F. Stassi, Mastro Geppetto

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Fabio Stassi, per una scrittura utile

di Antonio Stanca

   Presso Sellerio è uscito Mastro Geppetto, recente romanzo dello scrittore romano, di origini siciliane, Fabio Stassi. Nato a Roma nel 1962, Stassi ha sessant’anni e molto ha fatto. Oltre a lavorare presso la Biblioteca di Studi Orientali della Sapienza Università, ha composto opere di diverso genere, ha curato antologie, ha svolto attività editoriale, giornalistica, ha scritto di musica, di narrativa, racconti e romanzi. In questi ha esordito nel 2006 con Fumisteria, romanzo dove si profila quella che sarà la sua maniera ricorrente: muovere da avvenimenti o personaggi del passato e combinarli col presente, costruire una situazione che comprenda vecchio e nuovo, serva d’insegnamento, riesca utile dal punto di vista morale, culturale, sociale. Una funzione didattica Stassi vuole svolgere con la sua narrativa. Lo farà pure nel 2012 con L’ultimo ballo di Charlot, romanzo che riceverà molti premi, sarà tradotto in molte lingue, rappresenterà un successo senza limiti di tempo e di luogo. In esso Charlot ha adottato un bambino ma essendo la sua età piuttosto avanzata e temendo di morire prima di vederlo diventare adulto prega la morte di farlo rimanere in vita fino a quel tempo e in cambio le promette di divertirla con la sua comicità. La morte accetta il patto e lo spirito dell’opera diventa tanto profondo, tanto intenso il suo significato da superare ogni limite.

   In questo senso ha continuato lo Stassi scrittore. Tra l’altro ha curato l’edizione italiana di Curarsi con i libri (2016) e Crescere con i libri (2017). La cultura, la letteratura, lo studio, la lettura come mezzi, strumenti di maturazione, di formazione: lo scrittore ne è convinto. In fondo non fa che ricalcare una regola, un principio che viene da lontano, che è sempre valso nella storia, nella civiltà non solo italiana e non solo moderna. A quel principio Stassi ha pensato di adattare, piegare la sua attività di narratore, per esso ha voluto coniugare il passato con il presente, la storia con la letteratura, la realtà con l’immaginazione. In Mastro Geppetto è la favola Le avventure di Pinocchio, che Carlo Collodi scrisse nel 1883, a venire trasferita tra tempi, luoghi, personaggi attuali. Stavolta, però, della vecchia storia rimarrà solo la parvenza perché quella che allora era stata la creazione di un modesto falegname, un burattino di legno capace di vita normale, diventerà il risultato di una grossa burla ordita dai maggiorenti di uno sperduto villaggio tra le colline toscane, il farmacista, il medico, il parroco, il rigattiere ed altri, ai danni del povero Geppetto che piuttosto ingenuo sapevano e innamorato di grandi cose. Gli faranno credere che col suo pupazzo parlante potrà girare il mondo, fare spettacolo, arricchirsi e liberarsi dello stato di povertà nel quale era sempre vissuto. Succederà, invece, che quando l’avrà costruito glielo sottrarranno di nascosto e gli faranno iniziare una ricerca che non finirà mai, che simile diventerà a quella di un padre che vuole riavere il figlio. Un figlio considerava Geppetto il suo Pinocchio e per lui percorrerà l’intera Toscana, per lui conoscerà condizioni di estrema miseria. A piedi compirà la maggior parte dei suoi percorsi. Affamato, assetato, sfinito si farà vedere. Non si arrenderà, però, non smetterà di sperare: cercava suo figlio e non poteva pensare di non trovarlo, di non riuscirci! Invece proprio così Fabio Stassi concluderà la sua opera: Geppetto dovrà accettare di perdere Pinocchio, dovrà rinunciare a tutto quello che insieme a lui aveva pensato di ottenere, il successo, la ricchezza. Dovrà rassegnarsi alla sua condizione di povero, di sconfitto, di escluso.

    Tanto è cambiato rispetto alla favola del Collodi: allora era stato Pinocchio a compiere un viaggio difficile, ad imbattersi in molte disavventure, a ritrovare il padre, a rientrare nel ruolo di figlio, a voler diventare un bravo ragazzo, ora è Geppetto a perdersi per le strade del mondo, a soffrire, a penare per quanto non riesce ad ottenere, per come viene trattato, per la fame, la sete, la stanchezza, lo sconforto che hanno rovinato il suo corpo e il suo spirito. Rispetto a Collodi Stassi ha invertito molti termini, li ha inventati perché voleva dire di quanto cattiva può diventare la vita nei riguardi di chi è solo, debole, indifeso, di quanto sentito, sofferto può essere per un padre il bisogno di trovare il figlio perduto.

    Ancora una volta insegnamenti, richiami giungono dallo Stassi, ancora una volta la sua è una scrittura che si propone dei compiti, che vuole istruire, vuole far distinguere il bene dal male.