Coltelli spuntati

Coltelli spuntati

di Vincenzo Andraous

Gruppi contrapposti di adolescenti si danno appuntamento in qualche strada della città per darsele di santa ragione.

Gli esperti ci parlano dibaby gangs, di plotoni composti da veterani di una guerra che non è mai stata loro né mai lo sarà.

Sinceramente faccio fatica a pensarla in questa maniera, i ragazzi ripresi nei video non mi sembrano affatto componenti di qualche gangs latinos o nostrana, appaiono piuttosto come la rimanenza di due anni di pandemia e di depressione opacizzata da alcool e roba calata giù, soprattutto sono il risultato di una mancanza-assenza culturale che ha ammainato la propria bandiera sotto i colpi di una libertà troppo spesso resa monca e imbellettata di soporiferi sermoni.

Quando si vedono giovanissimi prendersi a bastonate, a coltellate, fin’anche a cannonate, viene da pensare che sotto sotto ci sono danari e grammate di interessi a fare la differenza.

Invece non è sempre così.

In questa rudimentale e frontale battaglia che di volta in volta s’accende nelle piazze e nelle strade, appare evidente che si tratta di ragazzi aggrediti dalla noia, dalla sottocultura del bicipite e dal fotogramma che induce a credere di esser il più forte, peggio, emulazione scoscesa dei dis-valori della strada.

Ragazzi che si sentono malavitosi ma non lo sono, ragazzi tra trasgressione e devianza da lì a un passo, dentro una problematicità che non riesce a disegnare una risposta accettabile, per comportamenti criminali che non posseggono tornaconti utilitaristici se non quelli del bullo per forza.

Stento a credere che si tratti di professionisti dello spaccio o dello scippo, non si tratta di delinquenza che nasce unicamente dal disagio famigliare, ho l’impressione che ci sia in atto una sorta di appropriazione indebita, un furto di percezione critica della coscienza.

Un vero e proprio decadimento di valori e di impegno a sostenere quell’umanità che appartiene a tutti.

Nonostante le indagini per chiarire le responsabilità, rimangono le zone d’ombra che non hanno spiegazioni plausibili, a cui non è semplice prendere le impronte per anticiparne le prossime mosse devianti.

Giovani e meno giovani fanno scuola di antitesi, usano le tabelline per fare conto della propria efferatezza, tracciano i perimetri dove collocare le parole che sono minaccia, i gesti che diventano ferite, i comportamenti che lasciano sul campo le emozioni messe a tacere, con la ovvia conseguenza di una generazione che nasce sull’onda della prevaricazione, della prepotenza, che “ illusoriamente aiuta” a raggiungere gli obiettivi prefissati, altrimenti inarrivabili.

Violenza che traduce la propria infantilità in una pratica di vita quotidiana, dove la capacità a gestire i conflitti, quelli personali e sociali, scivola sempre più nell’incapacità a onorare il valore di ogni persona.