Scuola e mandato sociale

Scuola e mandato sociale

di Piervincenzo Di Terlizzi

Fare il dirigente scolastico nelle scuole dell’autonomia vuol dire cercare di conoscere ed interpretare, con la maggior profondità possibile, la complessità di una comunità alla quale si è affidati. In questo senso, l’autonomia scolastica recupera uno dei suoi significati originari ed originanti: un modo per essere istituzione, con la maggior vicinanza possibile a coloro i quali con l’istituzione dialogano e che, in realtà, sono essi stessi l’istituzione (altro che “utenti”). Evidentemente, questa operazione è sempre in movimento.

Prendo ad esempio la piccola città del Nordest in cui vivo e lavoro. Leggendone oggi la geografia dei luoghi del sapere, rilevo la presenza di una serie di scuole, che si intrecciano soprattutto in un’area centrale; nella stessa area, operano diverse istituzioni culturali, ciascuna con la sua storia, con i suoi alti e bassi. Ad un altro capo della città, si trova il consorzio universitario; più fuori, un polo tecnologico. In complesso, poi, riconosco un tessuto di attività produttive e associazioni, che connotano quotidianamente saperi informali e non formali. A questa comunità, visibile fisicamente, si associa la comunità virtuale, nei suoi vari segmenti e rappresentazioni (gruppi d’interesse su Facebook, Instagram, TikTok); e a questa si aggiunge, tutta ancora da scrivere ma carica di attese, la comunità che ora nasce e che si svilupperà nel metaverso.

 Vista insieme, la comunità che fa da riferimento al mio lavoro è, quindi, un po’ qui attorno a me e un po’sparsa per il mondo e per il tempo; essa trova comunque un punto simbolico di riferimento, per varie ragioni, nella mia piccola cittadina.

  In questo panorama, da dirigente scolastico, quindi, mi chiedo quale sia, o quali siano, la (le) comunità verso cui si esercita il mio mandato (e quale per conseguenza esso sia). Se, come si è visto, ci sono tanti gruppi che apprendono e fanno conoscenza, se ci sono tante microcomunità che apprendono e fanno conoscenza, ne esiste un punto in comune, un tratto unitario, cui fate riferimento? Tenderei a rispondere di sì, che esista questa dimensione unitaria: essa non è un dato di fatto inamovibile, ma un processo, e consiste nell’esercizio della cittadinanza, fisica e digitale, necessariamente dinamico. La manifestazione di questi saperi di comunità produce comunità e, soprattutto, richiesta di comunità, come spazio di evidenza, di riconoscimento, di negoziazione. Avere presente questo significa, per me,  interpretare il mio mandato istituzionale come impulso a essere costruttore di relazioni all’interno di questa comunità ad assetto e a manifestazioni variabili e complesse. 

  Agendo nella stagione presente e viva, l’istituzione scolastica si pone come elemento di abilitazione a queste relazioni: non può essere, non è più, se mai lo è stato,  l’unico soggetto detentore di sapere, né detentore di un sapere statico, o con un carattere di esclusività; è invece il luogo più evidente all’interno del quale la dimensione sociale della costruzione del sapere diventa riconoscibile: una dimensione agita mediante le relazioni che fanno cittadinanza. 

Rispetto alla scuola-monolite (e a tutti i correlati retorici che le si associano nell’immaginario), alla situazione descritta si riferisce meglio la scuola-sinapsi, elemento di connessione tra dimensioni e forme di sapere plurime. E questo non può che interrogare profondamente il senso politico (nell’accezione più nobile) del ruolo della scuola e, più modestamente, del mio mestiere.