Etica della valutazione

Etica della valutazione

di Gabriele Boselli

 Azzarderò una indicazione “pura” (di principio) dei valori come fondazioni di una teoria della valutazione fenomenologicamente centrata sulle persone nel loro interagire con la cultura nel suo intero. Dunque contro gli apparati (SNV, INVALSI, OSE (GB), DEPP (FR) SKKLBD (Germ.) di classificazione funzionale e di archiviazione delle singolarità, argomentando invece per la rievidenza di una soggettualità individuale e collettiva consapevole delle ragioni e del senso dell’ educare,

Valutare entro costellazioni assiologiche

In questa estate i “giornaloni”, impegnatissimi in favore di una piena entrata in guerra, tranne che per gli esami di Stato non si interessano di valutazione del sistema scolastico. E’ dunque meno disturbato un dibattito sereno sull’argomento.

Interessata o disinteressata, rigorosa o demagogica, pubblica o privata, la domanda di valutazione degli apparati pubblici è sempre più forte e le istituzioni dello Stato prive di un potere di deterrenza come quelle scolastiche comunque si sentono messe in questione. Se le forze armate sono finora esenti da una richiesta di valutazione pubblica dei risultati (peraltro segretati come tutti i bilanci militari), particolarmente nel mirino vi sono la sanità e la scuola, i cui bilanci sono al contrario tagliati e il cui prodotto va pertanto svalorizzato.

Incompetente a trattare in modo scientifico del sistema sanitario, dirò qualcosa di quello scolastico. Di valutare le scuole si parla e si scrive molto investendo per ora aspetti piuttosto marginali e limitati al pensiero convergente. Cosa si potrebbe fare ?

Si tratta a mio avviso di conoscere quali processi culturali e umani vengano intenzionalmente e consapevolmente (o meno) attivati; si tratta poi di riconsiderarli in vista di orizzonti di ulteriorità culturale e morale.

Intenderei infatti la valutazione quale atto di conoscenzasecondo trasparenti idee di valore, statuizione dell’inerenza dell’oggetto a qualcosa che si considera un fine; dunque occorre porsi il problema di una teoria dei valori. Operazione resa assai difficile dal potere, tuttavia il non porsi il problema dei valori che dovrebbero agire  secondo la buona intenzione dell’individuo o di comunità umane delimitate (eticità) significherebbe lasciare libero campo alle pulsioni avaloriali (meglio: monovaloriali) che oggi agiscono comunque  e magari vengono statuite entro un’etica che vien data per scontata, avendo dalla sua la forza consacrante dei settori economici che contano e una normativa ispirata alla cultura e all’assiologia del mondo della produzione economica, in cui é centrale lo pseudo-valore del “successo“.

Valore adversus valuta

Nella tradizione di pensiero in cui mi sono formato (Scheler, Gadamer, Arendt….) il valore é quella ipercomplessa tradizione di atti ideali che viene dalla storia e dall’insieme dell’esperienza soggettiva e intersoggettiva; interpretabile ma non sempre negoziabile, fonda ed esprime un’intenzionalità culturalmente fondata, sapientemente articolata e onesta del soggetto individuale o collettivo (morale). Altra cosa é la valuta: questacostituisce semplicemente il valore riconosciuto dagli strumenti di riconoscimento di massa (es. valuta monetaria) e rende possibile la convertibilità di tutto, vita, salute e assetti morali compresi.

E’ ben vero che la convertibilità -in quanto scambio- é comunicazione ed esprime dunque uno dei valori essenziali dell’umanità. Ma quando diviene il riferimento, la pietra assoluta di paragone, l’imposizione di una valuta fatta nuclearmente di soldo e/o di potere……..allora negli strati meno moralmente consapevoli o “al di là del bene e del male” (le “èlites del potere” individuate da Vilfredo Pareto), l’ideologia economicistica fa di se stessa l’asse centrale dell’etica dominante e si impone tramite i mezzi di comunicazione di massa controllate dalle stesse élites.

In un siffatto quadro valoriale le “virtù teologali” (conformi alla logica del nuovo dio) e positivamente valutabili anche nella scuola -non riconosciuta nella sua specificità di “cattedra” morale- sono quelle che assicurano il successo: efficacia (saper raggiungere il risultato voluto da chi comanda), efficienza (raggiungerlo con il minimo della spesa), produttività (ottimale sfruttamento della risorsa,  meccanica o umana che sia non fa differenza).  Son naturalmente tutte virtù che non hanno altro senso partecipato dall’attore se non quello di “stare sul mercato”, tenere con successo la propria posizione o migliorarla.  Nel caso della scuola, si valuterà positivamente quella scuola che avrà dimostrato di fabbricare giovani di successo ovvero capaci di guadagnare molto; oppure, se materna o dell’obbligo, di saper costruire buone premesse al successo futuro rispondendo bene ai tests.

Auspicabile pluralità delle fondazioni del valutare

L’essere umano, fin dalla nascita, è portato nel suo (il più possibile proprio) conoscere il mondo ad attribuire valore (e –necessariamente- pure valuta) agli elementi e agli altri  soggetti che lo abitano. Ciascuno -se la pressione sistemica glielo permette- in base alle caratteristiche personali, alla propria storia, alle proprie attese,  in base ai propri limiti e possibilità.

Il mondo è allora rappresentato e valutato diversamente a seconda dei soggetti, dei luoghi, dei tempi, delle categorie concettuali, dei valori che si impiegano nel valutare. Ciò  pone il problema dell’intesa, del riuscire a  individuare un piano comune di assenso, di condivisione, operazione particolarmente difficile nel tempo di una complessità non libera e autenticamente pluralistica, ma dominata dal gigantesco monolito trans-umano dell’economia tardomoderna e dei suoi effetti secondari in politica.  

L’ indirizzo che solitamente si definisce docimologico (e che ultimamente ha rinunciato all’attributo ma non alla pretesa di oggettività) mantiene un approccio oggettivistico ai fenomeni.  La sua etica é coperta, talora molto coperta, assolutamente indichiarata: il conoscere è visto come adattamento del pensiero a una realtà oggettiva (eticamente neutra) che si pensa esistere del tutto fuori del soggetto (improponibilità dunque di un ordinamento etico delle relazioni). Si tratterebbe di cogliere le cose come stanno, nella loro neutra realtà intrinseca, prescindendo dal soggetto valutante e dai suoi valori. Questi è visto come elemento inquinante l’ affidabilità della procedura e degli esiti; è elemento di disturbo, interferenza, va “eliminato” inventando il tipo di valutazione più adeguato al contesto e agli interessi prevalenti.

Valutare  secondo fenomenologia ed ermeneutica

Configurerei la valutazione come un’ attività di conoscenza di tipo valoriale condotta da un soggetto consapevole di essere e di stare dentro un articolato campo di intenzionalità. Si entra in una dimensione qualitativa,esplicitamente e responsabilmente arbitraria,  cercando di capire soprattutto ciò che vale, avvertiti che raramente ciò che vale é ciò che conta.

Si tratta  -nel caso della valutazione di una scuola- di conoscere la qualità umana e culturale della relazione che i soggetti adulti e bambini della vita scolastica vivono in quel contesto.

Una valutazione incentrata sul solo gradimento del contesto è limitativa perchè i soggetti non sono solo il prodotto di esso ma ne dovrebbero essere il senso.  Il contesto è senz’altro fondamentale per comprendere i soggetti affinchè non ne siano determinati. Per questo siamo soggetti ossia individui in grado di rispondere originalmente alle sollecitazioni dell’ambiente. Pens inoltre che sia eticamente importante mantenere un senso dei limiti generali (l’economicismo riconosce solo limiti interni al proprio testo) perchè l’altro è anche alterità non strumentalizzabile, enigma, mistero, non si spiega (e per fortuna non si domina) integralmente; sfugge sempre in qualcosa, spesso in quel che è più importante. 

Conclusioni

Noi costruiamo un’immagine dell’altro più o meno consapevolmente collegata alle nostre attese, al nostro progetto, alla nostra linea di intervento, al nostro mondo cognitivo e spirituale (soprattutto valoriale).  Io colgo l’altro attraverso la mia identità; l’immagine dell’altro è costruita entro il mio orizzonte attraverso il confronto con l’altro.

Qualcosa di simile lo fanno anche i sistemi politici attraverso i citati sistemi di valutazione ma la differenza è che essi hanno anche potere di imposizione. Gli apparati che ne dipendono vedono e valorizzano (o svalorizzano) ciò che interessa alle elites che li padroneggiano.

-In una visione alternativa, le fondazioni morali della valutazione della qualità si esprimeranno allora nell’ attenzione (autoreferenziale no, ma autonoma si) al “qual essere” della scuola come “qual essere a”: alla storia, all’epoca; soprattutto ai soggetti individuali in formazione. -Fuori dalle tavole dei culti tardomoderni, dentro la storia dei quadri assiologici, accogliendo la complessità e la pluralità, la scuola continui ad additare i valori che si stanno formando e che essa, valutando, “in-segna”, immette nel tempo.

-Se la legge continuerà a sottoporre il personale scolastico e le scuole a operazioni classificatorie con effetti sulla busta paga o magari sulla stessa permanenza in servizio la valutazione andrà discussa nei suoi criteri valoriali e la resistenza ad essa culturalmente e scientificamente motivata. La discussione scientifica come sempre  lascerà del tutto indifferenti i decisori ma noi avremo fatto il nostro dovere.

 -La scuola non dovrebbe essere comunque oggetto di sentenze emesse da apparati tecnici autoreferenziali o dipendenti dal potere economico-politico. Essendo “magistra” é “posta sopra” (o almeno fuori) e questo é garanzia di libertà anche per gli alunni, gli insegnanti, le famiglie, i dirigenti e i quattro ispettori rimasti.

Bibliografia

Il punto di vista ministeriale, opposto a quello sopra illustrato, è autorevolmente espresso in D. Previtali La scuola mediterranea, Il Mulino, 2022. Ai fini dei concorsi è salutare scrivere il contrario di quanto sostenuto in questo mio articolo.