Pluriclasse, TAR e Comune

PER LA PLURICLASSE IL TAR DA’ RAGIONE AL COMUNE

di Gian Carlo Sacchi

La legislazione che ha introdotto l’autonomia delle istituzioni scolastiche portava con sé una serie di disposizioni relative al decentramento delle competenze in materia di istruzione dallo Stato alle Regioni ed agli EELL; era il periodo in cui la valorizzazione delle autonomie territoriali sembrava essere l’obiettivo di una deburocratizzazione del sistema e per una maggiore responsabilizzazione delle realtà locali in merito alle esigenze delle diverse comunità, con particolare riferimento a quelle più fragili che dalla scuola si aspettano un sostegno alla qualità della vita ed allo sviluppo del territorio stesso.

Regioni ed EELL sono entrate a pieno titolo nella programmazione del servizio, insieme al parere obbligatorio delle scuole per la modifica della loro struttura istituzionale. La rete scolastica diventava di competenza dei territori, mentre le risorse per il suo funzionamento, in particolare l’assegnazione del personale, rimaneva di competenza statale, sia sul piano economico in termini di posti, sia sulle modalità per la loro distribuzione. La Conferenza Stato-Regioni doveva trovare un’intesa, che non sempre è stata trovata, per la composizione degli organici, mentre tra Ministero e sindacati si doveva provvedere al riempimento delle caselle nelle varie scuole, in modo che ci fosse un’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale.

Una rete scolastica che aveva molti vincoli, a monte, per quanto riguarda la consistenza dei diversi istituti autonomi, e a valle circa il numero degli addetti da assegnare. Un’affermazione di autonomia piuttosto aleatoria, perché la scelta avveniva sul quale e non sul quanto che restava saldamente ancorato al bilancio dello Stato, ed anche se le Regioni potevano aggiunger risorse proprie restò impossibile incidere sulle modalità organizzative per far valere, come era invece nell’ispirazione di quella legislazione, le diverse esigenze locali. E’ da circa un ventennio che è aperto un contenzioso, che ogni anno si rinnova, tra gli uffici dell’amministrazione scolastica, che vedono il problema dal punto di vista finanziario e delle prerogative autorizzative, ed i comuni che guardando alle esigenze della cittadinanza e si appellano alle regioni per far valere le istanze del territorio considerando la loro prerogativa nella definizione della rete scolastica.

Agli inizi del secolo la Corte Costituzionale aveva espresso l’avviso che le regioni fossero coinvolte nell’assegnazione del personale, ma non se ne fece nulla e nessun altro provvedimento, come ad esempio la legge sui piccoli comuni, che prevedeva un apposito piano per la scuola in aree montane, potè scalfire le prerogative sindacal-ministeriali; ogni anno un decreto interministeriale cercava di adeguare le decisioni amministrative alle richieste dei territori, ma una volta decretato deve essere così per tutto il Paese, senza contare i cambiamenti che si possono determinare a seguito dello spostamento della popolazione, alle scelte di indirizzi didattici, nonché alle condizioni di disagio di particolari realtà a rischio di abbandono.

Anche quest’anno il ministro Bianchi sembrava aver raggiunto un buon accordo con la conferenza delle Regioni sul mantenimento dei posti a fronte del decremento demografico, delle aree interne, considerando il fabbisogno per progetti o convenzioni di particolare rilevanza didattica e culturale. Tutto questo però non basta se non c’è una compartecipazione alla previsione di organico, magari pluriennale, con margini di adeguamento alle esigenze delle realtà che cambiano e soprattutto sono diverse nei territori: quindi le tensioni rimangono.  Un tentativo in tal senso fallì, così come furono tentate inutilmente sperimentazioni di organici di istituto.

La normativa dunque non cambia e nonostante venga continuamente proclamata l’importanza della scuola nel territorio non si ha il coraggio di togliere di mezzo i maggiori vincoli che allo stesso tempo impediscono proprio il raggiungimento dell’obiettivo. Come avviene in altri settori quando la politica non vuole intervenire, scendono in campo i tribunali. 

Una pluriclasse assegnata dall’Ufficio Scolastico Territoriale ad una scuola media della provincia di Piacenza è stata annullata da una sentenza del Tar. Tra i ricorrenti, oltre ad una famiglia, c’è anche l’Amministrazione Comunale che è riuscita a far sentire la propria voce in una decisione dalla quale i Comuni sono semprestati esclusi.

Si sa che la formazione delle classi è una prerogativa dell’amministrazione scolastica; il ministero dell’istruzione emana un’ordinanza che regolamenta l’organizzazione dei gruppi-classe sulla base delle iscrizioni a quel determinato tipo di scuola. Tale normativa, com’è noto, è calibrata sugli organici dei docenti autorizzati dal ministero dell’economia, che cala sui territori come una coperta sempre corta, facendo spesso litigare i genitori, gli amministratori, i sindacati; una modalità legata alla spesa pubblicain modo abbastanza rigido, che impone un criterio numerico, tenendo scarsamente conto, come si è detto, delle esigenze del territorio e che produce da un lato accorpamenti di alunni di età diverse e dall’altro le così dette classi pollaio, con numeri che a volte vanno ben oltre quegli stessi previsti, ma che non riescono a rientrare nei limiti di spesa.

Nei comuni di montagna la normativa prescrive la costituzione di classi con un numero di alunni non inferiore a 10 e pertanto anche in considerazione dell’insufficienza dell’organico assegnato alla provincia, viene costituita una pluriclasse: nel caso specifico gli iscritti in prima e seconda media erano 8 e quindi una pluriclasse di 16 alunni.

Oltre al merito dell’operazione interessanti sono i principi enunciati dal TAR: in primis si considera il Comune un “ente responsabile della comunità”, niente di nuovo se non fosse che per la materia qui considerata non aveva mai avuto voce in capitolo, anzi, prendendo atto delle disposizioni statali doveva poi adoperarsi per garantire le necessarie risorse strumentali per il buon funzionamento della pluriclasse. Il TAR ha ribaltato il punto di vista, se il Comune ha motivato le diverse iniziative messe in campo per il miglioramento della scuola lo Stato avrebbe dovuto tenerne conto, autorizzando classi separate: il ricorso è ritenutofondato.

In secondo luogo vengono evidenziate dai ricorrenti le criticità derivanti dalla conduzione di due classi accorpate, che il tribunale accoglie, decretando l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, in quanto la valutazione della scelta di attivare la pluriclasse risulta “illogica” perchè non ha “correttamente valutato i diversi interessi pubblici in gioco, in primis quello degli alunni a ricevere una formazione differenziata ed adeguata ai propri livelli”. 

Il pensiero pedagogico è andato oltre alla tradizionale formazione impartita in aula, normalmente per classi di età;  con una didattica aumentata dalle tecnologie la diversa organizzazione dei gruppi a volte risulta una ricchezza, ma è la normativa che dovrebbe aprire le scuole a diverse modalità organizzative, anche oltre la classe, e l’organico andrebbe tarato sul piano dell’offerta formativa, lasciando alle scelte didattiche, che com’è noto vengono discusse con le realtà del territorio, comune compreso, ed assegnato all’istituto e non alle singole classi. La norma amministrativa richiama la valutazione dello stato di necessità e delle condizioni particolarmente disagiate, il che da un lato va oltre la pura considerazione dei numeri e dall’altro potrebbe aprire la strada alla voce degli enti locali, così come indicato dalla predetta sentenza della Corte Costituzionale.

Ancora il TAR rileva che proprio in periodo di pandemia l’amministrazione scolastica avrebbe dovuto agire in modo prudente mantenendo separate le classi, in considerazione del fatto che poteva rendersi necessario il ricorso alla DAD e “tale strumento di insegnamento risulta particolarmente difficile nel caso di pluriclasse, atteso il fatto che i singoli alunni hanno bisogni formativi del tutto diversi…… (oltre) ad assicurare l’applicazione di misure di distanziamento”. Anche sul fronte della pandemia le scuole di montagna avrebbero potuto costituire un rifugio sul piano climatico e per la costruzione di comunità scolastiche più omogene e facilmente isolabili, al punto che in alcuni borghi si è vista incrementare la popolazione residente, e questo avrebbe potuto avere la scuola alleata nella vita culturale del territorio (civic center). Quanto lo stesso ministero con una mano cercava di dare per alleviare il disagio, con l’altra  toglieva risorse sul piano della sopravvivenza delle scuole e del funzionamento delle classi.

E’ molto probabile che la sentenza comparirà in appello davanti al Consiglio di Stato, ma intanto è stata aperta una finestra su ciò che diverse regioni intendono realizzare nell’ambito del regionalismo differenziato. Altre amministrazioni locali potrebbero seguire l’esempio di questo Davide che ha avuto l’ardire di combattere contro Golia, aprendo la strada a molti altri che in Italia richiedono una modalità per organizzare l’attività didattica più rispettosa dell’autonomia delle scuole e delle loro collaborazioni con le realtà del territorio.