Formazione iniziale e in servizio dei docenti

Formazione iniziale e in servizio dei docenti: cosa c’è che non va nel D.L. n. 36/2022

Il decreto presenta elementi che si prestano a una riflessione su temi strategici per innovare la scuola.

Tra le novità positive si segnalano:

  • l’introduzione di un percorso universitario e accademico di formazione iniziale e abilitazione che dovrà accertare la capacità dei docenti di ‘progettare percorsi didattici flessibili e adeguati alle capacità e ai talenti degli studenti da promuovere nel contesto scolastico, al fine di favorire l’apprendimento critico e consapevole e l’acquisizione delle competenze da parte degli studenti
  • la previsione secondo cui la formazione in servizio del personale docente di ruolo dovrebbe diventare realmente “continua e obbligatoria” e svolta al di fuori dell’orario di insegnamento, in prosecuzione di quella iniziale. L’ipotesi formativa prospettata dal decreto appare garantita da un sistema integrato volto a favorire lo sviluppo e l’applicazione di nuove metodologie didattiche e di competenze linguistiche e digitali.

I profili di criticità su cui si chiede che il legislatore intervenga in fase di conversione in legge del decreto riguardano, invece, i seguenti aspetti:

  • il testo continua a prevedere procedure concorsuali periodiche di cui non elimina quella gestione centralistica, regionale o interregionale, che si è sempre dimostrata fallimentare in quanto intempestiva oltre che generatrice di precariato. L’ANP richiede, a tale riguardo, di attribuire competenza assunzionale alle istituzioni scolastiche, con opportuna valorizzazione del ruolo del comitato di valutazione, organo collegiale eletto dal collegio dei docenti e già protagonista in materia di conferma in ruolo dei docenti neoassunti. Un cambiamento del reclutamento in tal senso risponderebbe a esigenze di celerità e di qualità del servizio
  • sempre in tema di reclutamento, riteniamo che debbano essere tenuta in massima considerazione, in tale fase nodale, la motivazione e l’attitudine all’insegnamento piuttosto che una generica preparazione nozionistica che il possesso del diploma di laurea dovrebbe già adeguatamente certificare
  • esprimiamo anche dissenso rispetto all’ipotesi di sottoporre i docenti cosiddetti “precari” all’obbligo di formazione universitaria, in quanto riteniamo prioritario procedere più celermente possibile all’immissione in ruolo, ovviamente con previsione di adeguata formazione durante l’anno di prova. Contestualmente, l’ANP richiede che venga eliminata qualsiasi previsione di ripetizione dell’anno di prova in caso di mancato superamento della stessa, in quanto si tratta di un unicum che non ha analoghi in alcun settore del lavoro pubblico.
  • secondo l’art. 16-ter, c. 2 del D. Lgs. n. 59/2017, “I percorsi di formazione di cui al comma 1 sono definiti dalla Scuola nei contenuti e nella struttura con il supporto dell’INVALSI e dell’INDIRE nello svolgimento in particolare delle seguenti funzioni. A tale modalità di determinazione dei contenuti e della struttura dei percorsi formativi in servizio si affianca anche quanto previsto dall’Atto di indirizzo per il rinnovo contrattuale del triennio 2019-2021 per il personale del comparto dell’istruzione e della ricerca, là dove esso riprende, quali elementi indefettibili del piano di formazione, proprio le tematiche delle metodologie didattiche innovative e delle competenze linguistiche e digitali richiamati dal decreto-legge. Tuttavia, questo intervento innesca una pratica di vero e proprio top-bottom nella formazione dei docenti, con significativo pregiudizio all’autonomia scolastica. Quanto previsto, infatti, unitamente al fatto che lo svolgimento di attività formative può essere retribuito a valere sul fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, condurrebbe inevitabilmente a un progressivo depotenziamento dell’autonomia didattica, di ricerca e di sperimentazione della singola istituzione scolastica chiamata a individuare, in base alle specifiche esigenze di contesto, le direttrici su cui impostare la propria azione formativa. In tal modo, peraltro, si esporrebbe il fondo stesso a un forte depauperamento vincolando, di fatto, una parte significativa delle risorse a favore della formazione. Tale assetto, inoltre, non può che incidere sul bilanciamento delle medesime tra personale ATA e personale docente
  • va stigmatizzato il fatto che agli oneri derivanti dall’erogazione di una indennità una tantum nell’ambito della formazione in servizio si provveda mediante razionalizzazione dell’organico di diritto relativa in via prioritaria all’organico per il potenziamento dell’offerta formativa. Si tratta di una previsione dalle conseguenze molto gravi, perché comporta un taglio consistente e progressivo dell’organico di potenziamento, evidentemente ma erroneamente concepito solo quale supporto all’attività d’aula e non anche a quelle organizzativo-gestionali di competenza del dirigente scolastico. Peraltro, la formazione in servizio implica anche attività di mentoringcoaching e tutoring con gli studenti al di fuori dell’orario di servizio e richiede anch’essa, pertanto, il superamento di qualsiasi visione della funzione docente che risulti appiattita sulla mera sfera educativo-didattica. Il taglio di organico, così delineato, determina il venire meno del possesso, anche da parte dei docenti dell’organico di potenziamento, delle competenze gestionali richiamate dall’articolo 4, comma 1, lett. b) del D.M. 850/2015 nonché una insostenibile limitazione alle funzioni di supporto organizzativo e gestionale che tale personale ha sinora garantito
  • sulla base degli sviluppi di carriera prefigurati nel decreto, evidenziamo, ancora una volta, l’assenza delle elevate professionalità e l’ancoraggio della valutazione e della valorizzazione dei docenti ai soli percorsi formativi. Il provvedimento, dunque, non fa riferimento alcuno al middle-management riducendo il processo di valorizzazione del personale docente a una mera incentivazione salariale, agganciata a percorsi formativi di durata almeno triennale
  • in correlazione con il precedente punto, si rileva come da una parte la formazione sia su base volontaria, dall’altra, fino a quando la riforma non entrerà a regime, si limiti l’accesso ad essa – e la conseguente erogazione di incentivi economici – al solo 40% dei richiedenti. Sfugge, pertanto, la connessione di tale impianto formativo con le attività d’aula intese come misurazione del livello e della qualità del servizio erogato dalla scuola.