Più bravi ma con voti più bassi Il rebus degli studenti lombardi

da Corriere della sera

Più bravi ma con voti più bassi
Il rebus degli studenti lombardi

Penalizzati da insegnanti severi, tirati nei voti. Gli studenti lombardi portano a casa pagelle meno brillanti, escono dalla maturità con punteggi più bassi e devono fare salti mortali per conquistare la lode. Anche se risultano più preparati. C’è uno spread della valutazione che poi pesa quando presentano il curriculum, quando vanno ai concorsi, quando cercano lavoro, il teorema non è nuovo, la novità sono i dati. I ragazzi di Milano e dintorni brillano ai test Invalsi e nelle rilevazioni Ocse Pisa, prove standard, uguali per tutti, ma quando le valutazioni sono soggettive, scrutini ed esami di maturità, la partita la stravincono i colleghi del Sud a partire dai calabresi, che però restano indietro nei test nazionali.
Il dibattito sulla valutazione è ripartito ieri da Milano, alla presentazione del «Rapporto sulla qualità della scuola in Lombardia» confezionato da Tuttoscuola, con il direttore dell’Ufficio scolastico regionale che si è impegnato a intervenire. «Non posso chiedere agli insegnanti di essere meno severi, sono giustamente seri. Ma i nostri ragazzi risultano penalizzati. Il problema della valutazione c’è — ha detto il provveditore Francesco De Sanctis —. Anche le università non si fidano dei voti degli altri e utilizzano i loro test». Uno dei dati che scalda gli animi: i cento e lode alla maturità, traguardo raggiunto dallo 0,45% dei lombardi, e dall’1,4 dei calabresi.
Reazioni. «I conti non tornano. Invalsi alla maturità subito», ha rilanciato secca l’assessore regionale Valentina Aprea. «La Lombardia avrebbe tutto da guadagnare con la trasformazione della terza prova in prova nazionale, la valutazione sarebbe più omogenea», ha sostenuto anche Giovanni Vinciguerra, direttore di Tuttoscuola. «Poi nei concorsi per titoli lo svantaggio si paga. Qualcuno può far più fatica di altri a trovare lavoro».
Lo storico mensile del settore, che ha già consegnato due rapporti nazionali — 2007 e 2011 — in questa indagine sulla Lombardia per la prima volta ha valutato le scuole comune per comune (per le paritarie non tutti i dati erano disponibili). Le migliori? Sono a Cassano Magnago, città natale del leghista Umberto Bossi, provincia di Varese. Le peggiori a Como. Che cosa è stato pesato? Molto. Per esempio: patrimonio delle scuole, spese per l’istruzione degli enti locali, dotazione di pc e laboratori, tempo pieno, numero di alunni per classe, servizi mensa e trasporto, numero dei precari, profilo degli insegnanti, dispersione scolastica, livelli di apprendimento e risultati di scrutini e diplomi.
Un centinaio gli indicatori, 35 mila i dati incrociati, pescati negli archivi di Miur, Istat, Ragioneria dello Stato. Per arrivare a una valutazione su: strutture e risorse, organizzazione e servizi, personale, risultati. E per concludere: la Lombardia è sempre sopra la media nazionale, era al secondo e terzo posto e resta ancora in alto.
L’indagine è stata pensata per rispondere alla domanda «dove la scuola funziona meglio». Adesso la mappa c’è. E ci sono spunti da salvare. In ordine sparso: gli istituti migliori sono nei comuni più piccoli; le scuole più ricche sono i tecnici e i professionali; gli insegnanti sono più giovani che altrove ma si considera «moderatamente giovane» chi è sotto i 45 anni (!) e in cattedra ci sono meno uomini; diminuiscono i trasferimenti, aumenta l’assenteismo. Poi le «classi pollaio», dolente nota. «Alle superiori anche in 33, troppi. Ma c’è stato un problema di distribuzione delle risorse, Milano è stata penalizzata», ha detto ieri De Sanctis, in carica da due mesi. E poi c’è il tema della valutazione. «Sacrosanta la serietà nei giudizi. Ma agli studenti lombardi si chiede di più».
Federica Cavadini