Il fascino della sfida a perdere

Il fascino della sfida a perdere

di Vincenzo Andraous

Il ragazzo entra in classe, estrae la pistola, la punta alla testa del suo professore.

Sembra la scena tratta da qualche fattaccio di sangue accaduto nelle scuole americane, dove ogni tanto, spesso, qualcuno la mattina si alza e fa fuoco a destra e a manca, con le armi vere, con un finale a dir poco tragico.

Qui invece il maledetto per vocazione usa una pistola finta, come fosse un giocattolo da portare appresso e sfoggiare nelle migliori occasioni.

Dimenticando che con una pistola finta sono morti in tanti per fare uno scherzo, sono morti personaggi assai noti e protagonisti sconosciuti, ma sono morti tutti quanti.

Infatti all’adolescente imbizzarrito, come all’adulto infantilizzato, occorre ribadire che sedersi a tavola con la morte e sfidarla, significa disconoscere che la morte vince sempre.

In questo caso però c’è dell’altro a fare la differenza, a rendere l’accadimento un’eredità da non accettare né giustificare, tanto meno licenziare con una scrollata di spalle, con qualche ammenda che somiglia a una medaglietta appuntata sul petto.

In quella classe c’erano i compagni di questo bullo di cartone, c’era la platea plaudente, quelli del silenzio assordante, dell’omertà scambiata per solidarietà.

Si, c’erano, e come, ma impegnati a guardare il film del maledetto per forza, da co-protagonisti travestiti da veterani di una guerra che non è mai stata loro né mai lo sarà.

Si, stavano tutti in classe, i coetanei, impegnati a smanettare con il cellulare, a filmare da registi impenitenti le sequenze dell’oltraggio e dell’umiliazione, a fare comunicazione istantanea in rete del furto e della rapina del bene più grande di quel docente: la sua dignità.

Il Professore, il Dirigente, l’Istituzione, prendendo il coraggio a due mani hanno deciso di sporgere querela, comprendo benissimo la fatica e il peso della decisione di denunciare, ma ritengo abbiano fatto la cosa giusta, non è un discorso di severità e autorità da espletare in corso d’opera, piuttosto c’è la consapevolezza che limitarsi al giudizio scolastico per le regole infrante e comportamenti apparentemente trasgressivi  ma già forieri di devianza minorile, non possano essere circoscritti con una semplice sospensione seppure esemplare.

Lavoro socialmente utile, ecco la sintesi del dazio da pagare, la pena giusta, equa, riparatrice.

Lavoro di pubblica utilità.

Tante ore a raccogliere i pezzi mancanti, tanti giorni a rimettere insieme energie interiori per voltare pagina, per non esser colto dal panico nel riempire di parole con il loro corretto significato quelle pagine bianche adagiate sotto il naso.

Soprattutto mesi per tentare di conquistare o meglio riconquistare la propria dignità personale.