Le figure del dirigente scolastico

Le figure del dirigente scolastico

di Laura Bertocchi

Il dirigente scolastico, tra i professionisti della scuola, è certamente colui che si interfaccia con il maggior numero di interlocutori, estremamente diversi tra loro. Le ragioni di tali rapporti sono altrettanto varie, ma generalmente riguardano la risoluzione di problemi più o meno complessi e gravi.

L’atteggiamento del DS è dunque legato all’interlocutore, alla problematica che si trova ad affrontare, ma anche alle peculiarità della sua persona, all’importanza che attribuisce a determinate situazioni, a ciò che lo preoccupa, ai risultati a cui tende, più o meno consapevolmente.

A tal proposito, possiamo individuare almeno tre macro-ambiti a partire dai quali osservare la condotta del DS: l’ambito amministrativo, quello relazionale e, infine, quello legato alla gestione del “potere”.

1. L’ambito amministrativo

Negli ultimi anni, le scuole sono state sempre più massicciamente invase da adempimenti burocratici, con continue richieste di dati, informazioni, monitoraggi, verifiche, programmi, relazioni… che vanno ben oltre il fine amministrativo di garantire la memoria storica e di supportare la funzionalità delle varie operazioni da svolgere. Snodo cruciale è la L. 59/97, che ha attribuito autonomia e personalità giuridica alle istituzioni scolastiche e, attraverso il DLgs 59/98, ha disciplinato la qualifica dirigenziale dei capi d’istituto. Il preside è così diventato dirigente che, citando l’art. 25 del DLgs 165/2001, con “autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane (…), assicura la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati di servizio”.

Ecco allora che l’approccio del DS può fare la differenza nel guidare con saggezza e competenza la scuola verso il perseguimento del suo fine precipuo – ossia il successo formativo per tutti gli studenti senza farsi distogliere o soffocare dagli infiniti adempimenti formali.  

A tal proposito, è facile incontrare DS che sanno districarsi tra le fitte maglie della rete burocratica, dimostrando buone capacità di andare oltre la normativa, leggendo il senso profondo da cui scaturisce il dettato di legge. Questi dirigenti sanno muoversi nel rispetto delle procedure, ma con buon senso e flessibilità, senza il timore di restare schiacciati dal peso delle proprie decisioni. La norma può allora essere vista non come una limitazione, quanto piuttosto come una risorsa per esprimere le potenzialità della scuola. In questo senso, appare suggestiva una battuta attribuita all’allora ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer, il quale, in relazione all’autonomia scolastica, aveva affermato che ciò che non è vietato è possibile: ecco, ci sono dirigenti che tendono a non sondare il possibile. Tali DS, ossessionati dal rispetto della normativa, fanno proprio il modello burocratico nella conduzione della scuola: nulla può essere proposto o realizzato se non è previsto da una qualche legge. Il problema è che non tutto è normato o può essere normato: anzi, alcune scelte devono necessariamente dipendere dall’analisi della situazione specifica, oltre che dal buonsenso o dalla consuetudine. Peraltro, la stessa legge spesso crea più problemi che soluzioni, a causa della polisemicità dell’interpretazione o della scarsa chiarezza del testo. Il ricorso pedante alla norma, poi, può indurre il DS a perdere di vista la visione d’insieme del problema, rimanendo invischiato nel dettaglio. Citando l’ispettore Max Bruschi[1], è importante ricordare che le “procedure sono esclusivamente un mezzo e non un fine” e che “il primo criterio, in caso di dubbio, rimane il buon senso”, senza mai perdere di vista (aggiungiamo noi) la ragion d’essere di ogni istituzione scolastica: il conseguimento del successo formativo di ogni alunno.  

2. L’ambito relazionale

Come anticipato, ogni DS si confronta con un numero particolarmente elevato di interlocutori: dai membri dello staff ai docenti, dal Direttore sga al personale ATA, dagli studenti alle loro famiglie, solo per citare coloro con i quali intrattiene i rapporti più frequenti. A costoro vanno poi aggiunte diverse figure “esterne” alla scuola: specialisti quali assistenti sociali e neuropsichiatri, ma anche sindaci e forze dell’ordine, fornitori e colleghi dirigenti. È allora interessante capire se e con quale attitudine il dirigente si approcci innanzitutto ai suoi interlocutori privilegiati – studenti, famiglie, docenti -.

Capita di incontrare DS che possiamo definire, quantomeno, “evasivi”: si negano ripetutamente, “frappongono una serie di ostacoli al contatto diretto, non facendosi trovare al telefono, non fissando appuntamenti o dilatandoli oltremodo”[2]. “È molto più facile fissare un appuntamento con il Presidente della Repubblica”[3] che con alcuni dirigenti scolastici, ironizza Mario Maviglia.

Per esperienza possiamo però affermare, con discreta sicurezza, che questi comportamenti, presto o tardi, si ritorcono contro il dirigente stesso, soprattutto se mira ad una gestione condivisa della scuola. L’ascolto infatti può essere il deterrente più efficace per evitare l’esacerbarsi o l’aggrovigliarsi di problemi. Viceversa, possiamo incontrare DS dotati di grande empatia, pazienza e capacità di ascolto. Il rischio però è che il loro ufficio diventi “una sorta di sfogatoio”[4] in cui tutti vanno per parlare, presentare i loro problemi, avanzare richieste, lamentarsi di qualcuno o di qualcosa. Questi dirigenti non rifiutano mai un colloquio con uno studente o un genitore, sono sempre pronti ad accogliere ogni richiesta. La loro porta continuamente aperta, però, li obbliga a interrompere frequentemente quanto stanno facendo, rischiando peraltro di rendere inefficace o fuggevole l’ascolto.

Il problema è che raramente famiglie, studenti e docenti si rendono conto di far parte di un sistema estremamente complesso e costituito da una moltitudine di soggetti, ognuno dei quali con esigenze diverse. Se è legittimo supporre che il DS presti la dovuta attenzione ad ogni aspetto del benessere dei suoi studenti, è facile anche intuire che gli è materialmente impossibile stabilire una relazione personale con ogni utente: la delega diviene allora strumento indispensabile per l’equilibrata gestione dell’istituzione.

Interessante è poi soffermarsi, nello specifico, sui rapporti con i docenti. Ci sono DS che promuovono un’atmosfera il più possibile informale e familiare. Gestiscono la complessa organizzazione scolastica attraverso un lavoro di squadra, tendono a proporre più che a imporre e, attraverso uno stile democratico[5], sono in grado di valorizzare i propri collaboratori, coinvolgendoli anche nelle decisioni più importanti. Dopotutto, come suggerisce Franco De Anna, “un bravo preside che sappia organizzare bene la sua scuola, non ha nulla da fare tutto il giorno… tranne che parlare con le persone”[6]. Questo atteggiamento promuove certamente la responsabilizzazione dei singoli verso il raggiungimento di obiettivi che sono percepiti come condivisi. Per il DS è però indispensabile non dimenticare che, in ultima istanza, l’art. 25 del DLgs 165/2001 lo individua quale responsabile della gestione finanziaria e strumentale dell’istituzione scolastica, di cui ha la legale rappresentanza e per la quale risponde in ordine ai risultati. In effetti, uno dei rischi che può correre un dirigente con questo atteggiamento, è quello di trascurare ciò che comporta l’assunzione di un ruolo all’interno dell’istituzione: norme e aspettative convergono su di lui in quanto occupa una determinata posizione. Inoltre, talvolta, la ricerca ossessiva della vicinanza/amicizia degli altri può nascondere la difficoltà a prendersi carico fino in fondo delle responsabilità che il ruolo comporta.

3. La gestione del “potere”

Vediamo infine come i dirigenti possono porsi nei confronti del “potere”.

Vi sono dirigenti estremamente accentratori, convinti che la responsabilità condivisa non possa trovare posto nell’ambito della gestione dell’istituzione scolastica. Questi dirigenti sentono sulle proprie spalle tutto il peso delle responsabilità che, nel corso degli anni, sono state loro istituzionalmente attribuite: “ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati”, precisa l’art. 4 c. 2 del DLgs 165/2001. La legge Brunetta 150/2009, integrata dal DLgs 75/2017, è intervenuta sottolineando ulteriormente il ruolo cardine del dirigente, con l’obiettivo dichiarato di trasformarlo in un vero manager, che esercita i poteri del privato datore di lavoro.

I principali strumenti con i quali perseguire tali intenti sono: l’orientamento alla performance, la valutazione dei risultati del dirigente, il rafforzamento dei suoi poteri, la promozione di controlli interni ed esterni, l’introduzione di sanzioni per omessi controlli e procedimenti disciplinari.

È chiaro che tutte queste funzioni e le correlative responsabilità attribuite ai DS rischiano di allontanarli sempre più dal ruolo di leader educativi che coordinano un’équipe di professionisti, per accostarli sempre più all’immagine di manager aziendali. Tale evoluzione parrebbe giustificare un atteggiamento sempre più accentratore da parte dei dirigenti, necessario a garantire la tenuta del sistema. Ovviamente questo non è necessariamente vero in quanto, nelle scuole come nelle aziende, possono essere previste strutture intermedie per una gestione più condivisa delle varie attività. Il DS accentratore tende però di solito a diffidare di queste soluzioni o ad esercitare un controllo continuo su quanto progettato, limitando al minimo gli spazi di autonomia e discrezionalità dei soggetti coinvolti. Tutto ciò porta ad una gestione impositiva e pressante, che dà vita a quella che Kets de Vries definisce “un’organizzazione drammatica”[7], dove tutto sembra ruotare attorno al capo, che spesso si trova ad affrontare da solo qualunque scelta. I dirigenti poco propensi all’utilizzo della delega, infatti, tendono ad accentrare nelle loro mani il potere, limitando l’iniziativa personale e insistendo per avere l’ultima parola su ogni questione, anche le più futili. Con questi atteggiamenti, però, comunicano implicitamente ai collaboratori che non si fidano di loro e ciò può rappresentare un freno al processo di responsabilizzazione dei singoli, che non assumono mai decisioni in modo autonomo.

Eppure la delega è uno strumento che può rivelarsi prezioso per distribuire i compiti e periferizzare il potere. Essa è un dispositivo “con il quale il soggetto delegante attribuisce ad un altro soggetto poteri e facoltà, necessari per lo svolgimento delle attività delegate, entro i limiti e secondo i criteri stabiliti nel provvedimento stesso”[8]. Ovviamente la delega può assumere caratteristiche molto diverse e, a tal proposito, possiamo distinguere, come fa Quaratino citando Covey, la “delega del fattorino” e la “delega di responsabilità”[9]. La prima indica una delega molto stringente, che non lascia spazio all’autonomia decisionale del delegato. Di fatto, in questo modo il DS continua ad accollarsi anche attività di secondaria importanza, non ottimizzando il proprio tempo e disperdendo le energie. Viceversa, la “delega di responsabilità” concede ampi margini di autonomia al delegato, spostando il focus sui risultati e non sulle modalità con le quali vengono conseguiti.

Innegabilmente, tale tipo di delega si basa su un rapporto di fiducia che deve intercorrere tra il DS e i suoi collaboratori, anche se in ogni caso la delega non fa mai venire meno la responsabilità ultima del dirigente, che deve scegliere con cura i delegati. Ciò richiede un grande investimento iniziale di tempo ed energie, ma certamente produce più alti ritorni nel medio e nel lungo periodo.

Si potrebbe qui aprire un’ampia riflessione sul ruolo e le caratteristiche del middle management, che non ha trovato ancora un adeguato riconoscimento e sistematizzazione nella vigente normativa.


[1] Pagina Facebook di Max Bruschi, post del 22 giugno 2022.

[2] M. Maviglia, Sopravvivere a scuola. Manuale di istruzione, Edizioni Conoscenza, Roma, 2020, p. 97

[3] Ibidem

[4] Ibidem

[5] Goleman, https://www.unicusano.it/blog/didattica/master/tipi-dileadership/

[6] https://www.organizzazionedidattica.com/wp-content/uploads/2018/06/ Ancora-sulla-leadership-scolastica.pdf

[7] M.F.R. Kets De Vries, L’organizzazione irrazionale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001, pp.42-43

[8] A. Paletta, Dirigenza scolastica e middle management, Bonomia University Press, Bologna, 2020, p.41

[9] L. Quaratino, Lo sviluppo di un profilo manageriale nei dirigenti scolastici, in G. Mangiarotti Frugiuele (a cura di), Dirigere la scuola. Un percorso di eccellenza, CEDAM, Padova, p.135