La dislessia è scritta anche nei geni

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La dislessia è scritta anche nei geni
Focus del 25/10/2022

C’è un nuovo importante studio sulla genetica della dislessia. Individuate 42 varianti genetiche che sembrano influire sul rischio di soffrire di dislessia (ma che non bastano, da sole, a spiegarla).

Rappresentare mentalmente parole e suoni: una delle fatiche di chi soffre di dislessia. Shutterstock.

EDINBURGO. Il più ampio studio mai condotto finora sulle basi genetiche della dislessia ha individuato 42 varianti nei geni che potrebbero influenzare il rischio di soffrire di questo disturbo.

La dislessia, un’inattesa difficoltà nella lettura in bambini di intelligenza normale, è il più frequente tra i disturbi specifici dell’apprendimento e il più presente tra gli alunni delle scuole italiane. Si stima in Italia, la dislessia interessi tra il 2 e il 4% della popolazione, ma i numeri non sono precisi, perché in età scolare, questo disturbo sfugge spesso alle diagnosi (per approfondire: quello che sappiamo, finora, sulla dislessia). Da tempo si ipotizza che questo disturbo si basi – anche – su una predisposizione genetica e il nuovo studio, pubblicato su Nature Genetics, ha voluto indagare più a fondo.

In cerca di risposte. Gli scienziati guidati da Michelle Luciano, psicologa dell’Università di Edimburgo, hanno condotto uno studio di associazione sull’intero genoma su 1,1 milioni di adulti principalmente di origine europea, 51.000 dei quali avevano ricevuto una diagnosi ufficiale di dislessia. Questo metodo di indagine consiste nel cercare le varianti genetiche associate a una determinata malattia nell’intero genoma di molti individui, mettendo a confronto il DNA di persone sane con quello di persone che ne sono affette.

Ecco che cosa vede un dislessico quando legge. Daniel Britton, un designer inglese cui da adulto è stata diagnosticata la dislessia, ha disegnato questo font per far capire quello che vede un dislessico quando legge. Ecco invece (dal libro di Francesca Magni Il bambino che disegnava parole) la descrizione che fa Beatrice, dislessica, della sua percezione: «Quando leggo le parole mi rotolano davanti, come pietre durante una frana. Non saprei come spiegarmi meglio. Oggi le so acchiappare al volo e metterle in ordine dando un senso, ma da bambina è stata durissima». © Daniel Britton

Alterazioni significative. L’analisi ha permesso di trovare 42 varianti genetiche che tendono a differenziare chi soffre di dislessia da chi non ne è affetto. Maggiore è il numero di varianti di questo gruppetto presenti nel proprio corredo genetico, più alto è il rischio di avere la dislessia. Nessuna di esse è determinante perché, come ha spiegato al New Scientist Michelle Luciano, la dislessia «è una condizione complessa che come tale è influenzata da molti geni, ognuno dei quali da solo ha un effetto molto piccolo sull’aumento della predisposizione genetica alla malattia».
Non è neanche corretto dire che queste alterazioni causano la dislessia. Piuttosto, nelle persone che le recano nel DNA, possono rendere più probabile che si presenti, per esempio in determinate condizioni di apprendimento. Chiarisce Luciano: «Quando si pensa alla genetica, la prima cosa che si potrebbe credere è che sia qualcosa di immutabile, di fisso, mentre sappiamo che non è così. I geni operano all’interno dell’ambiente, e quindi l’ambiente è un fattore molto importante da considerare».

Punti di contatto. Un terzo delle varianti trovate era già noto ai ricercatori, perché legato all’ADHD, il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività che comporta problemi di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività.
Le altre varianti sono meno conosciute, anche se alcune sono state associate a una più bassa soglia del dolore o all’ambidestria.
Un’ipotesi è che queste varianti genetiche comportino un’alterazione del neuro-sviluppo, che potrebbe influenzare la connettività neurale e dar luogo alla dislessia e alle altre condizioni citate. La ricerca sui fondamenti genetici della dislessia è comunque ancora all’inizio: un giorno, scoperte come questa potrebbero condurre a test genetici che identifichino le persone più predisposte a svilupparla, e consentire interventi di supporto precoci.

di Elisabetta Intini