Il collocamento delle persone con disabilità all’estero

Il collocamento delle persone con disabilità all’estero
SuperAbile INAIL del 29/07/2022

Non esiste una equiparazione del riconoscimento di invalidità nei sistemi degli altri paesi. Le persone, per essere inserite al lavoro, devono seguire le regole vigenti nel paese prescelto.

La crisi occupazionale con il conseguente alto tasso di disoccupazione delle persone disabili, la lunga permanenza nelle liste speciali  del collocamento mirato senza alcuno sbocco lavorativo, spinge molti giovani con disabilità alla ricerca di un lavoro all’estero.
Questi giovani si domandano se il sistema delle quote obbligatorie e l’iscrizione in liste speciali si applica anche in altri paesi europei e soprattutto se il riconoscimento dell’invalidità civile rilasciato in Italia può valere anche all’estero.
Chiariamo subito che non esiste una equiparazione del riconoscimento di invalidità nei sistemi degli altri paesi e che per essere inserito al lavoro è necessario seguire le regole e le modalità vigenti nel paese prescelto.
Facciamo una breve premessa sui sistemi adottati negli altri paesi europei premettendo che nell’Unione Europea, coesistono impostazioni diverse in merito al collocamento delle persone con disabilità. In alcuni paesi, infatti, vige il sistema delle quote d’obbligo come nella nostra legge n. 68/99: i datori di lavoro sono obbligati all’assunzione di persone con disabilità in una determinata percentuale rispetto al numero dei propri dipendenti (per esempio Francia, Germania e Spagna).

Alcuni altri paesi (Irlanda, Olanda e Regno Unito) non dispongono di alcun sistema di quote. In particolare il Regno Unito, ha abolito le quote obbligatorie adottando una legislazione antidiscriminatoria in favore delle persone con disabilità che si è evoluta nel tempo con modifiche alla Disability Discrimination Act, promulgata per la prima volta nel 1995, emendata diverse volte e infine confluita nella più ampia Equality Act del 2010.
In questo paese si è scelta la tutela legale del diritto di tutti gli individui a godere di pari opportunità in tutti gli ambiti della vita, dunque anche nell’accesso al lavoro.
Al sistema delle quote si affiancano tradizionalmente, in genere per quelle aziende che sono impossibilitate per una serie di ragioni ad adempiere agli obblighi di assunzione, forme di promozione del lavoro protetto, per cui (con varie formule stabilite dalle leggi di ciascun Paese) l’azienda diventa di fatto committente per un soggetto esterno che impiega persone con disabilità.
Si tratta di una modalità attraverso la quale le persone con disabilità riescono a collocarsi sul mercato del lavoro, per quanto si tratti di un mercato “protetto” e dunque separato. La modalità del lavoro protetto risulta particolarmente rilevante in alcuni Paesi e per alcune forme specifiche di disabilità; in Spagna, in Germania e Francia esiste una tradizione molto forte in questo senso, e in tutti i casi si tratta di una soluzione particolarmente frequente per le persone con disabilità mentale.
Pertanto, in riferimento allo specifico tema del diritto al collocamento obbligatorio negli altri paesi europei rileviamo che i cittadini provenienti dagli stati UE possono iscriversi alle liste speciali del collocamento obbligatorio in Italia se in possesso dei requisiti e dei documenti previsti per i cittadini italiani.

Riteniamo che per analogia, la persona con disabilità italiana per poter usufruire del collocamento obbligatorio in un altro  paese della Unione Europea, o anche al di fuori dell’Unione Europea, debba essere in possesso dei requisiti e dei documenti richiesti da quel paese e che pertanto l’accertamento della invalidità ottenuto in Italia non possa essere  valido per il collocamento all’estero, proprio in considerazione del fatto che ogni singolo paese dispone di uno specifico  sistema per attuare il collocamento delle persone con disabilità.

Normativa di riferimento
Legge 12 marzo 1999, n. 68: “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.