“La mia laurea è inutile Mi sono iscritta all’Its”

da lastampa.it

“La mia laurea è inutile Mi sono iscritta all’Its”

Marina, 31 anni: “Facevo la ricercatrice, ora torno tra i banchi”
flavia amabile

roma

Chissà a quale categoria dei tanto citati e discussi «gggiovani» appartiene Marina Franco, 31 anni, una laurea in chimica alla Sapienza a Roma e poi una borsa di studio vinta per partecipare ad un dottorato in «Chimica analitica e dei sistemi reali». Ha partecipato fino alla fine, ha iniziato anche la sua carriera all’università come ricercatrice. Sei mesi da precaria senza uscita, quando ha capito si è sfilata dalla casella in cui era finita e, come in un gioco dell’oca dalle regole rovesciate, ha scelto di non andare avanti ma di tornare indietro e di sedersi fra i banchi di chi ha anche più di dieci anni di meno e all’università non è mai andato e mai ci andrà. Ma troverà lavoro.

 

È il popolo degli Its, gli Istituti tecnici specializzati nati nel 2008 ma andati davvero in funzione due anni fa con la promessa di dare una formazione superspecializzata e poi un lavoro. Ce ne sono 59 in tutt’Italia, ognuno ha la propria area tecnologica, dalla moda alla nautica all’efficienza energetica o alla mobilità sostenibile. Due soli Its in tutt’Italia formano i futuri esperti nelle nuove tecnologie della vita, uno in Lombardia, l’altro a Pomezia, alle porte di Roma.

 

Marina Franco ha ricominciato da qui a rincorrere i suoi sogni. La vita, no, quella corre comunque a dispetto di chi sostiene che i giovani si fanno mantenere da mamma e papà e che non hanno voglia di fare nulla. Al mattino va ad insegnare in una scuola superiore, supplente precaria – ma i prof di chimica sono abbastanza richiesti -, tutto sommato il lavoro non le manca. «Ma non è il mio sogno nel cassetto», racconta. Il sogno è la chimica, la ricerca, i laboratori, che stavano per diventare una chimera se fosse rimasta a aspettare chissà che cosa tra le file dei ricercatori. E che invece dal prossimo anno potrebbero diventare qualcosa di concreto già dal prossimo anno quando Marina terminerà l’Its e i due anni di studi previsti, pari a duemila ore di lezione di cui almeno 1800 sono obbligatorie altrimenti si viene respinti. Lezioni pomeridiane, Marina dalla cattedra passa ai banchi nel giro di un’ora. In aula dalle 14,30 alle 19 dal lunedì al sabato (di mattina, però) tra lezioni in italiano e in inglese, esperimenti, provette, stage. E poi a casa ad occuparsi della famiglia. Ha una figlia di 15 mesi, un marito e un secondo bebè in arrivo. «Non credo che non si trovi lavoro, chi rimane fermo non ottiene molto, non è che il lavoro scenda dal cielo», spiega.

 

E quindi va bene anche tornare indietro perché il 2011 quando si è trovata con l’università che non aveva fondi per rinnovarle il contratto di dottorato e le aziende poco disposte a assumere un laureato con tanta teoria e quasi nessuna pratica ha capito che non aveva scelta, poteva salvarla solo un Its.

 

Un pensiero che stanno avendo in tanti. Il Miur ha affidato al sito Skuola.net il compito di raccontare questi istituti in rete attraverso dei video. Alla fine dell’inchiesta Daniele Grassucci, cofondatore del sito, spiega: «La reazione più comune è: “Se avessi saputo della loro esistenza ne avrei fatto uno anche io”».

 

È anche per questo motivo che l’Italia scivola sempre più lontana dagli obiettivi europei, che vogliono per il 2020 laureato il 40% della popolazione di età 30-34 anni mentre noi rimaniamo fermi al 20%, contro il 37% nel complesso dei Paesi Ocse. Ed è anche per questo motivo che sono sempre meno numerosi i giovani che si avvicinano al mondo universitario. In parte è colpa del calo demografico, in parte della crisi economica e della diminuzione degli immatricolati in età più adulta, ma soprattutto del senso di inutilità di cinque anni di studio, della percezione che si stanno buttando via soldi e tempo.

 

In classe con Marina in tanti hanno abbandonato l’università. Come Veronica Aprile, 20 anni, si era iscritta a Giurisprudenza ma ci è rimasta pochi mesi, quanto bastava per capire di non avere alcun futuro lì.. «Mi sono resa conto che l’università è una specie di metropolitana: tanta gente di passaggio e c’è chi scende e chi sale. Io sono scesa».