Un libro bellissimo

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Un libro bellissimo

di Maurizio Tiriticco

Simonetta Fasoli su FB propone la lettura di un bellissimo libro. Si tratta di “Educazione e autorità nell’Italia moderna”, che costituisce un importante punto di riferimento nell’ambito degli studi storico-pedagogici. Ne è autore il pedagogista e insegnate Lamberto Borghi, e fu pubblicato per la prima volta nel 1951 da La Nuova Italia, un’editrice fiorentina, con l’introduzione di Carmen Betti e di Franco Cambi. Ma perché tanta e così persistente attenzione? Come spiegano nelle loro presentazioni Betti e Cambi, che ne riepilogano e discutono il messaggio e il contesto di riferimento, il volume si colloca fra i classici e, dunque, in una dimensione metastorica, di autentica e perenne attualità. Borghi ripercorre cent’anni della nostra storia politico-educativa a partire dall’Unità, con alcuni rapidi ma cruciali sguardi retrospettivi. Il web ci dice che a renderlo così speciale è l’intento che lo anima: trovare indizi e chiavi di lettura per poter comprendere a fondo le ragioni che, nel nostro Paese, hanno consentito l’instaurarsi di un regime autoritario, repressivo e cruento, per oltre vent’anni.Rifiutando la definizione crociana del fascismo come parentesi, Borghi riesamina con occhio sereno ma penetrante le molte proposte e forme educativo-culturali, esplicite ma anche implicite, che hanno avuto una connotazione autoritaria. In virtù di un’analisi finissima, pervasa da un’elevata tensione libertaria che ne costituisce il motivo-guida, vengono così discusse le correnti di pensiero e i modelli pedagogici proposti nel corso di un secolo, fino alle forme resistenziali messe in atto sottotraccia già durante il fascismo e poi nel corso del secondo conflitto mondiale. Così ci ricorda Simonetta.

Purtroppo, la gloriosa casa editrice, La Nuova Italia, non c’è più. E’ opportuno ricordare che fu proprio La Nuova Italia a pubblicare “Democrazia e Educazione”, opera di un grande della ricerca e della proposta pedagogica, John Dewey! Era stata pubblicata a New York nel 1916. Ma in Italia fu pubblicata solo nel 1949 da La Nuova Italia di Firenze. Ma perché nel ‘49? Perché l’Educazione Nazionale fascista – e così era stato ridenominato il Ministero della Pubblica Istruzione – non poteva consentire che un Dewey, democratico, fosse oggetto di studio nei nostri istituti magistrali. Breve nota: l’Educazione investe la persona stessa, attiene a dati valori; l’Istruzione si limita all’erogazione di saperi disciplinari. E la dittatura fascista non poteva non coinvolgere la persona stessa! Quante volte io balilla moschettiere negli anni trenta e quaranta ho dovuto reiterare il giuramento fascista! Un testo che so ancora a memoria: “Nel nome di Dio e dell’Italia, giuro di eseguire gli ordini del Duce e di servire con tutte le mie forze e, se è necessario col mio sangue, la causa della Rivoluzione Fascista”. E’ evidente che solo dopo la seconda guerra mondiale l’opera Dewey giunse alla nostra attenzione. E non a caso Dewey era nel programma del corso universitario di Aldo Visalberghi, da cui Simonetta rimase “folgorata”! Nel liceo classico da lei frequentato la pedagogia era una materia di studio sconosciuta, perché considerata – soprattutto per l’influenza gentiliana – una disciplina/materia di secondo ordine, una sorta di coda della filosofia, adatta solo per le maestre della scuola elementare.

Così solo nel dopoguerra la pedagogia tornò in auge! Ne furono promotori Raffaele Laporta, la cosiddetta Scuola di Firenze, la rivista Scuola e Città, Aldo Visalberghi, Mauro Laeng, Clotilde Pontecorvo, Lidia Tornatore e non so quanti altri! Ciascuno a dare alla pedagogia la visibilità che merita. Insegnare è importante, ma sapere insegnare è doveroso! Pertanto, non dobbiamo dimenticare “Lettera a una Professoressa”, di cui fu autore, con i suoi alunni, Don Lorenzo Milani! Che meriterebbe un discorso a parte. Visalberghi nel suo “Pedagogia e Scienze dell’Educazione” – siamo nel 1978 – enfatizza così tanto la problematica pedagogico-educativa fino a parlare addirittura di una “enciclopedia pedagogica”. Ed individua ben 24 discipline afferenti a quattro settori, psicologico, sociologico, metodologico didattico e quello dei contenuti. In tale scenario è forse opportuno ricordare la pubblicazione, nel 1968,de “La pedagogia degli oppressi” di Paulo Freire, il pedagogista brasiliano che propose la cosiddetta “teologia della liberazione”, ovvero l’educazione come strumento di liberazione, dall’ignoranza e dalla povertà! Famoso il suo “nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo,Gli uomini si educano insieme con la mediazione del mondo”.

Per non dire poi di Pierre Bourdieu e Jean Claude Passeron, autori di un libro che fece molto scalpore: “La Reproduction. Éléments pour une théorie du système d’enseignement”, pubblicato nel 1970 per Les Éditions de Minuit”. Vi si sostiene che in ciascun Paese gli apparati culturali e la scuola in primo luogo tendono a “riprodurre” idee e valori tipici della classe dominante. La quale intende così “trasmettere ed imporre ai propri discendenti i privilegi di cui gode”. La teoria della riproduzione servirebbe così a dimostrare “il funzionamento latente dell’apparato educativo che, a dispetto della libertà di accesso e del funzionamento formale, determina di fatto una selezione basata sui criteri culturali della classe dominante” Così affermano Renaud Sainsaulieu e Denis Segrestin, in “Vers une théorie sociologique de l’entreprise”: in “Sociologie du travail”, XXVIII 3/86, Dunod.

Insomma, dopo la Liberazione dal fascismo e dal Gentile dominante – quando l’educazione era finalizzata solo a formare un buon fascista (libro e moschetto, fascista perfetto) – segue una vera e propria sbornia educativa! Nel nostro Paese nascono le tre riviste che hanno fatto storia! “Scuola e Città”, edita a Firenze da “La Nuova Italia”, la cosiddetta rivista dei socialisti; vi scrivono Ernesto Codignola, Guido Calogero, Robert. Cousinet, CharlesWashburne, Lamberto Borghi, Francesco de Bartolomeis. “Orientamenti pedagogici” edita a Roma dai salesiani, la rivista dei cattolici; tra gli altri, vi scrivono Luigi Calonghi e Michele Pellerey. “Riforma della Scuola”, di cui fui anche redattore, edita a Roma, la rivista cosiddetta dei comunisti; tra gli autori Lucio Lombardo Radice, Tullio De Mauro, Roberto Maragliano, Gaetano Domenici, Gianni Rodari. Per non dire poi di altri validissimi pedagogisti: Giovanni Maria Bertin, Raffaele Laporta, di cui sono stato allievo ed amico, Margherita Fasolo, Francesco De Bartolomeis, Giuseppe Flores d’Arcais, Luigi Stefanini, Clotilde Pontecorvo, Benedetto Vertecchi, Emma Nardi, Gaetano Domenici, Claudio Volpi, Roberto Maragliano, e tanti altri che rappresentano in Italia l’ultima frontiera della pedagogia come disciplina filosofica. Alcuni in pensiome, ma, comunque, attivi! E sono attive oggi due importanti riviste del pedagogismo cattolico, “La scuola e l’Uomo” edita dall’Unione Cattolica Insegnanti Italiani Medi, e “il Maestro”, edita dall’Associazione Italiana Maestri Cattolici. Ed è attiva anche “Insegnare”, la rivista del Cidi, Coordinamento insegnanti democratici italiani, diretta dal grande Beppe Bagni! Ma ora… chissà quanti ho dimenticato… parafrasando il Poeta, “altro dirti non vo’; ma la tua festa, ch’anco tardi a venir non ti sia grave”. E la festa semmai… fatela a me!