La scuola dell’infanzia, l’infanzia a scuola

La scuola dell’infanzia, l’infanzia a scuola

di Margherita Marzario

Sintesi: Ogni bambino è già un progetto iscritto dalla vita

Abstract: L’autrice, attraverso riferimenti normativi e principi pedagogici, delinea la funzione basilare della scuola dell’infanzia

Tutta la scuola è bistrattata ma quella più trascurata è la scuola dell’infanzia che, in realtà, è fondamentale perché lì si mettono le radici per la crescita cognitiva e personale di ogni bambino.

Lo statuto ontologico e deontologico della scuola dell’infanzia dovrebbe essere l’art. 3 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, i cui principi sono: primaria considerazione dell’interesse superiore del fanciullo, protezione e cure necessarie al benessere del fanciullo, consistenza e qualificazione del personale delle istituzioni, dei servizi e delle strutture responsabili della cura e della protezione dei bambini. Ma nella scuola dell’infanzia e altrove non sempre è così. “L’articolo 3 afferma che in ogni assunto l’interesse del bambino va sempre considerato superiore: ciò significa che ogniqualvolta tale interesse entri in conflitto con interessi di altri debba prevalere. È sorprendente notare come le affermazioni che gli adulti fanno quando si tratta dei bambini siano sempre assolute, senza riserve, radicali e generose fino all’esagerazione. Poiché quasi tutti i Paesi del mondo aderiscono a questa Convenzione, l’interesse dei bambini dovrebbe prevalere su quello degli altri: in realtà, nella pratica, tali promesse vengono non solo tradite, ma risultano oltretutto sconosciute. Rispetto all’articolo 3 possiamo domandarci perché, ad esempio, un bambino debba smettere di prendere il latte dal seno materno a quattro o cinque mesi. È per il suo bene? E perché i bambini debbono stare in un nido o in una scuola dell’infanzia o primaria otto ore consecutive? È per il loro interesse? Evidentemente no, ma è per l’utilità dei genitori, o meglio per adeguarsi all’orario di lavoro dei loro genitori” (lo storico gesuita Giancarlo Pani nel saggio “I diritti dell’infanzia”, 2019). L’interesse superiore del fanciullo non deve essere solo affermato ma confermato, invece è subissato da interessi superiori o dei superiori. Ci si dimentica che si è bambini (nel senso anagrafico) solo una volta, mentre c’è tutto il tempo successivo per essere per sempre adulti insoddisfatti, frustrati, nevrotici, psicotici, apatici o altro, perché resi tali da genitori o altri educatori che non hanno fatto vivere la dimensione di quel tempo unico e magico dell’infanzia e non hanno dato le giuste coordinate esistenziali per andare avanti e oltre nella vita e lungo la propria vita.

La psicologa e psicoterapeuta Simona Abate afferma: “L’amore non può sopravvivere al dolore, non può sopravvivere al maltrattamento, non può sopravvivere all’abuso… La sofferenza patita nell’infanzia può essere messa in atto nell’età adulta… Per superare il c.d. contagio della follia, occorre stare a contatto con il dolore, esserne consapevole e ristrutturare gli affetti… un bambino abusato non muore una volta sola, ma muore ogni volta che viene lasciato solo nella sua sofferenza” (dagli atti del VII Congresso AMI – “La strage degli innocenti” – Roma, 21 e 22 ottobre 2016). “[…] qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale” (art. 19 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) è il contrario dell’amore che si deve a un bambino. Nonostante si parli tanto di amore nei confronti dei bambini o si dica loro “amore” in ogni momento, sono molte le situazioni in cui si fa mancare loro l’amore necessario e vitale e si deturpa per sempre la loro personalità e la loro vita, anche con piccoli gesti o con scelte egoistiche, come l’anticipo scolastico indiscriminato o forzato a due anni e mezzo nella scuola dell’infanzia di bambini, non ancora pronti, che, invece, dovrebbero frequentare serenamente l’asilo nido.

L’anticipo scolastico o altre forme d’anticipo sono solo esigenze dei genitori. Fanno sorridere amaramente quei genitori che s’affannano per iscrivere i figli anticipatamente a scuola (già dalla scuola dell’infanzia, pure quando non sanno ancora parlare ed esprimere i loro bisogni fisiologici o non hanno alcuna forma di precocità) perché “altrimenti perdono un anno”. Quale anno? Hanno già preventivato la vita? Si dia ai bambini la possibilità di essere pienamente bambini e si dia loro il tempo di crescere, svilupparsi, maturare e diventare adulti (concetti differenti che costituiscono un processo, un percorso) e non acerbi adultizzati.

Si farebbe nascere un bambino pretermine solo perché lo si può mettere nell’incubatrice? Si farebbe mangiare un uovo lesso ad un neonato? Si pretenderebbe di far camminare un lattante? Allora perché imporre l’anticipo scolastico ad un figlio che non ha ancora raggiunto certi livelli medi? Perché premere con forme di precocizzazione in ogni campo, anche nell’abbigliamento o nelle pose in fotografia? Si è bambini una sola volta e se lo si è a pieno si potrà affrontare e godere a pieno il resto e il meglio della vita perché l’infanzia è il pilastro della vita e, se non lo si fissa e costruisce bene, il seguito diventa vacillante. Si spera di superare questa impasse con l’attuazione del cosiddetto “sistema integrato 0-6” previsto dal decreto legislativo 13 aprile 2017 n. 65.

“Possiamo dire che siamo di fronte ad un furto della bellezza? – Sì” (cit.). Quanta bellezza è sottratta ai bambini, anche dalla scuola dell’infanzia: schede fotocopiate da colorare, stereotipi a cominciare dal colore dei grembiulini, filastrocche lunghe da far recitare solo per mostrare quanto i bambini siano bravi a ripeterle (talvolta senza emozione e senza comprensione del testo), linguaggio non adeguato, i cosiddetti “lavoretti”, manufatti che interessano solo agli adulti (insegnanti che mostrano quanto sono abili e genitori desiderosi di riceverli nelle occasioni comandate), recite o saggi di fine anno o manifestazioni ansiogene e tanto altro. Per non parlare di quanta bellezza viene sottratta in famiglia! Eppure i bambini sono la bellezza della vita e la vita è bellezza da coltivare, curare, custodire, cullare. I bambini hanno diritto a un pieno ed armonioso sviluppo della loro personalità (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia): sulla base degli studi etimologici e delle speculazioni filosofiche di cui il termine è stato oggetto nel corso del tempo, si può ben dire che “armonia” consista nell’unità dell’oggettivo e del soggettivo, del fattuale e dello psicologico, nel “gestimmt sein” (in tedesco “essere in accordo, essere sintonizzato”) dell’individuo con ciò che lo circonda, un suo simile, la natura, la sua interiorità. È fondamentale, perciò, il rispetto dell’infanzia nel suo linguaggio e nelle sue espressioni.

A scuola e, soprattutto nella scuola dell’infanzia, non si dovrebbero usare le fotocopie o almeno si dovrebbe limitare il loro uso, perché i bambini non sono fotocopie e non devono essere abituati all’appiattimento e alla mancanza di originalità. L’uso delle fotocopie limita l’educazione alla bellezza, fa sprecare risorse (dalla carta alla corrente elettrica) e fa aumentare anche l’inquinamento. “I bambini hanno diritto ad avere un rapporto con l’arte e la cultura senza essere trattati da consumatori ma da soggetti competenti e sensibili” (art. 6 Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura).

A scuola, e in particolare nella scuola dell’infanzia, si può (e si dovrebbe) lavorare in maniera progettuale anche senza presentare e proporre i cosiddetti “progetti”, perché ogni bambino è già un progetto iscritto dalla vita. Nella scuola dell’infanzia si dovrebbe limitare la somministrazione di schede didattiche, di attività strutturate o metodi predefiniti o kit didattici perché i bambini non devono tendere alla perfezione e all’omologazione ma all’emozione da vivere ed esprimere. In Italia, pur essendo il Paese dei fondamenti della pedagogia moderna (da Lorenzo Milani a Mario Lodi, da Gianfranco Zavalloni a Daniela Lucangeli), ci si dimentica della vera centralità del bambino (come ha pure scritto il pedagogista Daniele Novara nel suo libro “I bambini sono sempre gli ultimi”). Gli insegnanti devono arretrare rispetto ai bambini, fare da registi (Maria Montessori docet!) e non primeggiare o, addirittura, sovraneggiare prendendosi tanto tempo e spazio, per esempio nelle cosiddette attività di routine o nella presentazione delle attività da svolgere.

Nella scuola dell’infanzia i bambini devono essere bambini e niente di più. Dovrebbero soprattutto giocare, nel senso di imparare a giocare e saper giocare. Così imparerebbero a esercitare i loro diritti e assumersi i doveri, come d’altronde previsto nell’art. 31 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Per non parlare dell’ascolto (art. 12 Convenzione): la scuola dell’infanzia dovrebbe essere il luogo privilegiato in cui il bambino possa esperire l’ascolto per ascoltare, poi, l’altro.  “Infante”, etimologicamente, è “chi non ha ancora l’uso della favella”, per cui va ascoltato in quello che dice per comprendere ciò che esprime e, in seguito, possa imparare a dirlo articolatamente.

“[…] è il rischio grave di essere educatori disattenti, di non saper cogliere le domande della vita stessa, proprio oggi che i bambini diventano prestissimo dipendenti dalle «risposte» dei tablet. Del resto, una vita in rodaggio è tutta una domanda: ogni gesto di un bimbo è una domanda, è la vita in presa diretta, nel qui e ora di ogni situazione semplice o complessa” (fra Danilo Salezze, fondatore di una comunità terapeutica per giovani tossicodipendenti). Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (2012) nella parte relativa alla scuola dell’infanzia si legge: “[Il bambino] Raccoglie discorsi circa gli orientamenti morali, il cosa è giusto e cosa è sbagliato, il valore attribuito alle pratiche religiose. Si chiede dov’era prima di nascere e se e dove finirà la sua esistenza. Pone domande sull’esistenza di Dio, la vita e la morte, la gioia e il dolore. Le domande dei bambini richiedono un atteggiamento di ascolto costruttivo da parte degli adulti, di rasserenamento, comprensione ed esplicitazione delle diverse posizioni”. Se l’aspetto interiore deve essere considerato nella scuola dell’infanzia, ancor di più bisogna fare attenzione in famiglia dove, invece, è spesso negletto.

La scuola dell’infanzia è dotata di una specificità e specialità attribuitale altresì dalla denominazione stessa che è l’unica, nel mondo scolastico, a essere caratterizzata da un complemento di specificazione. Deve mirare affinché il bambino, considerato soggetto e non semplice destinatario, al termine del ciclo arrivi a: Autonomia nelle attività assegnate e in quelle in cui attivarsi da sé; Emozioni da esternare ed elaborare e esprimersi in maniera adeguata all’età; Insegnamenti da ascoltare e indicazioni da seguire, interventi educativi da rispettare; Osservazione, come capacità di sguardo e pensiero, da trasporre nell’organizzazione e nell’ordine dell’operare; Unitarietà dello sviluppo del bambino (e non solo alunno o figlio) nell’unione tra scuola e famiglia.

Urge “Sostenere l’attuazione delle strategie e dei piani educativi nazionali, con speciale attenzione a: – Accesso gratuito ai servizi educativi di qualità per la prima infanzia (tra cui almeno un anno obbligatorio di scuola dell’infanzia, cfr. anche paragrafo 4.4 “ECCE”) così da assicurare lo sviluppo delle capacità cognitive e psicosociali necessarie per l’inserimento nella scuola primaria e per formare le basi del futuro apprendimento. – Adozione di misure educative volte a superare stereotipi e pregiudizi. – Sviluppo e coordinamento di sinergie tra le istituzioni e gli educatori” (dal punto 4.3 “Educazione” delle “Linee guida sull’infanzia e l’adolescenza”, a cura dell’AICS, Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, 2021).

La scuola dell’infanzia è anche “scuola” per i genitori e altre figure adulte di riferimento. Bisognerebbe leggere e approfondire le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (quelle del 2012 con la novella normativa del 2017) che possono essere considerate una guida. La scuola dell’infanzia è, tra l’altro, la culla dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura, come formulati nella Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura, presentata a Bologna il 3 marzo 2011, perché “i bambini hanno diritto ad avvicinarsi all’arte […]; a sperimentare i linguaggi artistici […]; a essere parte di processi artistici che nutrano la loro intelligenza emotiva e li aiutino a sviluppare in modo armonico sensibilità e competenze” (artt. 1-3).

Insegnare nella scuola dell’infanzia non è far passare il tempo più o meno tranquillamente ai bambini, come si pensa nell’immaginario collettivo, ma far loro sperimentare, scoprire, impiegare, vivere il tempo specifico e speciale dell’infanzia, alla base di ogni altro tempo. La scuola dell’infanzia è la fucina dell’emozione di apprendere e dell’apprendere l’emozione. È, perciò, necessario un idoneo arruolamento delle (o degli) insegnanti, un loro giusto comportamento e un continuo aggiornamento.

“Per trasmettere le tue idee utilizza parole semplici, grandi idee e brevi frasi” (l’eclettico John Henry Patterson). Un buon insegnante deve saper trasmettere con parole semplici, grandi idee e brevi frasi, dalla scuola dell’infanzia all’università, perché già la vita stessa è una scuola dell’infanzia e un’università. 

Gioco, gioia, giornaliero, giostra (di emozioni, situazioni e relazioni), perché così è la vita: queste le peculiarità (o quelle che dovrebbero essere) della famiglia e, poi, della scuola dell’infanzia.