M. Malvaldi, Odore di chiuso

Marco Malvaldi tra storia e inchiesta

di Antonio Stanca

   Odore di chiuso è il più recente romanzo di Marco Malvaldi, scrittore pisano di quarantotto anni che da tempo si è fatto conoscere con le sue narrazioni. Come molte altre anche questa, comparsa l’anno scorso, è stata edita da Sellerio e rientra nel genere poliziesco tanto caro allo scrittore.

   Malvaldi è ricercatore presso l’Università di Pisa ed ha cominciato a scrivere romanzi quando aveva poco più di trentanni. Prima è stata la nota serie di polizieschi “I delitti del BarLume” che ha avuto una riduzione televisiva e gli ha procurato molti riconoscimenti. Attirano in Malvaldi la verità sempre da scoprire, la lingua, un misto di italiano e dialetto toscano, e l’umorismo che percorre la narrazione e sa essere misurato, calcolato, mai eccessivo. Fa ridere Malvaldi ma fa pure riflettere, diverte ma istruisce. Tutto questo succede anche in Odore di chiuso, dove si dice che nel 1895 in un castello della Maremma toscana, ad una certa distanza da Livorno, vivono il barone Romualdo Buonaiuti con la vecchia madre, la famiglia, e la servitù addetta a quanto richiesto dalla casa e dalla tenuta circostante. Nel castello, invitati dal barone, arrivano il fotografo Ciceri e Pellegrino Artusi, il noto autore de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, manuale culinario che ha dato origine alla tradizione gastronomica italiana. Sono stati invitati a soggiornare per qualche tempo e a prendere parte ad una battuta di caccia. Questo è il motivo ufficiale della loro presenza ma col tempo altre verità si scopriranno anche nei loro riguardi.

   Qualche notte dopo il loro arrivo il maggiordomo Teodoro sarà trovato morto, avvelenato, e ancora dopo Agatina, la giovane e bella cameriera con la quale Teodoro doveva sposarsi a breve, sparerà due colpi di fucile contro il barone e lo ferirà. Si sconvolge, nel castello, quella che era la situazione solita, la vita quotidianamente condotta: i familiari del barone, la madre, i figli e alcuni parenti, sono confusi, allarmati, la servitù è in preda al panico, il Ciceri e l’Artusi non riescono a spiegarsi quanto sta succedendo. Continuano, tuttavia, a tenere dotte conversazioni con gli altri, soprattutto quando sono a tavola, e col delegato di polizia che, insieme a due agenti, è stato chiamato per far luce sull’accaduto. Si va avanti tra discorsi elaborati e interrogatori estesi a tutti quelli che si trovano nel castello e intorno. Emergeranno situazioni, verità che nessuno sospettava: si saprà che dei due ospiti uno era creditore del barone, che era venuto a riprendere i soldi prestati, che il barone aveva avvelenato Teodoro per sottrargli il ricavato di una grossa vincita e saldare vecchi debiti, che per questo Agatina gli aveva sparato e tanto, tanto altro si saprà in seguito all’operazione condotta dal delegato. Quello che fino ad allora si era celato, quella vita clandestina che sempre si verifica in posti isolati, privi di rapporti, di scambi, verrà alla luce in quanto ha di grave se non di cattivo, di malvagio. E molto abile sarà il Malvaldi nel farla emergere con gradualità, nel trasformarla in una rivelazione che non smette di sorprendere, meravigliare, nel ricavare un atto di accusa per persone, ambienti generalmente ritenuti lontani da ogni sospetto, nel trarre un motivo di riflessione, nel fare il tema di un romanzo.

   Più nuovo, più riuscito è lo scrittore stavolta per l’ambientazione, i personaggi e l’articolata costruzione della vicenda. Un respiro maggiore mostra di aver acquisito la sua narrazione, più ampia, più estesa è la rappresentazione alla quale fa assistere, più storia, più vita, più modi di essere, di pensare, di fare, accoglie, più significati si propone e a tutto fa posto senza appesantirsi giacché animata è sempre da quell’umorismo che le è solito.