Gestire il merito all’interno dell’inclusione

Gestire il merito all’interno dell’inclusione

di Rita Manzara

Cosa significa “meritare”?

Il verbo in questione riporta le persone della mia generazione ai tempi dell’infanzia (se non addirittura dell’adolescenza) quando, se volevi ottenere qualcosa (un oggetto, un permesso, ecc.) dovevi prima fare qualcos’altro.

Spesso non si trattava di un “momento”, di un singolo risultato o fatto, ma di un percorso la cui durata serviva a garantire all’adulto (genitore, insegnante) che tu avevi preso coscienza della necessità di impegnarti per superare difficoltà e/o acquisire nuove capacità.

Anche se questi comportamenti sono ancora presenti in alcune famiglie, non è semplice tradurli in modo diffuso all’interno dell’attuale contesto sociale dove – nonostante i problemi economici –  tende a predominare il “tutto e subito”, dove non si ha il tempo di desiderare, di aspettare e – perché no? – di sognare.

Al giorno d’oggi, una strada per “produrre merito” potrebbe essere quella di incanalare l’energia  – che un tempo faceva da motore all’ “impegno per avere” –  nell’ “impegno per diventare”.

In questo senso, giocando sull’autostima, il merito è rappresentato dal saper portare a termine una sfida calcolata sulle proprie potenzialità.

Per realizzare tale obiettivo il compito della scuola dovrebbe consistere nel portare ogni minore a realizzare la migliore versione di sé sfruttando le proprie competenze personali.

Considerando, tuttavia, che non siamo tutti uguali, la valutazione del merito non può rapportarsi a standard predefiniti, ma deve essere applicata ad ogni situazione in cui viene posto in atto uno sforzo finalizzato al miglioramento.

In altri termini, “merito” non può essere – quantomeno nella scuola – sinonimo di “eccellenza”.

Il merito non deve generare insani paragoni che mettono a confronto soggetti con diverse connotazioni personali e sociali, né operare distinzioni tra “deboli” e “forti”, creare élites, scatenare rivalità.

Meritare significa – per tutti – perseguire efficacemente il proprio obiettivo di vita sin dalle prime fasi dell’età evolutiva, in un ambiente di apprendimento che usa lo strumento della valorizzazione come “premio” atto a rinforzare la conoscenza e la sicurezza di sé.

Queste affermazioni vanno poste in relazione con l’inclusione scolastica, che richiede di mettere qualsiasi soggetto in condizione di individuare progetti/percorsi di vita coerenti con le sue potenzialità e in linea con le prospettive future.

La scuola non può, quindi, inquadrarsi in una “logica di mercato” che impone di selezionare talenti in un contesto di disuguaglianze sociali.

La sua funzione, infatti, è quella di portare avanti un discorso di promozione rivolto a tutti, non basato su un’inesistente “uguaglianza” ma finalizzato ad individuare un posto per tutti nella società del domani.

È comunque necessario sottolineare che l’azione inclusiva dell’Istituzione Scolastica non può essere efficacemente compiuta in mancanza di riscontro effettivo sul piano delle politiche sociali, che devono essere svincolate da stereotipi per supportare le azioni educative condotte a livello individuale e collettivo.