La Russia per amore
di Antonio Stanca
La prima edizione in lingua russa risale al 1936, la prima in lingua italiana al 1992 e tempo fa è stata ristampata per la serie settimanale “I Libri della Domenica” promossa da “Il Sole 24 ORE”. Era il racconto Roquenval della scrittrice Nina Berberova nata a Pietroburgo nel 1901 e morta a Filadelfia, in Pennsylvania, nel 1993 a causa delle complicazioni seguite ad una caduta.
La Berberova iniziò a scrivere poesie quando aveva sedici anni, una volta matura sarà autrice di romanzi, racconti, saggi e libri di memorie. Fino a ventunanni vivrà tra Pietroburgo e Mosca, compirà gli studi superiori nella città natale e per un certo periodo frequenterà la Facoltà di Lettere nell’Università della capitale. Intanto si farà notare negli ambienti culturali del momento e qui conoscerà il poeta Chodasevič che poi sposerà. Nel 1922, dopo vari spostamenti, i due lasceranno la Russia per Berlino, saranno in seguito a Praga, Venezia, Roma, Parigi ed infine a Sorrento dove rimarranno fino al 1925. Qui avverrà la fase più importante della formazione della Berberova poiché starà a contatto con Maksim Gor’kij e con gli intellettuali russi che frequentavano la sua villa. Sarà soprattutto Gor’kij ad influenzarla, sarà lo spirito sempre creativo del noto autore russo a suscitare nella giovane Berberova l’interesse, la passione per la produzione letteraria. Questa si manifesterà in lei e continuerà con una frequenza sempre crescente quando marito e moglie si trasferiranno a Parigi e vi rimarranno dal 1925 al 1938. Qui la Berberova continuerà la sua collaborazione, già iniziata in altri posti, con riviste dell’emigrazione russa. Su queste oltre ai saggi compariranno i primi racconti. Produrrà pure i primi romanzi ma minore è il successo di questi rispetto ai racconti.
Nel 1938 la scrittrice, che ha lasciato Chodasevič nel 1933, trasloca col secondo marito nella periferia di Parigi e qui continua a scrivere aggiungendo ai generi di prima anche quello memorialistico. Nel 1950 la Berberova, che nel 1947 si è separata di nuovo, si reca negli Stati Uniti e dopo un certo periodo di disagio ottiene d’insegnare nell’Università di Yale e poi in quella di Princeton. Scrive altri romanzi tra i quali il più noto, Il corsivo è mio, del 1969.
Dovrà, tuttavia, giungere il 1985 perché abbia pieno successo, diventi famosa. Sarà l’editore francese Hubert Nyssen della casa editrice Actes Sud a promuovere, far conoscere le sue opere. E non solo in francese saranno tradotte da quel momento ma anche in molte altre lingue. Quando, nel 1993, la Berberova morirà a Filadelfia si dirà di lei come di una scrittrice tra le più importanti della letteratura sovietica anche perchè, nonostante fosse vissuta lontano dalla Russia, gli ambienti, i personaggi di tante narrazioni erano sempre risultati collegati col suo paese d’origine, le vicende da esse contenute avevano sempre richiamato altre successe in Russia.
L’attrazione, la nostalgia, l’amore per la sua terra non finiranno mai nella Berberova e pure nel racconto Roquenval si ha l’impressione di riscoprire parte della sua vita. In esso il ragazzo Boris e la sua famiglia, i genitori ed una sorella, dopo quattro anni di peregrinazioni in Russia e due in Europa, nel 1926 si stabiliscono in Francia. Lui ha quattordici anni, il padre muore, la sorella si sposa e Boris rimane solo con la madre. Compie gli studi superiori e tra i compagni si lega a Jean-Paul, giovane rampollo di un’antica, aristocratica famiglia francese.
Dopo la maturità Jean-Paul invita Boris a trascorrere insieme le vacanze nel castello della nonna contessa a Roquenval. Boris sogna di diventare uno scrittore e sogna pure di rivedere quella Russia che ha lasciato da bambino e della quale gli sono rimaste nella memoria solo vaghe immagini, alcune legate ai libri di scrittori russi letti durante l’infanzia. Una volta giunto al castello crederà che quelle immagini prendano corpo nella maestosa architettura dell’edificio, nelle immense sale che lo costituiscono, nei viali d’alberi, nei boschi, nei ruscelli che lo circondano, crederà di vivere i tempi, i luoghi della patria vista o letta prima di abbandonarla e nella quale sa di non poter più tornare. L’incanto che vive aumenta quando viene a contatto con persone quali la nonna di Jean-Paul, la contessa, che è russa e che con Boris si ferma a parlare. Sta vivendo ora quanto non gli sarebbe stato mai possibile. Ma presto dovrà pure sapere che quello era un mondo in difficoltà, che la crisi incombeva su quelle persone e sulle loro cose poiché cambiati, finiti erano i tempi della ricca aristocrazia terriera. Questa, in Francia e ovunque, non aveva più i mezzi per sostenersi, era destinata a scomparire, a lasciare il posto all’emergente borghesia. Anche nella famiglia di Jean-Paul si avvertivano i segni di tale declino, anche in essa c’erano casi difficili, un fratello del padre, una figlia della zia erano da tempo fuggiti da casa per cercare fortuna. Ma pure chi era rimasto, specie i più giovani come Jean-Paul, era preoccupato della situazione e del proprio futuro. Dall’ambiente, dagli incontri, dagli scambi che avvengono nel castello ci si accorge che sta per finire l’altezza di quel mondo, delle sue regole, dei suoi principi, che un altro sta succedendo e tale momento di passaggio coglie la Berberova tramite il suo Boris. Tramite il ragazzo esprime, la scrittrice, l’affetto, l’amore per quel che rimane e che la riporta alla sua vecchia Russia ma anche il rammarico, il dolore per quanto scompare. Due sono i motivi che percorrono la narrazione, la scoperta e la perdita, e se il primo avvicina il racconto a tante altre opere della scrittrice il secondo lo distingue da esse e lo rende unico nella sua vasta produzione.
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