Della pace e del condizionatore

Della pace e del condizionatore

di Alessandra Condito

Sarà una bella società, fondata sulla libertà, 
però spiegateci perché..
Shel Shapiro

Mi capita spesso, in questi tempi bui, di ripensare alla mia infanzia. E l’infanzia cui vanno i miei ricordi più cari è spesso quella dell’estate. Forse perché, come scrive Yasmina Reza, “quando torna l’estate torna il tempo”[1]. Di quei tempi trascorsi in Calabria ricordo con simpatia alcune domande ricorrenti. 

La prima domanda alla stazione, appena scesa dal treno. Neanche il tempo di pesarmi con gli occhi (“è sciupata”) che già i vecchi parenti mi chiedevano quando sarei ripartita. “Arrivasti! E quando te ne vai?”.  Fine dei convenevoli. I calabresi son fatti così. Donne e uomini di poche parole.

La seconda domanda in spiaggia, sul muretto, in piazzetta. A ogni nuovo incontro il bambino di turno chiedeva a me e a mia sorella se arrivassimo da Milano, ma “Milano Milano”? “Sì, Milano Milano”. Fine delle presentazioni. Anche i bambini in Calabria parlano poco.

Oggi, ripensando a quelle brevi conversazioni, penso, a differenza di allora, che non fossero poi così stravaganti. Di certo non erano ostili.

Dietro la necessità degli anziani di sapere quando me ne sarei andata c’era, implicita, la necessità di (ri)collocare al più presto ognuno al proprio posto. Finito il tempo sospeso dell’estate la vita, quella vera, necessitava di evolvere in uno spazio ben definito e, diremmo ora, identitario. Per alcuni era il paese, per altri, per me, era il Nord, nel luogo in cui mio padre aveva deciso di stare per e con i figli.

Nell’urgenza dei bambini di sapere se abitassi a Milano Milano ritrovo, ormai adulta, la stessa necessità. Dimmi di dove sei, della città o dell’hinterland. Ho bisogno di collocarti. Per conoscerti, giocare, fidarmi.

“I rumori di Begues sono diversi da quelli di Parigi. Sono rumori un po’ tristi e di nessun luogo. Begues non ha dintorni. E non ha veri confini. 

Se penso a Begues (…) vengo immediatamente colto da un dolore d’esilio”[2].

Per entrare in relazione, per supportarci e sopportarci, per non venirci a noia, abbiamo bisogno di luoghi dai dintorni chiari. 

Per non vivere sommersi dal dolore, abbiamo bisogni di confini. 

Scrivere di confini in tempi di guerra può apparire stonato e provocatorio. 

Eppure mai come in questi tempi tristi penso che sia importante ridare valore a una parola a lungo bistrattata in virtù di aspirazioni più o meno nobili, si chiamino esse umanesimo globalizzazione o internazionalizzazione.

Confine è una parola onesta, che ci ricorda che nord e sud, centro e periferia esistono. E che non siamo tutti uguali. Possiamo aspirare ad esserlo. Ma dobbiamo sapere da dove veniamo. Milano o Milano Milano. Dentro o fuori dal centro?

Solo a partire da questa consapevolezza possiamo confrontarci con l’altro, senza sopruso né sottomissione.

Non uscire dal bordo. “Attento. Stai andando fuori”.

Ancora l’infanzia. Quand’è che le maestre hanno smesso di richiamare i bambini che uscivano dai bordi? In nome di quale diritto di espressione è stato concesso ai bambini di sconfinare? “L’importante è che si esprima!” E il come? Come ci si esprime è davvero così indifferente? La forma davvero non conta più nulla? L’importante è il contenuto!

“Come Quando Perché?” era il nome di un famoso sussidiario degli anni ‘70. Domande importanti, a partire da quel come che richiama al modo in cui esprimo il mio bisogno, le mie necessità, i miei desideri.

I modi sono importanti, perché nel modo con cui mi rivolgo all’altro c’è la rappresentazione più evidente del mio modo di stare al mondo.

Voglio/posso o vorrei/potrei?

Anche i tempi verbali sono importanti. Dove è finito il condizionale? Quando abbiamo smesso di insegnare ai nostri scolari l’analisi grammaticale? In nome di quale supposta libertà? E i pronomi? Che fine ha fatto il lei?

Diamoci del tu.

Annebbiamo le disuguaglianze dietro il più democratico dei pronomi personali.

Occultiamo ogni differenza di genere dietro un asterisco.

E in tutta questa bella società libera e democratica i poveri sono sempre più poveri, i femminicidi aumentano e la guerra è alle porte.

Ma l’importante è che ci si possa esprimere liberamente, su ogni questione, in ogni modo e con qualsiasi forma.

“La pace o il condizionatore?” In fondo è una domanda semplice! 


[1] Yasmine Reza, Serge, Adelphi, Milano, 2022 (pag. 178)

[2] Yasmine Reza, Serge, Adelphi, Milano, 2022 (pag. 174)