Yokomizo Seishi, Il detective Kindaichi

Seishi, giustizia è fatta

di Antonio Stanca

   Recente è la riedizione del romanzo Il detective Kindaichi dello scrittore giapponese Yokomizo Seishi. L’opera è del 1973 ed ora è comparsa allegata al “Corriere della Sera”. La traduzione è di Francesco Vitucci.

   Nato a Kobe nel 1902 Seishi è morto a Tokyo nel 1981. Si era laureato in Farmacia e dopo incerti tentativi iniziali, intorno agli anni ’30 aveva cominciato a scrivere romanzi. Allora si era trasferito a Tokyo, qui era vissuto durante la seconda guerra mondiale ma soltanto dopo si era fatto conoscere. Giallo era il genere delle sue narrazioni. Avrebbero contribuito a fondare il mistery nipponico, la crime story del suo paese, avrebbero creato e fatta conoscere la figura del detective Kindaichi Kōsuke. Era una combinazione quella che Seishi cercava tra la tradizione nazionale del giallo, atmosfere misteriose, case isolate, ambienti periferici, presenze oscure, e quanto gli giungeva dalla letteratura poliziesca occidentale. Ci sarebbe riuscito, avrebbe avuto successo, molto amato, molto letto sarebbe stato in Giappone e oltre.

Sarebbe risultato tra i fondatori del nuovo romanzo giallo giapponese. Negli anni ’70 va collocata la sua più intensa attività letteraria. Sarà molto tradotto anche se in Italia non sono giunte molte delle sue opere. E’ stata la casa editrice Sellerio ad interessarsi della loro traduzione e pubblicazione.

    Il detective Kindaichi è un esempio tra i migliori della particolare maniera d’intendere il romanzo giallo da parte di Seishi. La periferia stavolta è quella intorno alla prefettura di Okayama; la casa stregata quella molto grande della ricca e potente famiglia degli Ichiyanagi, collocata presso il piccolo villaggio di Yamanodani; gli ambienti misteriosi quelli delle tante stanze che la compongono e della vita segreta che vi avviene; i personaggi sospetti sono alcuni dei figli di quella famiglia; l’evento tragico, orribile è la scoperta dei cadaveri del figlio maggiore Kenzō e della moglie Katsuko avvenuta durante la notte del loro giorno di nozze. Poco dopo anche un fratello di Kenzō, Saburō, sarebbe stato trovato gravemente ferito in quella stessa casa e con la stessa spada usata per i coniugi. Intanto ogni notte nella casa si sente il suono del koto, un antico strumento musicale a corde. Giorni prima dell’orrendo delitto in una vicina locanda un viandante col volto mascherato ed una mano con sole tre dita aveva chiesto della casa degli Ichiyanagi. C’era quanto bastava per rendere il caso carico di misteri, per farlo diventare pauroso per i familiari delle vittime e la gente del posto e dintorni. Le prime indagini della polizia non faranno altro che aumentare i sospetti, le paure. Confonderanno la situazione al punto che uno dei parenti degli Ichiyanagi, venuto da lontano per il matrimonio di Kenzō e amico del detective Kindaichi Kōsuke, penserà di chiamarlo fidando nelle sue qualità e capacità di risolvere casi pur così complicati. Kōsuke verrà e sarà un’altra delle sue presenze nella narrativa di Seishi, un’altra di quelle operazioni che lo renderanno famoso, diffonderanno la sua conoscenza tra il pubblico dei lettori giapponesi e stranieri. Anche in questo caso riuscirà, infatti, a scoprire la verità ma quel che più di tutto lo fa ammirare è il suo modo di essere, di fare. Trasandato nel vestire, noncurante nel portamento a volte balbetta e sempre strano, imprevedibile riesce per chi con lui collabora, sempre poco attento sembra ma sempre capace è di intuire i più riposti pensieri, i più segreti movimenti dei colpevoli. Più che all’esterno è nella sua mente che avviene l’indagine circa il caso da risolvere. Sarà così anche questa volta: non era stato un estraneo ad uccidere i giovani sposi ma Kenzō, aveva ucciso prima la moglie e poi sé stesso con la famosa spada; lo aveva fatto perché lei non era illibata come credeva e lui non avrebbe saputo sottrarsi a tale disonore; aveva architettato, però, un sistema meccanico capace di far apparire il tutto come uno spietato omicidio commesso da altri; da quel sistema, da un suo guasto erano state causate le gravi ferite di Saburō e con esso si era spiegato pure il suono del koto; del viandante, invece, erano servite le particolari impronte della sua mano.

    Lento, calmo come sempre tra tanti misteri aveva proceduto Kindaichi e li aveva chiariti. Si ha l’impressione che nella sua figura l’autore voglia trasferirsi, immedesimarsi tanto bene, tanto vera, tanto naturale riesce a renderla ogni volta. Suo, di Seishi, sembra sia quel bisogno di verità, di giustizia che muove Kindaichi, suo il modo di cercarla.