La “normale” emergenza nella scuola post covid

La “normale” emergenza nella scuola post covid 

di Mariacristina Grazioli

                                           In ricordo di Barbara Bussoli 

L’innovazione distingue un leader da un seguace. Steve Jobs

Può apparire strano o addirittura irriverente iniziare un ragionamento sulla scuola dell’oggi con un dato eversivo tratto dall’Osservatorio suicidi, ma tanto vale chiarire bene il termine “emergenza”, osservando la “derivazione dell’emergere” (p.p. emersa, ciò che affiora, che esce dall’acqua). E la derivazione è questa: in Italia ogni 16 ore una persona si toglie la vita. Tra gli adolescenti si osserva un aumento del 75% di questi comportamenti; in pandemia (due anni) è registrato un aumento del 60% di condotte autolesioniste.  L’età media è 15 anni. Nel 2018-2019 gli interventi in Pronto Soccorso per tentativi sono 469. Nel 2020-2021 gli interventi in PS per tentativi salgono a 752[1].

Pare indiscutibile dovere parlare di emergenza. Ma prendiamo a prestito la parte botanica del termine “derivato” e consideriamo l’emergenza, come la “spina nella rosa”..

Sappiamo che l’adolescenza è l’età ingrata, ma rappresenta anche l’età trasformativa e straordinariamente produttiva: si è in uno stato adolescenziale quando c’è una spinta prepotente alla crescita e, per ciò stesso, al “nutrimento”. Tra i 12 e 18 anni, sono spesso spine: emergenze di vita vissuta nel preciso scopo di camminare lungo il personalissimo percorso di evoluzione verso il sé. Le ragazze e i ragazzi, come le rose più belle, non possono dissociarsi dalla proprie derivazioni, tanto che, in quanto adolescenti, abitano le emergenze del quotidiano come collocazioni abituali e rivivono questo continuo “uscire dell’acqua” (le sfide) come un comportamento essenziale per la crescita e la maturazione della consapevolezza. Nel periodo pandemico l’adolescenza, ma soprattutto l’infanzia adolescentizzata, si è scontrata con un’altra emergenza, quella dell’isolamento e della deprivazione. Le scuole sono state chiuse; i rapporti sociali si sono rarefatti nel chiuso degli accessi ad internet. La DAD e la DDI sono diventate necessità sostanziali, ossia una necessaria normalizzazione dell’emergenza sanitaria.

Fortunatamente oggi le scuole sono aperte. La scuola in presenza conta numeri considerevoli: 8.157 istituzioni scolastiche statali e 51.188 plessi scolastici – 7.399.241 studenti e 374.740 classi.  Più di 1,2 milioni di operatori della scuole tra Dirigenti scolastici, personale ATA e Docenti, impegnati quotidianamente nell’erogazione dei servizi scolastici, di cui 900 mila a tempo indeterminato e 300 mila a tempo determinato. Si aggiungono a questo esercito pacifico le Scuole paritarie. “La scuola italiana, grazie al sistema di regole di cui si è dotata e al grandissimo senso di responsabilità di tutte le componenti della comunità educativa (gli studenti e le loro famiglie, i dirigenti scolastici, il personale docente e ATA, il personale del Ministero nel suo complesso), cui va la nostra gratitudine, ha dimostrato ancora una volta di essere capace di affrontare i problemi e le sfide che derivano da questo difficile momento di pandemia. La scuola merita la fiducia del Paese”. E ancora: “La scuola come riferimento di stabilità sociale per il sistema Paese”. La scuola rappresenta un presidio sociale irrinunciabile per l’intero Paese. È il luogo educativo che consente lo sviluppo cognitivo, affettivo e psicomotorio delle nuove generazioni, il luogo centrale al quale consegniamo il futuro della nostra società. Grazie al regolare funzionamento del sistema scolastico in presenza, quindi, non solo si contribuisce allo sviluppo futuro del paese ma si garantisce anche il corretto funzionamento dell’attuale sistema economico e sociale”.[2]

 E’ evidente che la notizia dell’“apertura delle scuole” rappresenta la straordinaria normalità o la normalizzazione della straordinarietà. L’ incrocio di queste due evidenze – quella dell’avanzare del disagio tra la giovani generazioni e la Scuola finalmente aperta – ci assegna un compito importante, ossia descrivere un focus ragionato sulle caratteristiche degli istituti scolastici e sulla scuola in generale, in questa fase post pandemica. Nell’ambito dei paradossi e degli ossimori dove l’emergenza è la nuova normalità, indagare su un istituto scolastico non significa parlare di scuola.  Prendiamo per esempio le notizie o gli articoli che si basano su eventi o dati di istituti scolastici. Dove emerge il senso della scuola? Va ricordato che quel senso c’è eccome, ed è radicato nella stessa Costituzione (di cui ci ricordiamo purtroppo solo per i momenti celebrativi o quando è sotto attacco). Abbiamo visto tutti la banalizzazione dell’investimento delle sedie con le rotelle, la “scandalizzazione” degli arredi vecchi (tradizionali) gettati nei cassonetti, ed ora l’oblio della vicenda; quindi abbiamo assistito a pensieri non critici, ma opinioni sulle opinioni. In effetti lo stratificarsi delle opinioni, soprattutto del “dato emotivo” lanciato alla grande piazza magmatica del web, può perfino ritornate come un boomerang ed apparire una notizia concreta. Negli ultimi due anni tutti hanno parlato di scuola. Chiunque ha contribuito al dibattito sociale con almeno una opinione. Una domanda tra tutte: per scrivere di scuola, bisogna conoscere la scuola? E quali sono le concretezze su cui lavorare in un comune intento di tessitura delle nuova società post pandemica? 

E’ in atto un movimento culturale profondo che sta investendo i vari istituti scolastici e ha preso il via proprio dalle nuove necessità e istanze, collegate alla riflessione sulle evidenti urgenze. In tal senso vale la pena circoscrivere alcune aree su cui gli Istituti, oggi in fase post pandemica, sono chiamati ad impegnarsi. E ciò al fine di sostenere le opinioni, non certo per indirizzarle, e magari, contribuire alla costruzione di un pensiero critico proto-scientifico che conosca gli elementi essenziali dei ragionamenti sull’educazione degli addetti ai lavori, a garanzia del comune traguardo a favore delle giovani generazioni.

a. Il tema dei ritiro sociale e i segnali nel contesto scolastico.

 L’esperienza dei servizi e la letteratura ci portano a dire che nella comunità scolastica è possibile intercettare i prodromi del futuro ritiro sociale, osservando nel gruppo classe i ragazzi: – troppo silenziosi, poco partecipativi nelle attività di gruppo, tendenzialmente evitanti i momenti di socializzazione e posizionati ai margini dei fenomeni di aggregazione spontanea (intervallo, momenti di entrata/uscita a/da scuola, attività sportive, gite…), evidentemente a disagio nell’esporsi in situazioni di contesto allargato come le interrogazioni orali e le attività di scienze motorie, – con frequenti assenze scolastiche, anche discontinue, apparentemente “strategiche” nei giorni di interrogazione o di attività fisica; assenze che si fanno notare per la motivazione vaga o perché giustificate da problemi di salute apparentemente non così gravi da essere un reale impedimento alla frequenza, – che intrattengono rapporti solo con uno o due compagni di classe, a volte semplicemente per tenersi in pari con le lezioni, con contatti tendenzialmente poco frequenti o che si diradano nel tempo, – i ragazzi assenti anche nelle occasioni in cui la classe si dà appuntamento al di fuori della scuola[3]. La scuola ha un compito di prevenzione selettiva e prevenzione universale: nel primo caso attua azioni di sistema per osservare il fenomeno; nel secondo caso si prede cura dell’ambiate di vita di studenti e docenti con azioni proattive i sviluppo del benessere. Il focus delle azioni professionali deve essere oggetto riflessioni attente e personalizzate, finalizzando gli interventi alla competenze sociali. Quotidianamente le scuole operano lungo queste piste di lavoro e sono dotate di strumenti operativi mirati, quali sportelli di ascolto, formazione al benessere, progetti per la salute e la socializzazione, attività con educatori, valorizzazione di attività ludiche predilette e inserimento in specifici gruppi di pari, partecipazione a eventi sportivi/musicali specifici. In casi determinati e su progetti personalizzati con strumenti formali, le scuole sviluppano laboratori protetti, anche valorizzando esperienze specifiche di volontariato.

b. Il tema della dispersione

I dati Ocse sono impietosi. La “scuola che non lascia indietro nessuno” è una chimera; il sistema scuola è invece sommerso dal grave problema dell’abbandono scolastico. Le Istituzioni che operano nel Sistema di Istruzione ed Educazione rappresentano il luogo principale dell’apprendere: quando non si apprende sui banchi e nelle aule si apprende poco, almeno in Italia. In termini di Neet – tra il 20 e 24 anni nel 2021 – a livello nazionale abbiamo il più alto tasso di giovani che non studiano e non lavorano, insieme alla Turchia e Colombia (dati OCSE). L’analisi delle competenze dei quindicenni ci riporta un quadro preoccupante: in Italia abbiamo disaffezione per la scuola in termini di “assenze” dalle lezioni. Il livello di competenze è basso e gli studenti dicono di non essere felici. L’eroismo dei singoli docenti non compensa la situazione. Abbiamo però un contro valore in tendenza positiva: nelle primarie i risultati vanno meglio (competenza dei testi e competenze matematica) ed è superiore alla media di altri paesi (situazione registrata dal 2007 in poi). Cosa succede in questa situazione valoriale? Succede che le diseguaglianze aumentano e non crescono le competenze tutte nello stesso modo. Ci sono studi che hanno individuato fattori positivi di protezione, utili per compensare le diseguaglianze: tra questi possiamo citare il costruire un “clima” disciplinare buono, dare un senso di appartenenza, garantire azioni di supporto dei docenti e continui feedback dei propri insegnati, costruire reti sicure di intervento per il contrasto ad ogni forma di prevaricazione (bullismo).  La dispersione poi non si ferma sui confini scolastici dell’obbligo perché rappresenta un mancato approdo alle competenze chiave per la costruzione sociale del proprio percorso di vita: è un male trasversale e intergenerazionale. Quali sono le “Competenze Ocse” delle persone adulte? Per esempio, in Italia sono misurate le competenze medie dei laureati? Anche qui il quadro è straordinariamente negativo: siamo collocati nella parte bassa delle tabella OCSE, appena sotto Israele e prima del Cile. Negli adulti si registra poca partecipazione alla formazione continua per migliorare le proprie capacità/competenze. I docenti vogliono fare bene: sono decisi e dediti alla promozione delle competenze; ma questo ethos forte è sterilizzato dai continui task amministrativi richiesti nella nuova scuola pandemica e post pandemica, che producono un aumento dello stress percepito dal personale scolastico.[4] Il “learning loss” è un bene misurato nei dati Invalsi, ora resi noti anche agli interlocutori non istituzionali. Insomma di dati a cui rifarsi nelle riflessioni sui mancati traguardi formativi e l’abbondano ci sono e sappiamo che l’emergenza delle dispersione scolastica non è più una novità; la dispersione è entrata nella fase “endemica” del Sistema Scuola.

c. Il tema delle nuove risorse

Le scuole ora guardano ai fondi PNRR con attenzione, ben sapendo che con le sole risorse economiche e senza il “cuore pedagogico” nulla sarà possibile. L’eredità di Barbiana è oggi attualissima. Il pensiero di Don Milani è l’architrave nella costruzione architettonica della pedagogia del nuovo scenario post pandemico5. La scuola in concerto è un ente pulsante e riflessivo: si pone un problema e lo sa affrontare pragmaticamente, grazie all’aiuto di donne e uomini “visionari del quotidiano” che nell’educazione hanno speso le loro vite. Donne e uomini IN- SEGNATI, essenziali allo sviluppo critico delle azioni quotidiane. Tra queste “visioni del quotidiano” voglio ricordare, primo tra tutti, un lavoro di ampio merito a cui chi scrive ha avuto la fortuna di partecipare e da cui trarre ancora una volta spunto. Si tratta di uno dei tanti e semplici appunti di lavoro, una chek list per comprendere sempre –  ogni giorno e ogni stante di qual giorno –  il “da farsi”.  Ndr. Progetto ON LIFE 6.  Tappe progettuali (dal pensiero iniziale, all’attuazione, alla riprogettazione, svilippo circolare delle osservazioni sulla validità del progetto) – Creazione di un Diario di bordo con focus dettagliati su cui lavorare nei setting educativi specifici -“Svegliamo” il gruppo Antidispersione: il ruolo del dirigente e il ruolo dei docenti e dei consigli di classe (chi a favore, chi contro, chi non si è sentito solo) – Il ruolo dell’esperto? Docente Mentore,  psicologo scolastico, educatori con funzioni di Tutor della persona apprendente- Il ruolo dei collaboratori: educatori “sul pezzo”  -Il ruolo delle famiglie e dei minori: da mettere al centro sempre – Effetto cascata (tra i pari): il principio della mutualità – Il “bisogno adulto” e il  progetto ripensato in itinere con famiglie che possono richiedere finalmente  un aiuto- lavoro su “ascolto” e raccolta dei bisogni: siamo pronti agli help ( no limiti di spazio, no limiti di orario: esserci sempre)- Motto: sei dentro On life, che fortuna!

Dunque è una questione di Ruolo, più che di investimenti economici, e il Ruolo educativo è la vocazione specifica nella civitas scolastica italiana. Qui si gioca il significato forte dell’efficacia degli ambienti di apprendimento nelle strutture autorganizzata delle scuola dell’Autonomia. Non si tratta di step rigidi o di fasi asettiche, si tratta dell’azione educativa “incessante”. Si tratta dell’esserci sempre e comunque, dell’ascolto prudente e costante dell’adulto di riferimento, sia esso docente che educatore.  Nessun ragazzo è perso se c’è un insegnante che crede in lui. E nessun insegnante è perso se c’è una rete di protezione organizzativa e un supporto incessante, atto a sostenere le azionirelazionali quotidiane e le sfide del fare, dell’essere, del sapere, cioè del vivere. Nell’epoca pandemica l’ON LIFE rappresentò l’incessante ascolto, nell’epoca post pandemica l’ON LIFE è – e rimarrà – la pista di lavoro più coerente nel segno delle azioni PNRR. 

d. Il tema del digitale come essenza del Reale. 

Si è aperto da qualche tempo un dibattito sulla Tecnologie che sostengono il mondo del Metaverso, area su cui le scuole già si stanno muovendo, talvolta inconsapevolmente. Prediamo il tema del Social aspects of gaming. E’ un aspetto socio culturale calato nel mondo dei videogiochi che va affrontato e conosciuto nell’ambito dell’educazione formale; l’alternativa è avere un approccio educativo limitato allo spazio fisico e perdere di vista lo spazio virtuale, oggi assai frequentato dalla giovani generazioni. È facile individuare esempi culturali (vedi i musei) intrisi e contaminati dalla cultura sul Metaverso come Realtà virtuale proiettata anche nelle rete e condivisa da numeri imponenti di fruitori. La Commissione europea già nel 2020 – e quindi in piena pandemia – ha tracciato le linee di un approccio sistemico dell’educazione digitale di lungo periodo, attraverso l’implementazione delle competenze digitali dei precedenti due anni. Nel DIGITAL EDUCATION ACTION PLAN si traccia l’importanza del Life Long Learning. Il piano guarda da un lato all’utilizzo delle competenze digitali nel processo di apprendimento come pure allo sviluppo delle stesse. L’impatto del digitale sulla società va ovviamente oltre il livello scolastico. La prima azione della Commissione è collegata all’analisi del dialogo fondativo di tutti gli attori tenuti al governo delle trasformazione digitale. I risultati saranno oggetto di due Raccomandazioni del

Consiglio d’Europa, la prima riguarderà l’utilizzo di tecnologie avanzate in ambito didattico con creazione di ecosistema a livello digitale; la seconda riguarderà l’offerta formativa in ambito digitale. L’invito europeo è quello di lavorare in contemporanea sulle due azioni.  Le prospettive per la scuola italiana sono molteplici: nel settore formale dovranno essere enucleati gli elementi per l’educazione digitale di qualità e inclusiva. Per sviluppare questa azione occorrerà coinvolgere tutti gli stakeholder, garantire la connettività efficace, offrire device per tutti, sviluppare con cura i contenti digitali, formare docenti competenti e “confidenti” nell’ambito delle competenze digitali, garantire monitoraggi contanti delle politiche di educazione digitale. Le Raccomandazioni si innestano su un sistema giuridico stratificato con livelli di responsabilità collegate al sistema di sussidiarietà, perciò occorre una governo di controllo e gestione.[7] La tecnologia non è più un PLUS, ma un requisito fondamentale. Nell’ambito di questo scenario ritroviamo una sorta di neo positivismo digitale che deve essere riletto criticamente sulla base dei limiti normativi imposti dalle normative privacy per esempio, e ben correlato ai limiti creati dai divari di ricchezza, che non consentono l’accesso alla piattaforma tecnologica per tutti. 

e. Il complesso rapporto tra Società e Scuola post pandemica

E’ spesso diffuso, tra gli operatori scolastici, un modello di riflessione autoreferenziale; tuttavia la scuola, di fatto, rivela la crisi della società, e pertanto l’approfondimento sulle nuove emergenze educative deve per forza affiancarsi alle analisi socio-economiche. Secondo i dati CENSIS siamo entrati in un ciclo di rendimento decrescente degli investimenti sociali. La scuola rappresenta potenzialmente un alto fattore di investimento sociale: in passato la scuola forniva un grande rendimento ed era intesa come il cardine per migliorare il proprio tenore di vita. Oggi sappiamo che il rendimento è molto basso, infatti la maggioranza delle persone andranno incontro a opportunità di reddito da lavoro molto limitate. Quali sono le reazioni delle persone a ciò?  Chi oggi ritiene inutile l’investimento nella scuola procede per abbandono.  All’opposto vi è chi continua a stratificare corsi e master di studio fiducioso nel rendimento massivo e per competere per titoli nel mondo del lavoro. Sia il disinvestimento che accanimento per stratificazione stanno producendo un nuovo proletariato cognitivo. Questo aspetto va al di là del mondo “auto consistente” della Scuola.  L’Istituzione scolastica deve tornare ed essere un investimento sociale perché garantisce competenze, prima che titoli: deve dare soddisfazione alla legittime aspettative individuali, oltre che collettive.[8] Vero è che la scuola sta operando fattivamente attraverso micro progetti e macro attività alle nuove competenze finalizzate alla diffusione della cultura della democrazia e del dialogo interculturale. Si tratta di un processo capillare e attuativo, visibile nei vari PTOF scolastici dove è possibile discernere le tracce delle migliori energie finalizzate all’idea di cittadinanza globale, sottesa ai target 4.7 degli obiettivi ONU 2030.

Conclusivamente, l’auspicio è ritrovare fiducia. Ma la fiducia è merce rara sorretta da delicati equilibri, spesso compromessi da sintesi comunicative grossolane e talvolta denigranti. La scuola con i suoi tanti lavoratori non è mai retrocessa e ha sempre accolto ogni tipo di sfida, a seconda delle stagioni sociali e delle epoche economiche. Ecco perché oggi la Scuola si conosce, si ri-conosce e sa ragionare sui suoi limiti e nelle “normale emergenza” Ed infine, non è forse “normale” e, per certi versi, “necessaria” la spina nella rosa?


[1] Da Marco Braghero. La svolta dialogica, ridurre sofferenze inutili per fare crescere speranze ragionevoli e migliorare i processi di apprendimento-insegnamento. Convegno  nazionale PNRR riduzione divari territoriali azione 4, 11 ottobre 2022. Dati tratti https://www.fondazionebrf.org/suicidiosservatoriofondazionebrfdatireport/

[2] Relazione del Miur sull’andamento pandemico a scuola. 

[3] Prevenzione, rilevazione precoce ed attivazione di interventi di primo e secondo livello sociale.regione.emiliaromagna.it. – giugno 2022

[4] In ben 7 regione italiane il 50% degli/delle adolescenti alla fine della scuola superiore non raggiunge le competenze adeguate di italiano (Abruzzo 50,2%, Basilicata 51,4%, Sardegna 52,8%, Sicilia 57,2%, Puglia 59,3%, Calabria 63,5%, Campania 64,2%) Rispetto al periodo pre pandemico il calo di apprendimento è di 9 punti percentuali. Un calo che è più evidente per i minori con background migratorio, residenti nel sud Italia, o con situazioni difficili dal punto di vista economico e sociale da https://www.savethechildren.it/blog-notizie/Italia-facciamo-il-punto-sulla-dispersionescolastica-e-sue-conseguenze

[5] https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=37755

[6] Barbara Bussoli. Educatrice e visionaria dell’Innovazione nell’Emergenza, depositaria di una pluriennnale esperienza maturata nei comportamenti patologici degli adolescenti a rischio. Come Coordinatrice di LIFE è stata autrice del progetto antidispersione ON LIFE. Ha lavorato nel campo delle esperienze formative da sapiente giurista prestata all’educazione: per oltre 25 anni ha sfidato le frontiere più ardue della scuola e ha lascito testimonianze forti di Sapere, Azioni Educative e Relazioni Rigenerative. Nel suo progetto ON LIFE sono state attuate azioni sinergiche di contrasto al ritiro sociale, all’abbandono formale e sostanziale, alla gestione consapevole delle competenze digitali e alla forme di cittadinanza sociale. Tutte queste esperienze sono replicabili e applicabili a contesti disgregati, come anche solo a singoli soggetti con difficoltà transitorie. La sua forte eredità oggi è portata avanti a Castellarano (Reggio Emilia) dai tanti “suoi” ragazzi e ragazze, oggi superbi educatori di Frog

[7] Commissione Europea: pubblicazioni digital literacy e l’uso dell’intelligenza artificiale in comunicazione
https://www.agensir.it/quotidiano/2022/10/25/commissione-ue-linee-guida-etiche-sulluso-dellintelligenza-artificialenelle-scuole/

[8] CENSIS https://www.censis.it/rapporto-annuale