Victor 2.0 La nuova sfida

Victor 2.0 La nuova sfida
Dagli epistemi della pedagogia speciale, i nuovi orizzonti della complessità

di Luciana Puoti

Pedagogia Speciale

1) Dalla etimologia, il significato.

La parola pedagogia viene dal greco, παιδòς (paidos: bambino) e àγω (ago: guidare, condurre, accompagnare). La figura del pedagogo era, nell’Antica Grecia, riconducibile allo schiavo che accompagnava il bambino durante il tragitto tra la casa e la scuola.

Pedagogia generale: è quella scienza umana che studia l’educazione e la formazione dell’uomo nel suo intero ciclo di vita, in cui si inscrive una durata esistenziale. Rinviene e riconosce, per studiarli, i bisogni educativi universali. Riguarda la realizzazione umana come passaggio dall’essere al dover essere, come costruzione di una identità personale non solo biologica ma anche simbolico-ideale.

Pedagogia speciale: è quella branca della pedagogia, a complemento della pedagogia generale, che studia, in prospettiva, la educabilità degli individui. Felice la definizione “La pedagogia speciale è la scienza preposta allo studio delle modalità più idonee a vincere le resistenze alla riduzione di asimmetria fra l’essere e il poter-dover essere della singola personalità in situazione di disagio, sia esso derivante da deficit fisico, psichico, sensoriale sia da deprivazione socio-culturale[1] La Pedagogia speciale, come scienza della complessità, propone un approccio educativo oltre l’apparenza rivolgendosi ad una dimensione più essenziale, attenta ai processi auxologici ed evolutivi dell’individuo in situazione di deficit, handicap, bisogno educativo speciale, svantaggio, emarginazione sociale, disagio. La Pedagogia speciale è anche scienza della diversità e propone la valorizzazione dell’Unico, rivolgendosi ad una dimensione più specificamente personale, contingente, singolare. Oggi urge il necessario allargamento di confine epistemologico, per rispondere alle sfide determinate dalle nuove emergenze educative e dalla pluralità di bisogni educativi speciali (BES), fondato su attente riflessioni e scelte oculate sulle direzioni di senso. 

2) Storia della evoluzione della scienza.

Il fondatore della pedagogia speciale può considerarsi Philippe Pinel, medico psichiatra francese (1745-1826) che, direttore del manicomio della Salpetriere a Parigi, impose le idee illuministiche alla cura della malattia mentale, ritenendo che se la ragione sopravviene, la malattia mentale non ne può rappresentare la negazione, di tal che essa va curata nel solco dei valori della filantropia e del trattamento morale del malato, in quanto uomo ed essere pensante.

Jean Marc Gaspard Itard, (1774-1838), allievo di Pinel, prese in carico Victor un bambino selvaggio ritrovato nel 1799 nelle foreste del dipartimento dell’Alveyron e considerato da Pinel al pari di un bambino idiota, un ritardato mentale diverso dal vegetale solo nell’aspetto fisico. Itard avviò invece una grande opera educativa e rieducativa su Victor e, pur non avendo sortito effetti eclatanti sulla rieducazione del bambino, ebbe il merito di spostare l’asse dell’intervento da quello eminentemente psichiatrico di Pinel, che lo classificava apoditticamente fra i ritardati di mente tout court, a quello fideistico di costruzione o ricostruzione di una personalità la cui evoluzione affettiva e cognitiva è stata bruscamente e a lungo interrotta. Itard fondò l’intervento educativo pedagogico sulla osservazione sistematica e sulla proposta di compiti di difficoltà graduale, entrambi strumenti che hanno avuto molto seguito fra gli studiosi ed hanno determinato il successo dell’affermarsi della pedagogia speciale come scienza.

Edouard Seguin, allievo di Pinel, (1812-1880) si oppose alla sanitarizzazione dei trattamenti delle malattie dell’infanzia e istituì per la prima volta a Parigi un istituto per educazione speciale dei bambini affetti da disabilità intellettiva. Per Seguin l’idiozia non era una malattia mentale, ma uno stato in cui le facoltà dell’intelletto non si sono mai manifestate o mai sviluppate.

Maria Montessori (1870-1952), scienziata del XX secolo, ha assorbito la filosofia del Positivismo nei suoi studi e nella sua professione di medico, manifestando fede nel progresso tecnico, industriale e sociale e nelle scienze esatte. Il Positivismo poggiava su metodo descrittivo ed induttivo, dalla osservazione empirica (particolare) alla teorizzazione, alle conclusioni universali (generale). Alla Montessori va riconosciuto il merito di aver materializzato il ponte fra la medicina e la pedagogia e di aver proposto l’educazione specifica per i bambini anormali, l’educazione come diritto di tutti i bambini, soprattutto quelli a rischio perché poveri, malati o abbandonati. Se l’educazione è un meccanismo naturale, auxologico, legato ai vari step evolutivi, la pedagogia è scienza. I bambini da 0 a 3 anni sono embrioni in evoluzione biologica e sociale, il bambino apprende in maniera diversa dall’adulto e per lui l’ambiente è un elemento pedagogico attivo, in grado di educare, in quella precipua fascia d’età, all’autonomia e all’indipendenza. Maria Montessori è considerata tutt’oggi l’artefice del movimento delle Scuole Nuove e dell’attivismo e grazie al suo impegno si è iniziato a comprendere l’importanza dell’ambiente educativo e del materiale educativo strutturato, entrambi idonei ad aiutare i bambini ad esprimere liberamente le proprie inclinazioni e i propri interessi.

Tra i maggiori esponenti contemporanei in Italia ricordiamo Andrea Canevaro (Genova, 19 settembre 1939) pedagogista ed editore italiano, nonché professore di Pedagogia speciale presso la Scuola di psicologia e scienze della formazione dell’Università di Bologna. Fra quelle che si attribuiscono all’A., tre affermazioni appaiono prevalenti, nella economia complessiva del presente contributo: la prima riguarda la ‘identità’ delle persone disabili, che, a suo dire, sarebbero portatrici di un’identità plurale, non statica, ma aperta ad accogliere sempre nuovi stimoli. Molto spesso, tale aspetto si trascura nella relazione con persone affette da disabilità, trascurando contemporaneamente la loro complessità, semplificando se non addirittura mistificando l’approccio, ridotto a poche pratiche ripetitive ed univoche, già in uso o forse solo più comode, si pensi ad esempio al Braille per la menomazione visiva. Mistificazione si diceva perché tale approccio ingenera una indebita nonché inopportuna categorizzazione della condizione del disabile in stereotipi statici ed assoluti, predeterminati ed incontaminabili. Riferirsi ad una identità plurale garantisce invece, secondo l’A., un approccio che non semplifichi e minimizzi la disabilità, per avvicinarla il più possibile alla normalità, che non induca necessariamente all’obiettivo della conformità/pertinenza all’area di ciò che è normale. Riecheggiano a questo punto le ‘parole di pietra’ di una meravigliosa lirica di Alda Merini che si interroga su cosa sia la normalità e sul chi decide cosa sia la normalità e poeticamente risponde a sé stessa scrivendo “la normalità è un’invenzione di chi è privo di fantasia”. Identità assoluta e identità della normalità costituiscono, secondo l’A., l’ostacolo maggiore per la pedagogia speciale: un approccio di questo tipo impedisce infatti di vedere la persona nella sua unicità, per ciò che veramente è, andando oltre preconcetti e stereotipi. La seconda affermazione prevalente riferibile al Canevaro è quello di delega paradossa: il termine ‘delega’ è termine appartenente al mondo del diritto ed è atto unilaterale che si formalizza quando un soggetto attribuisce ad altri un compito che sarebbe proprio, per far sì che il soggetto delegato compia atti in suo luogo e per suo conto ma i cui effetti giuridici si riverberino direttamente nella sfera giuridica del delegante. Per dire più semplicemente, chi delega desidera riportare a sé il risultato, in un’ottica di allontanamento/trasferimento del tutto temporaneo. Per lo più, alla base di un atto di delega vi è o un impedimento legittimo all’agire ovvero il riconoscimento di competenze specifiche al delegato che chi delega ordinariamente non possiede, il tutto ovviamente e banalmente in vista però di un concordato ri-trasferimento finale. Ecco perché l’A. parla di delega paradossa, perché, in concreto, nel delegare la cura della salute e del benessere, si riconosce al delegato un valore, motivo per cui si trasferisce, per un arco temporale intenzionalmente breve, e comunque per riavvicinare, per beneficiare dell’attuazione di quel valore, degli effetti della delega agita. Specificamente in campo pedagogico, per l’A. la delega dovrebbe allontanare da sé, per un tempo utile a risolvere il problema, riassumendo al più presto su di sé la padronanza dell’oggetto che viene delegato, non oltre un tempo limite oltre il quale la delega si trasforma in alienazione. Urgente per il delegante, che abbia delegato la propria salute, l’osservazione, l’attenzione e la sua cura, che il tempo della delega sia breve, che possa tempestivamente reimpossessarsi di tale inalienabile oggetto. La terza affermazione che si fa risalire al Canevaro, in uno dei più recenti suoi scritti,[2] riguarda il concetto di  riposizionamento, dove il suffisso ri-, specificatamente nell’ambito della pedagogia speciale, implica una reiterazione, la ripetizione dell’azione di posizionarsi nella propria vita in modo diverso rispetto a quello che sembrava essere il proprio ‘destino’. Con tale concetto si torna idealmente a quanto affermato in ordine alla identità plurima e cioè se non esiste una identità by default, predeterminata e sistemata nello specifico ‘scaffale’, ancor più il percorso, il punto di partenza e di arrivo, non può essere a senso unico e senza deviazioni. La tranquillità e apoditticità del percorso e della direzione by default, con aspettative poco flessibili rispetto ai percorsi da intraprendere e alle scelte effettuabili, non fa orientare ma predetermina. E nella disabilità, più che nella condizione di chi non ha menomazioni, non può esservi nulla di ovvio e predeterminato, anzi la fluidità, la malleabilità del percorso verso la partecipazione e l’autonomia, garantisce l’aspirazione alla più giusta collocazione, senza un destino predeterminato, ma proteso piuttosto verso orizzonti che imbruniscono e schiariscono percorrendo tutte le possibili diramazioni di vita, dove di volta in volta riposizionarsi cogliendo le nuove aspettative e le nuove mete, cercando poi di collocarsi nella vita anche attraverso percorsi inesplorati ed inediti.

La pedagogia speciale evolve, dunque, nel tempo, dai limiti di una valutazione di salute mentale in ambito prettamente sanitario (Pinel, Itard) verso i canoni di una “scienza i cui contorni non sono definiti una volta per tutte, ma vengono rielaborati nella incessante ricerca di possibili soluzioni, in cui la potenziata capacità di interpretare le situazioni di deficit, di handicap, di bisogni educativi speciali rappresenta il principio basilare  della prospettiva della integrazione-inclusione”[3].

3) Epistemologia della pedagogia speciale:

Non si possono comprendere pensieri, pratiche ed atteggiamenti nei confronti della disabilità al di fuori di un ‘episteme’, ossia al di fuori di norme, valori, significati e organizzazioni specifiche delle varie epoche.”[4]

L’episteme della pedagogia speciale coincide con lo statuto fondante della disciplina stessa, a cominciare dall’

a)oggetto:

difficoltà psichiche, dei ritardi e delle turbe di ogni sorta dello sviluppo bio-psico-sociale del fanciullo e del giovane, considerandoli in prospettiva educativo-didattica

disadattamento ambientale, per la rieducazione del comportamento asociale o antisociale e l’adattamento alla vita psichica normale di chi è disadattato.”[5]

“necessità educative particolari, per sollecitare e favorire la formazione globale della personalità dei soggetti, che consentono una migliore espressione di se stessi e una qualità di vita superiore”[6]

b)barra degli strumenti:

Azione educativa, come strumento per costruire libertà

Promozione di una pratica educativa delle relazioni

4) a)Oggetto epistemologico e BES, che esplica quanto infra al punto 3a).

Ritornando all’oggetto epistemologico della disciplina, le difficoltà psichiche, il disadattamento ambientale e le necessità educative particolari si traducono sistematicamente in quella che è stata classificata scientificamente come area dello svantaggio, che può essere personale, sociale, economico, culturale, linguistico, che include i disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici. Lo svantaggio racchiude comportamenti e situazioni che vanno ben oltre la presenza di deficit. Con il D.M. 27/12/2012, in ambito scolastico, questa area vasta dello svantaggio, ha generato la individuazione del corpo dei Bisogni Educativi Speciali. Nel tentativo di classificarli in maniera più scientificamente lucida, si potrebbero distinguere come segue: l’AREA BES 1, comprendente alunni DVA (diversamente abili, già H), certificati ai sensi della L.104/1992, situazione a carattere permanente, con insegnante di sostegno e Piano Educativo Individualizzato (PEI); l’AREA BES 2, comprendente gli alunni con Disturbi evolutivi specifici dell’Apprendimento (DSA) con capacità cognitive adeguate, ma affetti da dislessia, discalculia, disgrafia, disortografia, individuati dai Consigli di Classe, certificati, situazione a carattere permanente, senza insegnante di sostegno e Piano didattico Personalizzato (PDP), strumento utile per progettare modalità operative, strategie, sistemi e criteri di apprendimento tarati su ciascun allievo[7], strumenti compensativi e misure dispensative; l’AREA BES 3, come area 2, anch’essa comprendente alunni con disturbi evolutivi specifici come deficit del linguaggio, ADHD, iperattività, deficit della coordinazione motoria (disprassia), borderline (funzionamento intellettivo limite) spettro autistico lieve, disturbi d’ansia; infine AREA BES 4, comprendente alunni con disturbi aspecifici dell’apprendimento, tipici dell’area dello svantaggio, personale, sociale, economico, culturale, linguistico che manifestano transitoriamente o con continuità aspecifica  bisogni educativi speciali, per motivi biologici, psicologici, fisici, sociali, con disagio comportamentale relazionale, individuati dal Consiglio di Classe, sulla base di elementi oggettivi (tipo segnalazione dei servizi sociali) ovvero su ben fondate considerazioni pedagogiche  e didattiche, senza insegnante di sostegno, situazione a carattere transitorio per cui pure e si redige PDP. Tali Bisogni Educativi Speciali (in altri paesi europei: Special Educational Needs) sono definiti dalla classificazione internazionale del funzionamento (ICF-International Classification of Functioning) come “qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o transitoria in ambito educativo o di apprendimento, dovuta all’interazione tra vari fattori di salute e che necessita di educazione speciale individualizzata”.[8]  I bisogni educativi speciali (BES) possono essere considerati come paradigma di lettura della complessità e della varietà delle difficoltà di apprendimento.[9] Tale visione richiede di ampliare lo sguardo verso le esigenze formative di ogni individuo, andando oltre ai soli deficit certificabili e prendendo in considerazione ogni funzionamento che anche per il singolo soggetto diventa problematico[10].

Innovativa ed illuminante in tal senso la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (in inglese International Classification of Functioning, Disability and Health; in sigla, ICF) quale nuovo sistema di classificazione della disabilità sviluppato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). La nuova classificazione appare innovativa perchè in essa per la prima volta si parla di funzionamento e non di diagnosi, accomuna disability e health, disabilità e salute, i termini che l’ICF ordina sono neutri rispetto all’eziologia delle malattie, individua una complessa interazione tra le condizioni di salute dell’individuo e i fattori ambientali e personali. Ritornando col pensiero alle affermazioni di Canevaro, la salute della persona, l’ambiente e il contesto di vita, le relazioni ed interrelazioni agite disegnano identità plurime, sono di natura temporanea ed intrinsecamente modificabili, tendenti a continui riposizionamenti in una collocazione fluida del soggetto, che vive aspetti dinamici, in interazione tra loro, modificabili nel corso della vita e pertanto non predeterminati (by default) e mai uguali a loro stessi.

Lo sviluppo del soggetto in età evolutiva rappresenta il prodotto di due fattori essenziali: una componente innata/genetica e una componente acquisita/ambientale. Fondamentale è dunque realizzare progetti ed articolare processi di valorizzazione del Ciascuno, proiettati su fondali di scena interattivi in grado di riconoscere il Plurale e la specialità della umana condizione. Anche il nuovo Piano Educativo individualizzato (PEI – DM. 182/2020), su base ICF, conseguenzialmente abbandona l’approccio consistente isolatamente nell’accertamento di una determinata condizione di salute, per fondare l’approccio bio-psico-sociale che indaga piuttosto, e non isolatamente, gli aspetti funzionali dell’alunno, arrivando a descrivere l’impatto dei fattori ambientali/contestuali in termini facilitatori di barriere.

b)barra epistemologica degli strumenti, che esplica quanto infra al punto 3b).

5) a) Azione educativa per la costruzione di libertà (curricoli inclusivi).

Il nuovo D.Lgs.66/2017[11], fra i principi e le finalità di cui all’art. 1, recita: “l’inclusione scolastica a) riguarda le bambine e i bambini….risponde ai differenti bisogni educativi e si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno, nel rispetto del diritto all’autodeterminazione e all’accomodamento ragionevole, nella prospettiva della migliore qualità della vita; b) si realizza nella identità culturale, educativa, progettuale, nell’organizzazione e nel curricolo delle istituzioni scolastiche.”

A norma di legge, occorre dunque indagare preliminarmente i bisogni educativi dei bambini, invogliandoli all’autodeterminazione e all’accomodamento ragionevole; occorre altresì garantire la unitarietà della progettazione culturale ed educativa da attuare nella organizzazione degli ambienti di apprendimento e nella costruzione di curricoli inclusivi. Tale impianto sottintende il compimento del processo avviato negli anni ’70 ed allora faticosamente abbozzato, nonché la assunzione responsabile da parte della comunità scolastica di un percorso di co-progettazione, co-costruzione, co-evoluzione nelle scelte basilari per la inclusione di ogni bambino. Oggi è maturo il tempo per ritenere avviata se non compiuta l’evoluzione dei concetti di disabilità, handicap, anormalità, diversità che, grazie anche ai progressi della tecnologia, hanno rivoluzionato il modo di concepire la specialità/complessità inducendo un approccio pedagogico che ha superato la categorizzazione dello svantaggio ed ha immaginato scenari inclusivi per tutti, svantaggiati e non. Curricoli inclusivi, dunque, costruiti con l’obiettivo della L.107/2015 art. 1, 3 co., cioè per la valorizzazione delle potenzialità e degli stili di apprendimento di Ciascuno, nella logica della flessibilità  dell’autonomia didattica e organizzativa, della sussidiarietà e dunque fondata sulla interazione con le famiglie  con il territorio. Curricoli inclusivi fondati altresì su una didattica per ambienti di apprendimento, funzionale ad una dimensione più attiva del processo di insegnamento-apprendimento, allestendo setting intenzionali e prossimali come insegna Vigotskji, setting arricchiti dalle moderne tecnologie, progettati consapevolmente, a fungere da curricolo implicito, superando l’incongruenza degli aspetti di contesto, che inevitabilmente agiscono ed interferiscono nella più complessa azione e relazione didattica, apprezzando particolarmente in tale ottica la espressione “Non sono gli alunni ad essere disabili, ma i curricoli[12]

b) Promozione di pratiche educative delle relazioni (personalizzazione). Oltre ai curricoli inclusivi occorre azionare, dalla barra degli strumenti, i processi di personalizzazione dei percorsi di insegnamento-apprendimento, con l’intento non tanto malcelato di costruire segmenti di curricolo percorribili di volta in volta e per più volte da Ciascuno, che è l’individuo unico, con modalità sempre diversificate dalle precipue caratteristiche personali. Come sinteticamente si usa dire, in vista non di un obiettivo uguale per tutti, ma di un obiettivo diverso per ciascuno. Questo vuol dire ‘accomodamento ragionevole’ che giustifica l’Universal Design che nasce in ambiente di matrice architettonica, e che diventa nella Pedagogia Speciale  l’Universal Design for Learning,  (UDL) basandosi sul modello delle neuroscienze e delle intelligenze multiple di Goleman. Tale framework promuove una progettazione didattica curricolare, by design, cioè sin dalla fase di progettazione, fin dall’inizio e senza adattamenti successivi, adeguata in partenza anche per chi possa manifestare successivamente necessità particolari. Applicato alla pedagogia e dunque alla didattica, definisce Linee Guida utili per una progettazione didattica ‘plurale’, ricca di strategie per l’apprendimento nelle sue diverse declinazioni di  processo (modalità, tempi, competenze) e di prodotto (esiti, profili in uscita). Una didattica orientativa di ampio spettro, in cui la domanda da porre al bambino non sia banalmente “cosa vuoi fare da grande?”, ma “in cosa riesci meglio?” o “cosa ti appassiona di più?”.  Tutto ciò trova palmare conferma nel D.Lgs.n.65/2017, pure di attuazione della L.107/2015, che disciplina il Sistema Integrato di educazione e istruzione nel segmento 0-6, che all’art.1, 1 co., recita: “Alle bambine e ai bambini, dalla nascita fino a 6 anni per sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, (di montessoriana memoria) creatività, apprendimento in un adeguato contesto affettivo, ludico e cognitivo sono garantite pari opportunità di educazione, istruzione e cura, di relazione di gioco, superando diseguaglianze e barriere  territoriali, economiche, etniche e culturali…concorre a ridurre gli svantaggi culturali, sociali e relazionali e favorisce l’inclusione di tutte le bambine e i bambini attraverso interventi personalizzati  e un’adeguata organizzazione degli spazi e delle attività” 

6) Excursus Normativo della ‘specialità/complessità’.

Senza voler andare troppo indietro nel tempo, già nella riforma Gentile del 1923, quale serie di atti normativi del Regno d’Italia, dai più considerata la prima riforma organica della Scuola, ivi si prefigura per la prima volta che siano istituite apposite scuole, dette speciali, per i bambini con handicap sensoriali lievi, tipo cecità, sordità; tale logica di ‘specialità’ perdura fino agli anni ’60, caratterizzati ancora da una considerazione che emargina i così detti ‘invisibili’. Solo con la legge 31 dicembre 1962, n.1859, istitutiva della scuola media statale, per la prima volta si prevedono con legge classi differenziali per ‘alunni disadattati’; interviene poi, la L.18 marzo 1968, n. 444, istitutiva della scuola materna statale, ove si istituiscono sezioni o interi plessi speciali per bambini affetti da disturbi cognitivi, dell’apprendimento o del comportamento, ovvero da deficit fisici o sensoriali. Negli anni ‘70, questo indirizzo viene sostanzialmente ribaltato, registrando e prendendo in carico il grande sforzo in atto in Europa per attuare l’Inclusione, come valore fondante delle società democratiche moderne. Si arriva così in Italia alla legge 118/1971, che, oltre a prevedere, misure per i ‘mutilati ed invalidi civili’, come la frequenza della scuola dell’obbligo presso i centri di riabilitazione, una idonea formazione per educatori e assistenti sociali specializzati, ha avuto il merito di  stabilire che “l’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica” e che solo in alcune limitate circostanze, in cui sia accertata l’impossibilità di far frequentare ai minorati la scuola pubblica dell’obbligo, saranno istituite ‘per i minori ricoverati’, classi normali, come sezioni staccate della scuola statale. Finalmente interviene la L. 517/1977 che “al fine di agevolare l’attuazione del diritto allo studio e la promozione della piena formazione della personalità” prevede per la scuola elementare e media una soglia numerica massima di iscritti nelle classi in cui si iscrivono alunni portatori di handicap, nonché più adeguate forme di integrazione e di sostegno a favore dei medesimi, tra l’altro attraverso impiego di docenti specializzati. Si diceva finalmente, perché solo con la L.n.517/77, si è passati dal semplice riconoscimento della disabilità alla socializzazione/integrazione. Essa, pervero, rappresenta, per la scuola italiana, lo spartiacque storico tra la scuola della separazione e dell’inserimento degli allievi e quella che, con un lento processo, diventa dell’integrazione nelle classi dei normodotati. Successivamente interviene la L.270/1982, in tema di dotazioni organiche degli insegnanti di sostegno (di regola, uno ogni quattro alunni portatori di handicap). E’ intervenuta sul punto anche la Corte Costituzionale[13]  secondo cui va garantito l’accesso alla scuola secondaria alle categorie svantaggiate, posto che “…sul tema della condizione giuridica del portatore di handicap confluiscono un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale; e che, conseguentemente, il canone ermeneutico da impiegare in siffatta materia è essenzialmente dato dall’interrelazione e integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela. Statuendo che “la scuola è aperta a tutti”, e con ciò riconoscendo in via generale l’istruzione come diritto di tutti i cittadini, l’art. 34, primo comma, Cost. pone un principio nel quale la basilare garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” apprestata dall’art. 2 Cost. trova espressione in riferimento a quella formazione sociale che è la comunità scolastica. L’art. 2 poi, si raccorda e si integra con l’altra norma, pure fondamentale, di cui all’art. 3, secondo comma, che richiede il superamento delle sperequazioni di situazioni sia economiche che sociali suscettibili di ostacolare il pieno sviluppo delle persone dei cittadini”.

In questo lento ma inesorabile excursus dall’inserimento alla integrazione, sopraggiunge la legge n. 104/1992 che attua il pieno riconoscimento dei diritti alla istruzione e alla formazione del disabile. Se dunque con la L. n. 517/77 si è superato, di fatto, il criterio delle classi speciali, la L.n. 104/1992 prevede di abolire quelle differenziali. Un percorso culturale e di civiltà, dall’inserimento alla integrazione, al riconoscimento dei diritti fino alla inclusione, alla valorizzazione della diversità, alla personalizzazione dei percorsi formativi, alla Univers-quità. Univers-come Pluralismo Universale, per cui ogni alunno è differente e nessuno è uguale, -quità, come Compensazione delle differenze, per cui l’equità è personalizzazione e l’eguaglianza è individualizzazione. Tant’è che oggi non si parla più di integrazione, l’integrazione presuppone un vuoto da colmare, ma di inclusione intesa come modificazione di un contesto, come messa in campo di un insieme di pratiche favorenti ed accoglienti. Oggi vige la Convenzione internazionale sui diritti delle persone disabili (ONU 2006, ratificata in Italia con la L.18/09), che, all’art.1, garantisce e promuove  l’autodeterminazione per evitare la discriminazione,  e dove si parla espressamente di Progetto di vita della persona disabile e ivi si auspica un sistema educativo che individui la diversità come risorsa. Irrinunciabile in tale assetto, la previsione di una governance, con organi interni ed esterni alla scuola con cui interagire, un gruppo di lavoro interistituzionale, un centro di competenze per l’inclusione, un centro per i prestiti alle scuole di specifici materiali compensativi, un sostegno finanziario alle scuole che praticano la inclusione, quella  vera. La complessità, avviatasi con la caduta del muro di Berlino, rischiava di rendere non funzionali i percorsi di istruzione lineari ed unilaterali, delineati fino ad allora, tipici di una società ancora non molto complessa. Occorreva dunque, siamo arrivati al primo decennio del XXI, parametrare l’intervento del legislatore nazionale alle previsioni UE ET 2020, [14]Quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione”, con cui gli Stati membri dell’Unione Europea si sono dati precisi obiettivi da centrare entro il 2020: fra gli altri, favorire il long life learning (apprendimento permanente), la mobilità, migliorare la qualità e l’efficacia dell’educazione, promuovere l’equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva, attuare i percorsi per il raggiungimento delle competenze chiave per l’apprendimento permanente di cui alla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18/12/2006, nonché quelle trasversali di cittadinanza, per incoraggiare la creatività e l’innovazione, inclusa l’imprenditorialità. Nascono in conseguenza la L. 170/2010 in tema di disturbi dell’apprendimento non ancora fino ad allora oggetto di attenzione legislativa, e successive LL.GG. n.5669/2011, nonché  la Dir.Min. del 27.12.2012 che per la prima volta introduce il concetto di BES, con cui finalmente l’attenzione del legislatore si sposta dal bambino al contesto, che può essere, a seconda dei casi, facilitante o discriminante; nel 2015 l’Italia sigla l’Agenda 2030, che prevede, fra i 17 Goals da raggiungere entro il 2030, il Goal 4, che promuove una scuola inclusiva; coevamente è emanata in Italia la L.107/2015, la cd. Legge della Buona Scuola che all’art.1, 181 co. lett.c), per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, promuove, fra l’altro, la ridefinizione dei ruoli del personale docente di sostegno. Nella L.107/2015 è previsto il nucleo essenziale degli interventi per l’individuazione di Livelli Essenziali di Prestazioni, intesi come quei contenuti minimi dei diritti sociali e politici da garantire unitariamente su tutto il territorio dello Stato (LEP), nel rispetto dei diversi livelli di competenza istituzionale, per la previsione di nuovi  e comuni indicatori per la autovalutazione e valutazione in termini di inclusione, per la revisione delle pratiche scolastiche in attuazione delle nuove modalità di certificazione (ICF), per la stratificazione delle competenze, nella logica della sussidiarietà orizzontale, delle figure professionali e degli attori sul territorio coinvolti nell’azione di supporto all’azione per l’inclusione. Per concludere questo breve excursus sul graduale processo di evoluzione legislativo sui temi di Inserimento/Integrazione/Inclusione, occorre citare il più recente D.Lgs.n 66/2017, di attuazione della L.107/2015, che ha ridefinito i curricoli inclusivi e riassettato la Governance. Successivamente la novella D.lgs. n.96/2019, contenente disposizioni integrative e correttive al Decreto 66/2017, tipo la conferma del principio dell’accomodamento ragionevole, come principio guida per l’utilizzo delle risorse per il sostegno dei singoli PEI, graduale adozione dei criteri ICF all’accertamento della disabilità, revisione dei plurimi Documenti per l’Inclusione previsti dal nuovo Decreto. Da ultimo, ma solo in successione temporale, si cita il D.M.182/2020 che ha adottato il nuovo modello nazionale di Piano Educativo Individualizzato (PEI), a tutt’oggi in revisione.

7) Ancora sul processo verso l’Inclusione.

L’Inclusione non è una situazione, come l’integrazione, ma un processo, l’inclusione non ha un approccio compensatorio ma di visione, non si riferisce solo all’ambito scolastico ma produce un progetto di vita, non incrementa una risposta specialistica ma rende la risposta specialistica ordinaria, l’inclusione interviene sul contesto, non sul soggetto, l’inclusione è modernità e cittadinanza attiva, attua un Progetto Universale di Apprendimento (UDL). Fino a quando si è parlato di inserimento degli alunni diversamente abili nella scuola comune, si è fatto riferimento ad un processo additivo, in base al quale si ‘aggiunge’ un soggetto ad un gruppo, con l’intento, nemmeno tanto sottinteso, di agevolare il suo adattamento al “funzionamento” del gruppo. L’inserimento implica semplicemente un numero in più nel registro e si sostanzia nella coesistenza di figure aggiunte nello stesso luogo fisico, senza alcun peso alla qualità degli scambi relazionali tra i soggetti compresenti. Questa filosofia ha finito con il ridurre ad uno scopo meramente e presuntivamente di quasi forzata ‘socializzazione’ l’obiettivo primario, se non addirittura esclusivo, dei ‘diversi’ in classe, ulteriormente riducendolo ad obiettivo di riserva, atto a giustificare l’eventuale non avvenuta integrazione, tipo: “L’alunno non ha imparato, ma ha socializzato”. Quando invece si è cominciato, gradualmente e con non poco sforzo, a parlare di integrazione, si è voluto fare riferimento ad una relazione biunivoca tra il soggetto integrato ed il gruppo integrante, a sottolineare uno scambio interattivo. In una elaborata osmosi, il soggetto ‘integrato’ riceve dal gruppo e, a sua volta, dà qualcosa al gruppo. Ma la parola integrazione fa anche pensare ad una sovrapposizione, quasi come se l’alunno ‘diverso’ possa ottenere qualcosa, stratificare, nel contesto dei ‘normali’, reciprocamente. Non sfugge in realtà che il contatto con un coetaneo, caratterizzato da un diverso funzionamento, impegna i compagni in uno sforzo cognitivo ed empatico altamente stimolante da diversi punti di vista, sicuramente arricchente. L’inclusione, infine, è un processo continuo, quotidiano, in cui tutti gli attori e tutti i percorsi di apprendimento devono poter riconoscere, affrontare e superare le differenze dei vari soggetti, in un’ottica di sostegno distribuito. L’inclusione non nasce dal nulla, ma, come su esposto, è piuttosto il frutto di una evoluzione culturale e normativa che si basa sul considerare ciò che si può fare partendo da ciò che si ha. Essa avvia supportando gli insegnanti, individuando in essi risorse eterogenee e competenze diverse, da far convergere, e il più possibile condivise. Non basta inserire/aggiungere, nè integrare/stratificare, ma occorre fare spazio alla ricchezza della differenza, adeguando, di volta in volta, ambienti, prassi, traguardi. Si è parlato di co-costruzione di contesti, di co-progettazione  di percorsi, di intenzionalità delle scelte e degli scenari, frutto di un pensiero costruttivo e compartecipe tra i diversi attori all’interno dei contesti scolastici, accoglienti e facilitanti le diversità; si è parlato di strategie educativo-didattiche che possano contribuire fortemente allo sviluppo e alla crescita cognitiva e psicosociale dei ragazzi in situazioni di difficoltà, i cui bisogni plurimi siano stati consapevolmente ed adeguatamente indagati. Per fare tutto ciò occorre collaborare e cooperare ad un progetto in continua ri-valutazione, in continua con-formazione, in un complesso e complicato processo multidimensionale che mira a creare le condizioni per una piena ed attiva partecipazione da parte di ogni membro della società ad ogni aspetto della vita, anche a livello di processi propositivi e decisionali. Ecco perché Includere è ben più complesso che Integrare. Non può esistere “inclusività”, intesa come la tendenza ad estendere a quanti più soggetti possibili il godimento di un diritto, come anche la partecipazione a un sistema o a un’attività, senza un’approfondita conoscenza delle motivazioni che la ostacolano e impediscono. Occorre perciò una sempre più raffinata formazione che diffonda competenze alte che siano in grado, in primis, di selezionare i bisogni, riconoscere, poi, le cause tutte che generano l’esclusione dell’alunno dalla relazione con i suoi simili e dalla vita scolastica, per pervenire ad un completo successo formativo, oltre che alla totale inclusione del soggetto nella comunità di cui fa e deve sentirsi parte integrante, attiva e apprezzata. Una scuola adeguata che non miri, sic et simpliciter, alla inclusione come un modo di “normalizzare” il diverso, ma, principalmente, come un modo per ripensare gli ambienti di apprendimento per una “normalità” più vasta di quella per cui sono stati concepiti. Un ambiente di apprendimento accogliente per un apprendimento versatile, liquido, creativo nel senso lato del termine, che si auto-inventa, si riprogetta di continuo, per esitare mondi senza confini e senza barriere, tali da upgradare continuamente in un processo lento di costruzione attiva e creativa delle proprie competenze, che si potenzi e comunichi in  tutti i linguaggi, anche quelli diversi, promuovendo il benessere di tutti, che può considerarsi, in un mondo sempre più globale, l’obiettivo fondamentale della scuola inclusiva.

8) Gli Attori e i Mediatori.

In applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, il D.Lgs. n.66/2017 prevede una vera e propria governance interna ed esterna alla scuola: l’Osservatorio permanente, il GLIR (Gruppo di Lavoro Istituzionale Regionale), il GIT (Gruppo per l’Inclusione Territoriale), vera cinghia di trasmissione fra le Istituzioni Scolastiche e gli uffici scolastici regionali, il GLI (Gruppo di Lavoro per l’Inclusione) interno alla scuola, che supporta il Collegio dei Docenti nella definizione del Piano per l’Inclusione, di cui ogni Scuola è chiamata a dotarsi e che descrive le modalità per l’utilizzo integrato e coordinato delle risorse e dei docenti nell’attuazione del PEI. Il DS sovraintende e coordina gli apporti di ciascuno a cominciare dalla relazione con la famiglia e dalla cura per la formazione del suo personale educativo e non. Oltre agli attori, i mezzi ed all’uopo soccorre una felice metafora di Canevaro, che parte dal Bricolage come logica di utilizzo di tutto quello che c’è intorno a sé, per dare senso ad un’attività di problem solving creativo. Applicato il metodo del bricolage alla didattica più che alla pedagogia speciale, si collauda una tecnica, che non si basa unicamente sulla molteplicità e specificità/funzionalità degli strumenti, ma piuttosto sono gli strumenti stessi che vengono adattati a scopi inediti, in base al singolo problema. L’A. traendo ispirazione da François Jacob, (1920-2013), biologo francese, si è fatto artefice di un’importante riflessione pedagogica, che partendo dall’idea di bricolage, assembla, coordina, collega i vari apprendimenti nel percorso di crescita di una persona. Con la tecnica del bricolage, si mettono insieme anche ‘pezzi’ che non sono nati per stare uniti, si creano forme e modelli inediti e imprevisti. A livello pedagogico tutto ciò richiama il concetto di mediatori, intesi come strumenti integrativi, di raccordo, che, lavorando in sinergia e collegati l’uno all’altro, permettono anche arditi assemblaggi, senza limiti e oltre le barriere dei collegamenti usuali. I mediatori in classe aiutano l’insegnante a guadare, perché, quando in classe c’è un bambino con bisogni educativi speciali, urge superare la marea di una inidoneità momentanea alla funzione, come chi vuole attraversare il fiume senza bagnarsi mettendo i piedi sulle pietre che affiorano dall’acqua. Nell’opera educativa, è il pedagogista che deve trovare le pietre che affiorano, che deve avvalersi dei mediatori, per rendere più efficace il percorso di crescita dell’educando. E i mediatori sono strumenti di vario genere, possono essere supporti fisici o astratti, personali o reali, che aiutano a ridurre le barriere alla partecipazione e all’apprendimento degli studenti affetti da handicap, film, strumenti iconici, mediatori di una comunicazione facilitata. Dario Ianes[15], Docente ordinario di Pedagogia e didattica dell’inclusione all’Università di Bolzano, co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento e direttore della rivista «DIDA», recentemente ha parlato di ‘Ecologie di supporto all’inclusione’ riferendosi a un sistema di relazioni integrate e sostenibili, in grado di fornire all’occorrenza un aiuto metodologico, tecnico, di supervisione agli insegnanti curricolari e di sostegno. Occorre che essi non si sentano soli ad affrontare le difficoltà quotidiane, in una relazione viva con le asperità di una identità plurima, che delega continuamente, alle loro professionalità, per un tempo limitato e il più breve possibile, l’avanzamento costruttivo e creativo, che gli sia poi, restituito nelle varie fasi della crescita della sua persona in un processo di riposizionamento continuo. Anche l’insegnante di sostegno è un mediatore fatto di carne e ossa nel contesto classe e nei rapporti con i colleghi curricolari. Così come mediatori sono tutte quelle varie figure professionali, educatori, assistenti all’autonomia e comunicazione, esperti ABA, tutor dell`apprendimento, che si qualificano come una serie di ecosistemi di supporto alla scuola e alle famiglie. “È il cambio di paradigma secondo il quale queste figure non lavorano più in via esclusiva sull’alunno con difficoltà ma “abilitano i contesti naturali di vita dell’alunno”, formando e supervisionando sul campo le competenze necessarie[16]. Dalla progettazione differenziata al Progetto Individuale del nuovo modello PEI, personalizzato, fondato sul Funzionamento e non sulla carenza, nè su ciò che difetta, fondato sui saperi e non più sulle nozioni. “Se crediamo che la scuola debba essere il grande luogo della grande giustizia, cioè dell`equità, del coraggio di fare parti disuguali tra disuguali, se crediamo che la scuola debba essere il luogo dove tutte/i vivono occasioni davvero efficaci di apprendimento, in grado di cambiare in meglio le loro traiettorie di vita strappandole al determinismo socio ambientale delle condizioni di vita, se crediamo a una scuola dei saperi profondi, essenziali e non del barocchismo dei fanta curricoli di conoscenze destinate a un rapido oblio, allora siamo pronti per discutere di universalità, pluralità delle esperienze di apprendimento, autodeterminazione e libertà di scelta, valutazioni formative invece di paranoie dei voti… Questa è l’altra didattica che non è solo possibile, ma è anche necessaria[17].


FONTI BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE:

  1. Prof. Mattia Della Rocca “Lezioni del Corso di didattica e pedagogia speciale per il corso di laurea triennale in Educatore professionale”
    https://youtu.be/9ubtsooaoRU (13 novembre 2020)
    https://youtu.be/Y8k6bTHkfNs (25 novembre 2020)
  2. Dott. Simone Visentini- tesi di laurea “La pedagogia speciale” Verona 2011
  3. Carmen Leo “L’inclusione per l’apprendimento. Volo unico verso il successo formativo” Stamen Ed. 2020
  4. M.I. Dipartimento per il Sistema educativo di istruzione e formazione “L’autonomia scolastica per il successo formativo” Documento di Lavoro 2018
  5.  Franco Larocca “Nei frammenti l’intero: una pedagogia per la disabilità” 1999- Franco Angeli Ed.
  6.   A.Canevaro “Le logiche del confine e del sentiero”- Erickson Ed- (2006),
  7.   P.Gaspari “Pedagogia speciale : questioni epistemologiche”, Roma Anicia, 2012, p.18
  8.   M.Foucault “Le parole e le cose” Gallimard 1966
  9.   R.Zavalloni, “Introduzione alla pedagogia speciale” La Scuola Ed – 1986
  10.   M.Pavone  “Dall’esclusione all’ inclusione: lo sguardo della Pedagogia Speciale” Mondadori Universitaria- 2010
  11. Ianes- Macchia, “La didattica per i bisogni educativi speciali: strategie e buone prassi di sostegno inclusivo”, Centro studi Erickson Ed,
  12. M.D’Addazio “L’organizzazione e la gestione delle istituzioni scolastiche oggi” Ed Anicia 2015- p.34
  13. A.Canevaro-D.Ianes “Un’altra didattica è possibile. Esempi e pratiche di ordinaria didattica inclusiva”- Erickson ed.

[1]   Franco Larocca “Nei frammenti l’intero: una pedagogia per la disabilità” 1999- Franco Angeli Ed.

[2] A.Canevaro “Le logiche del confine e del sentiero”- Erickson Ed- (2006),

[3] P.Gaspari “Pedagogia speciale : questioni epistemologiche”, Roma Anicia, 2012, p.18

[4] M.Foucault “Le parole e le cose” Gallimard 1966

[5] R.Zavalloni, “Introduzione alla pedagogia speciale” La Scuola Ed – 1986

[6] M.Pavone  “Dall’esclusione all’ inclusione: lo sguardo della Pedagogia Speciale” Mondadori Universitaria- 2010

[7] P. Gaspari, 2014, p.42.

[8] OMS, ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, delle Disabilità e della Salute

[9] P.Gaspari,2014,p.193.

[10] Ianes- Macchia, La didattica per i bisogni educativi speciali: strategie e buone prassi di sostegno inclusivo, Centro studi Erickson,

[11] D.Lgs.66/2017 contenente “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilita’” attuativo della L.107/2015 – art. 1

[12] Dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia di educazione e di esigenze educative speciali (U.N.E.S.C.O. 1994)

[13] Sentenza della Corte Costituzionale n.215/1987

[14] M.D’Addazio “L’organizzazione ela gestione delle istituzioni scolastiche oggi” Ed Anicia 2015- p.34

[16] A.Canevaro-D.Ianes “Un’altra didattica è possibile. Esempi e pratiche di ordinaria didattica inclusiva”- Erickson ed.

[17] Ivi Canevaro-.Ianes op cit.