M. Santagata, Come donna innamorata

Santagata, ancora Dante

di Antonio Stanca

   Per conto di Guanda è recentemente comparsa una nuova edizione di Come donna innamorata, un romanzo di Marco Santagata che risale al 2015 e che quell’anno era stato finalista al Premio Strega.

   Santagata è nato a Zocca, in provincia di Modena, nel 1947 ed è morto a Pisa nel 2020. Accademico noto a livello internazionale per i suoi studi sulla poesia classica italiana, in particolate Dante e Petrarca, aveva pure studiato altri autori della storia letteraria d’Italia e molti romanzi aveva scritto. A questi erano stati assegnati premi di rilievo. A volte si erano mostrati impegnati a ricostruire avvenimenti, personaggi del passato letterario più remoto; le qualità dello studioso, del critico si erano combinate con quelle dello scrittore. Così in Come donna innamorata dove Santagata ripercorre, nei modi di un romanzo, la vita di Dante Alighieri e la storia del suo rapporto con Beatrice Portinari, la famosa “donna angelo” che avrebbe ispirato la fase stilnovista della sua poesia e il cammino compiuto ne La Divina Commedia per giungere a lei in Paradiso.

   Molto chiaro e molto agile è il linguaggio del Santagata, con facilità procede tra le tante situazioni che si erano verificate nella vita di Dante, tra i tanti problemi pubblici e privati che aveva vissuto, tra il rapporto con Guido Cavalcanti e quello altrettanto difficile con le autorità fiorentine, con le diverse fazioni politiche che a Firenze si erano formate, tra la volontà di far trionfare la giustizia, la legalità, di operare per la rinascita della città e la delusione per non vederle realizzate, tra l’esilio e l’indigenza della famiglia, moglie e quattro figli, tra le aspirazioni letterarie e la triste condizione della sua vita errabonda, della sua solitudine. Tutto dice di Dante il Santagata nel libro, si muove tra realtà e invenzione e questo gli permette di arricchire, colorare la figura dell’Alighieri. Mostrandolo tra tanti problemi lo riporta ad una condizione più modesta, più umana, lo fa assomigliare ad uno degli artisti moderni, quelli che rimangono esclusi dal contesto sociale perché diversi e si adattano alle peggiori condizioni di vita pur di coltivare, perseguire le loro aspirazioni, applicarsi alla loro opera. Come questi anche il Dante del Santagata ha tanto sofferto ma non ha mai smesso di ascoltare la voce dell’anima, di pensare alla sua scrittura. Beatrice lo aiuterà a realizzare i suoi progetti artistici, sarà la sua musa ispiratrice, il coronamento dei suoi sogni, il trionfo delle sue battaglie. Non tanto la Beatrice vera, concreta quanto quella ideale, astratta. Per Dante lei diventerà il simbolo della bellezza unica, assoluta, trascendente, della luce che vince le tenebre, salva dai pericoli e conduce alla purezza, all’arte, alla poesia. È questo il percorso che Dante dice di aver compiuto grazie a Beatrice: si è liberato dalla materia ed è approdato allo spirito. La sua opera, in particolare La Divina Commedia, è stata un processo di purificazione dal male che aveva patito nel mondo, di liberazione dai problemi della vita. In essa li avrebbe ripercorsi ma nella posizione del giudice illuminato, guidato, avrebbe fatto giustizia, quella vera, sarebbe giunto dove non gli era stato mai possibile e Beatrice sarebbe stata la sua guida, il migliore completamento del suo viaggio, l’approdo finale, l’avrebbe identificata con la divinità.

   Una buona idea ha avuto il Santagata e bene è riuscita questa sua opera. Permette di sapere di situazioni, personaggi che spesso rimangono ignorati dalla storia, dalla letteratura ufficiale e che, tuttavia, hanno avuto la loro importanza. Ad entrambi gli aspetti della cultura, il maggiore e il minore, ha voluto far posto l’autore, tra essi ha voluto dividersi, facile ha voluto mostrarsi.