’educazione. Oggi la Scuola dovrebbe ancor di più “dare senso al momento attuale”, rilanciando i il suo ruolo educativo.

Molte volte è stato lanciato l’allarme dell’emergenza educativa che vede spesso i nostri bambini e ragazzi poco attenti a se stessi e agli altri, con derive anche gravi di non rispetto delle regole sociali, tanto da degenerare in fenomeni come il bullismo e il cyberbullismo. La cronaca porta alla nostra attenzione quasi quotidianamente da un lato episodi di isolamento, di fragilità e di autodistruttività, dall’altro di violenza e di aggressività di cui sono protagonisti i minori. Questi fenomeni vanno inquadrati come un aspetto del più diffuso e multiforme disagio giovanile, legati dal filo rosso della mancanza di senso, della prospettiva schiacciata sul presente, dall’indebolimento valoriale delle nostre giovani generazioni. Negli ultimi anni, il compito educativo della scuola di fronte a studenti sempre più demotivati, poco abituati alla fatica, difficili da interessare e da coinvolgere, ipernutriti dai modelli del mercato, non sempre è stato gestito come si dovrebbero con alleati più solidi e fidati nel sostenere la formazione ai valori dei bambini e dei ragazzi. È capitato, invece, che alcuni abbiano avuto anche comportamenti ambigui, che è passato dalla delega totale ad altri, alla difesa dei comportamenti non corretti, che ha nascosto, comunque, fragilità di ruolo e di compiti.

L’emergenza Covid 19 ci ha messo di fronte a preoccupazionipaure e isolamento. Non bisogna sottovalutare questi sentimenti, che tutti proviamo, dai più piccoli ai più grandi. È nell’emergenza, come ha dimostrato più volte la storia, che il nostro comportamento sociale si modifica, con ricadute importanti sulle future generazioni. Ricorderemo questo periodo sicuramente per le tragedie, per le sofferenze, per il senso di chiusura agli altri. Ma forse lo ricorderemo perché qualcosa è cambiato nei rapporti sociali, anche all’interno delle famiglie. È il tempo di sviluppare e consolidare una cultura e una pratica delle responsabilità sociali, genitoriali e scolastiche, che diventi patrimonio di adulti e giovani nella misura in cui tutti ci si allena e si fa esperienza concreta di condivisione, a partire dalla consapevolezza del cammino da fare e della meta da raggiungere. In questi giorni di emergenza tutte le componenti possono mettersi nella condizione di sentirsi ascoltati, protagonisti di relazioni vere fondate anche sulla conoscenza di aspetti dell’altro che forse non si conoscevano. Questa può essere una preziosa occasione per creare presidi educativi forti, che vedano il coinvolgimento di tutti, permettendo di sperimentare un modello di welfare che potrà essere utilizzato al termine dell’emergenza per consolidare quella comunità educante, tanto spesso raccontata ma poco praticata. L’alleanza nasce e si consolida partendo dall’analisi dei bisogni educativi del minore, e questi possono essere conosciuti solo attraverso l’ascolto.

Si deve innescare un processo di consapevolezza, di cammino comune, di senso. È il momento giusto forse per imparare ad acquisire e affinare l’arte dell’ascolto, del dialogo, del confronto ed essere finalmente capaci di gratuità, di dono, di accoglienza, in tutti i contesti. Nonostante gli importanti progressi nella prevenzione, nella diagnosi e nel tracciamento precoce dei casi, e a prescindere dall’aumento del numero di individui vaccinati nella popolazione adulta e dalla recente obbligatorietà della vaccinazione del personale scolastico, ancora molti interrogativi rimangono aperti per legittimare una previsione troppo ottimistica sull’andamento pandemico nel prossimo futuro, a partire dalle conseguenze che l’impatto delle nuove varianti e di una copertura vaccinale subottimale potranno avere sulla governance attuale e sulle scelte delle policy scolastiche. La tutela del benessere delle generazioni più giovani del Paese non può passare unicamente da un ripristino della normalità didattica, ma deve includere la rilevazione, la comprensione e la presa in carico dei disturbi cognitivi e delle nuove e aumentate domande di salute fisica e mentale, emerse dopo un anno e mezzo di scuola a singhiozzo. Tali obiettivi chiamano in causa molteplici responsabilità politiche e istituzionali: l’epidemiologia può fare la sua parte quantificando l’impatto della pandemia sulla popolazione infantile e adolescenziale, cercando di interpretarne cause e prevederne conseguenze, identificando misure preventive efficaci e costruendo reti e alleanze all’interno delle quali discutere come meglio tutelare la salute dei ragazzi. Gli esperti di neuroscienze suggeriscono come sia essenziale per la comunità scientifica e gli operatori sanitari, ma anche per chi lavora nelle scuole e per le famiglie, valutare e analizzare l’impatto psicologico causato dalla pandemia di coronavirus sui bambini e sugli adolescenti. Infatti, svariati disturbi mentali possono iniziare a manifestarsi in queste fasi della crescita.

Stare a casa determina anarchia. Questa situazione amplifica una delle sfide più difficili ma anche più importanti che la scuola ha: rendere autonomi, consapevoli e protagonisti assoluti della propria maturazione di conoscenze i ragazzi. Purtroppo, ancora oggi, il sistema scolastico rimane ancorato al senso del dovere, dell’obbligo, del voto come obiettivo; spesso i ragazzi non si sentono protagonisti del loro processo di apprendimento ma comparse, o meglio, contenitori di informazioni. Il ruolo dell’insegnante direttivo che dalla cattedra detta la conoscenza, oltre ad essere criticato da tutte le moderne nozioni psicopedagogiche, non funziona per nulla bene a distanza.

È necessario, soprattutto in questo momento, motivarli e coinvolgerli maggiormente durante le lezioni altrimenti li continueremo a trovare barricati dietro lo schermo di un PC, magari intenti a chattare con il cellulare mentre l’insegnante spiega. Una sinergia vincente per formare alla resilienza: la scuola non è solo insegnare, così come la sanità non è solo curare. Entrambe devono promuovere la salute con azioni di supporto allo sviluppo del sistema emotivo: come a scuola si fa ginnastica per potenziare la psicomotricità e la capacità aerobica, così si potrebbe anche insegnare a potenziare la capacità di gestione dello stress e la normalizzazione delle emozioni negative, grazie all’aiuto di esperti a supporto di piani educativi innovativi. La conoscenza riduce l’ansia e aumenta la resilienza: i bambini hanno bisogno di informazioni oneste sui cambiamenti all’interno della loro famiglia. Quando queste informazioni sono assenti, i bambini cercano di dare un senso alla situazione da soli. È essenziale esporre i bambini a poche ma corrette informazioni su COVID-19 attraverso diverse fonti, come il telegiornale della sera, parlando con loro delle notizie ed eventualmente facendo da filtro. Gli adulti sono i primi a preoccuparsi di come si sentono i bambini, ma a volte sono i primi a non dare l’esempio condividendo alcuni dei loro sentimenti e parlando di emozioni.

Per questo, le conversazioni potrebbero finire per essere dominate solo dagli aspetti pratici della malattia. La chiusura delle scuole è iniziata nel febbraio 2020, l’11 marzo è stata dichiarata la pandemia, spingendo il 91% degli studenti del mondo ad abbandonare le aule nel mezzo dell’anno scolastico. Si stima che, in assenza di interventi, ci sarà una perdita di apprendimento equivalente a 0,6 anni di scuola e di un aumento del 25% della quota di bambini e bambine della scuola secondaria inferiore al di sotto del livello minimo di competenze. Queste perdite saranno maggiori per gli studenti che provengono da famiglie meno istruite; una conferma delle preoccupazioni legate all’iniquità delle conseguenze della pandemia. È necessario quindi che anche in Italia sia disponibile un quadro chiaro della situazione al fine di poter intervenire al più presto per raggiungere gli studenti più in difficoltà, con un piano individualizzato per il supporto alla didattica, a distanza e non e il recupero degli apprendimenti. C’è un fattore evidentemente che accomuna tutti noi in questo periodo di post pandemia.

E’ un fattore pericoloso, che può impattare negativamente sulla salute mentale di noi tutti e in particolar modo su quella di chi già precedentemente soffriva di qualche disagio o disturbo psicologico. Ovvero il cosiddetto pensiero catastrofico. Si tratta della tendenza ad anticipare sempre il peggio, quella vocina che ci sussurra che perderemo il lavoro, che le cose non torneranno come prima, che finiremo in ospedale, che qualche persona a noi cara non ce la farà, che l’economia crollerà, che non ci saranno vie di uscita alla situazione, ecc. In conclusione, la chiusura della scuola può avere effetti di lungo periodo devastanti sulla vita degli studenti, specie di quelli già svantaggiati. Prima di chiudere la scuola bisogna valutare ogni intervento alternativo possibile. Come il potenziamento dei mezzi pubblici, lo scaglionamento degli orari scolastici, la chiusura di attività alternative meno controllabili e meno rilevanti per l’economia nel lungo periodo, il potenziamento della capacità di testing e di tracciamento dei contatti, il controllo del rispetto delle regole dentro e soprattutto fuori dagli edifici scolastici (dove gli studenti più grandi faticano a non assembrarsi e a portare la mascherina). Non ha senso sacrificare la scuola, un’istituzione fondamentale per lo sviluppo del paese e il benessere delle persone, per salvare (temporaneamente, peraltro) attività a basso valore aggiunto come quelle che, almeno in Italia, si è scelto di privilegiare finora. Un brusco cambiamento nell’ambiente di apprendimento e le limitate interazioni e attività sociali hanno generato una situazione insolita per lo sviluppo cognitivo dei giovani studenti. Forse però, non si tratta solo di una sensazione: gli studi hanno dimostrato che eccessivo attaccamento, disattenzione. Nel mondo, oltre alla perdita di apprendimento, non andare a scuola significa essere esposti a un rischio maggiore di lavoro minorile, matrimoni precoci e altre forme di abuso e il rischio di essere intrappolati in un ciclo di povertà è nettamente maggiore.

«È necessario che a livello globale tutti agiscano immediatamente per prevenire un impatto irreversibile sulla vita di milioni di bambini e ragazzi che potrebbero non tornare più a scuola. È necessario garantire che tutti i minori non solo possano tornare a scuola in modo sicuro e inclusivo, ma anche che siano riconosciute loro tutte le risorse necessarie per sostenerli nel rientro a scuola, sia per un recupero degli apprendimenti sia per consentire loro la ripresa della socialità che è fondamentale per la loro età. La parola d’ordine di quest’emergenza è stata isolamento: le conseguenze di un prolungato distanziamento sono significativamente forti e devastanti. Il virus ci ha insegnato a guardare ogni persona con diffidenza, come possibile portatore di infezione e malattia e ha insidiato in tutti noi l’inganno, il sospetto, il timore in modo subdolo e profondo: ha introdotto nella nostra società l’idea che l’altro possa portare qualcosa di cattivo e dannoso, anche se involontariamente. Ogni lockdown ci ha resi e continuerà a renderci più diffidenti: in questi mesi abbiamo imparato in modo disfunzionale ad isolarci, a stare in casa, in uno spazio che erroneamente crediamo l’unico sicuro e protetto.

Guardiamo sempre più spesso le possibilità di contatto con gli altri con maggior timore e questo lascerà inevitabilmente un segno indelebile sull’intera comunità, e più nel dettaglio, sui rapporti sociali. La solitudine, la paura che nulla torni più come prima, l’angoscia di perdere una sicurezza economica, il timore di vedere i nostri cari per un possibile rischio di contagio: è il dramma che ognuno di noi ha vissuto e continua a vivere a causa della pandemia e che ha creato una condizione di faticastress psicologico continuo, in cui è forte una destabilizzazione e un crollo delle certezze. In questa situazione di continua instabilità, derivata non solo dall’emergenza ma anche dalle comunicazioni dei mass media, continuamente discordanti e caotiche, ha cancellato tutti i punti di riferimento.

Non ha senso, dunque, sacrificare la scuola, fulcro della Comunità educante, emblema delle figure di riferimento che dovrebbero essere gli insegnanti, istituzione fondamentale per lo sviluppo del paese e il benessere delle persone, per salvare (temporaneamente, peraltro) attività a basso valore aggiunto come quelle che, almeno in Italia, si è scelto di privilegiare finora.

*Professoressa IIS Cellini Fi, Docente Utilizzata su Progetti Nazionali presso Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana