Quando una persona con disabilità invecchia

Quando una persona con disabilità invecchia
Vita del 04/12/2022

Oggi spesso le persone con disabilità al compimento dei 65 anni vengono “collocate d’ufficio” nei servizi per anziani non autosufficienti: lo schema di disegno di legge delega per la riforma della non autosufficienza finalmente vieta espressamente la cessazione dei sostegni fin lì erogati. Il DDL invece non comprende che l’intervento domiciliare sia per una persona con disabilità che non autosufficiente non è “solo” un problema di integrazione sociosanitaria, ma di attivazione di processi di inclusione sociale. L’analisi di ANFFAS.

ROMA. Lo schema di disegno di legge in materia di politiche in favore delle persone anziane e delle persone anziane non autosufficienti, approvato in extremis dal governo precedente soddisfa, almeno in parte, le rilevanti e giustificate aspettative da parte di cittadini, istituzioni, operatori.

Si entra in una fase nuova e di sistema
La scadenza indicata dal Pnrr per l’approvazione della Legge Delega per gli Anziani Non Autosufficienti (31 marzo 2023) diviene ora, con l’approvazione del DDL in questione, una meta corredata da maggiori elementi di merito. Questo, unitamente alla scadenza indicata dal DDL (31 marzo 2024) per adottare «uno o più decreti legislativi finalizzati a promuovere la dignità e l’autonomia delle persone anziane, l’invecchiamento attivo e la prevenzione della fragilità della persona anziana» apre una fase nuova rispetto alla precedente, che ha visto attivarsi percorsi politici e tecnici (sia a livello istituzionale che sociale) che rimarcavano la necessità di affrontare in termini di sistema il nodo della non autosufficienza. Occorre precisare che lo schema di DDL in realtà affronta in modo più ampio i temi dell’invecchiamento della popolazione, prevedendo politiche e interventi in favore del ruolo attivo della persona anziana nella società, la prevenzione delle condizioni di isolamento e solitudine, la promozione di stili di vita attivi, ecc. Questo contributo si sofferma però sui temi della non autosufficienza.

Da questo punto di vista l’obiettivo di affrontare tali temi in chiave di sistema sembra, potenzialmente, raggiunto. L’art. 4 dispone infatti la costituzione del Sistema Nazionale per la popolazione Anziana non Autosufficiente (SNAA) a cui concorreranno «secondo le rispettive prerogative e competenze… a livello centrale, il CIPA (Comitato Interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana); a livello regionale, gli assessorati regionali competenti, i comuni, e i distretti sanitari di ciascuna regione; a livello locale, l’ATS e il distretto sanitario». L’istituzione dello SNAA per come è stato tratteggiato nel DDL risponde ad una grande esigenza da tempo e da più parti fortemente espressa: garantire un approccio integrato, multifunzionale e di intensità e durata adeguata alle esigenze e ai diritti della persona non autosufficiente, alle necessità e responsabilità dei caregiver e al ruolo degli operatori. 

L’istituzione dello SNAA risponde ad una grande esigenza da tempo e da più parti fortemente espressa: garantire un approccio integrato, multifunzionale e di intensità e durata adeguata alle esigenze e ai diritti della persona non autosufficiente, alle necessità e responsabilità dei caregiver e al ruolo degli operatori. Il fatto che il DDL indichi come necessaria la «partecipazione attiva delle parti sociali e delle associazioni di settore» fa ben sperare che la realizzazione e il funzionamento dello SNAA possa davvero rappresentare l’avvio di politiche mirate e partecipate.
Il fatto che il DDL indichi come necessaria la «partecipazione attiva delle parti sociali e delle associazioni di settore» fa ben sperare che la realizzazione e il funzionamento dello SNAA possa davvero rappresentare l’avvio di politiche mirate e partecipate. Da questo punto di vista il primo banco di prova dell’effettiva volontà di costruire insieme il futuro dello SNAA saranno i pochi mesi (31 marzo 2023) che mancano all’approvazione della Legge Delega indicata dal PNRR. Pochi mesi, ma sufficienti per ulteriormente intervenire sul testo del DDL approvato, tenendo conto delle ampie e dettagliate proposte avanzate dal Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza (in parte riprese nel DDL) e delle altre elaborazioni frutto dei lavori delle commissioni istituite presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministero della Salute.

Lo SNAA è ovviamente costituto da due fattori fondamentali: gli elementi di governance e il repertorio degli interventi. Riconduciamo alla governance anche i temi dell’accesso al sistema e ai passaggi che hanno risvolti anche di natura amministrativa come la valutazione multifunzionale unificata (art. 4 co. 2 lett.i/1) «da effettuarsi secondo criteri standardizzati e omogenei a livello nazionale, finalizzata all’identificazione dei fabbisogni di natura sociale, sociosanitaria e sanitaria della persona anziana e del suo nucleo familiare e all’accertamento delle condizioni per l’accesso alle prestazioni di competenza statale, destinata a sostituire le procedure di accertamento dell’invalidità civile e delle condizioni per l’accesso ai benefici di cui alle leggi 5 febbraio 1992, n. 104, e 11 febbraio 1980, n. 18».

Persone con disabilità pregresse
Il DDL affronta, a nostro avviso positivamente, un nodo di fondo che riguarda le persone con disabilità che divengono anziane e/o la cui condizione di disabilità involve anche in condizione di non autosufficienza. Prima di analizzare i passaggi che il DDL dedica alle persone con disabilità occorrono poche parole per sintetizzare “dove siamo”. Pur con modalità e atteggiamenti diversi è frequente, per non dire sistematico, che nel momento in cui la persona con disabilità diviene anziana (cioè, come dice il DDL, al compimento del 65° anno di età) le prassi in uso nel sistema dei servizi alla persona (regolate quindi da norme statali, ma soprattutto regionali) attivano la cessazione dei sostegni sin lì erogati per passare nel contesto dei sostegni/servizi rivolti alle persone anziane. Una situazione che si verifica in particolare modo per le persone con disabilità che vivono in strutture comunitarie sociosanitarie o socioassistenziali e che vedono interrompersi quella condizione di vita per essere “trasferiti” in strutture che accolgono persone anziane (in sostanza le Rsa).

Tralasciamo in questa sede il dibattito giustamente apertosi sulla corrispondenza tra servizi residenziali (nelle diverse tipologie e modalità di funzionamento) e quanto disposto dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, corrispondenza che doverosamente la Legge n. 227/2021 affronta indicando come la persona con disabilità abbia il diritto, nell’ambito del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato (art. 2 co. 2 lett.c) di avere la possibilità di scegliere (art. 2 co. 2 lett.c punto 4) «in assenza di discriminazioni, il proprio luogo di residenza e un’adeguata soluzione abitativa, anche promuovendo il diritto alla domiciliarita’ delle cure e dei sostegni socio-assistenziali» oltre a disporre che «possano essere individuati sostegni e servizi per l’abitare in autonomia e modelli di assistenza personale autogestita che supportino la vita indipendente delle persone con disabilità in età adulta, favorendone la deistituzionalizzazione e prevenendone l’istituzionalizzazione, come previsto dall’articolo 8 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e dall’articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, anche mediante l’attuazione coordinata dei progetti delle missioni 5 e 6 del PNRR e attraverso le misure previste dalla legge 22 giugno 2016, n. 112» (art. 2 co.2 lett.c punto 12).

Tornando a quanto accade nei territori va sottolineato come le prassi di “trasferimento” in servizi rivolti a persone anziane si attivano, generalmente, non a seguito di valutazioni di adeguatezza del servizio sin lì fruito in relazione alla qualità di vita della persona, né, tantomeno, a seguito della raccolta delle sue aspettative o dei suoi desideri. Le motivazioni risiedono sul piano economico laddove i costi delle strutture e servizi per persone anziane (p.e. Rsa) abbiano costi inferiori a quelli delle strutture rivolte a persone con disabilità. E ciò in evidente disprezzo sia della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità oltre che dei numerosi pronunciamenti giurisprudenziali, anche della Corte Costituzionale.

Il DDL dispone «espresso divieto di dimissione o di esclusione dai pregressi servizi al superamento del suddetto o di altro limite di età». Oggi infatti le prassi di “trasferimento” in servizi rivolti a persone anziane si attivano non a seguito di valutazioni di adeguatezza del servizio sin lì fruito in relazione alla qualità di vita della persona, né a seguito della raccolta delle sue aspettative o dei suoi desideri. Le motivazioni risiedono sul piano economico
Il DDL interviene su questo aspetto, anche su esplicite proposte e sollecitazioni avanzate dal Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, disponendo «espresso divieto di dimissione o di esclusione dai pregressi servizi al superamento del suddetto o di altro limite di età», e questo in ragione che il DDL comprende tra i suoi principi e criteri direttivi generali (art. 2) il «riconoscimento degli specifici fabbisogni di assistenza delle persone anziane con pregresse condizioni di disabilità, al fine di promuoverne l’inclusione sociale e la partecipazione attiva alla comunità, assicurando loro i livelli di qualità di vita raggiunti e la continuità con i percorsi assistenziali già in atto». In forza di ciò il DDL dispone (art. 4 co.2 lett. q/2) il diritto di «accedere, su richiesta, agli interventi e alle prestazioni specificamente previste per le persone anziane e delle persone anziane non autosufficienti, in coerenza con il PAI, senza necessità di richiedere l’attivazione di un nuovo percorso di accertamento della non autosufficienza e, se già esistente, della valutazione multidimensionale e del progetto individuale previsti dalla legge 30 dicembre 2021, n. 227».

Insufficienti raccordi con la L. 227/2021
Fin qui, gli aspetti positivi che riguardano le persone con disabilità che divengono anziane e/o non autosufficienti. Rileviamo però un limite generale nello schema di DDL che non prevede, come sarebbe naturale e dovuto, gli opportuni raccordi con la Legge Delega in materia di disabilità e i suoi provvedimenti attuativi. La formulazione qui riportata che prende in considerazione la specificità delle persone con disabilità pregresse appare condivisibile, ma necessita senz’altro di ulteriori puntali raccordi con la L. 227/2021, soprattutto in sede di definizione dei decreti legislativi di questa riforma che avrà un impianto operativo successivo (31 marzo 2024), almeno stando alle scadenze esposte, rispetto a quello dei decreti legislativi attuativi della riforma “disabilità” (agosto 2023).

Anzi, non solo con la L. 227/2021. In riferimento, per esempio, agli interventi abitativi, la formulazione del DDL (art. 3 co.2 lett. a/6 – art. 4 co.2 lett. o) appare oggettivamente scarna, a differenza, come qui riportato, degli scenari ampi tratteggiati dalla L. 227/2021 che giustamente fa riferimento sia alla L. 104/1992 che, soprattutto, alla L. 112/2016 e all’attuazione del PNRR laddove si sono stanziate risorse per percorsi di autonomia, anche abitativa, in favore di persone con disabilità.

E ancora:
• laddove il DDL indica come uno dei compiti assegnati ai decreti legislativi sarà l’adozione di una definizione di popolazione anziana non autosufficiente (art. 4 co.2 lett.a) che tenga conto, oltre che dell’età anagrafica e delle condizioni di fragilità anche dell’eventuale condizione di disabilità pregresse, non si fa cenno né alla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (definizione di disabilità – art. art. 1 co.2) né ai numerosi passaggi che la L .227/2021 vi dedica;
• laddove nel DDL si parla del Progetto Assistenziale Individuale (PAI – art. 4 co.2 lett.i/2 – lett. q/2) si dovrebbe fare espressamente cenno alla necessità che il PAI, nel caso di persona con disabilità, sia “gerarchicamente” sottostante al progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato indicato dalla L. 227/2021;
• laddove si parla della valutazione multidimensionale da svolgersi presso i PUA (art. 4 co.2 lett. i/2) si fa un generico riferimento alla partecipazione della persona destinataria, quando invece il tema del coinvolgimento attivo della persona con disabilità nella definizione del proprio progetto di vita è un aspetto centrale nell’approccio alla disabilità basato sui diritti umani e per il rispetto del principio costituzionale della dignità individuale e sociale e che la L. 227/2021 ben assume e comprende nelle finalità dei decreti attuativi (art. 2 co. 2 lett.c/5).

Positivo e negativo
In positivo il DDL introduce una esplicita e fondamentale finalità e operatività laddove si affronta il tema della domiciliarità (art. 4 co.2 lett.m): ADI e SAD dovranno unificarsi in un servizio di Assistenza Domiciliare Integrata Sociosanitaria e Sociale (ADISS) finalizzato a «garantire un’offerta integrata di assistenza sanitaria, sociale e sociosanitaria, secondo un approccio basato sulla presa in carico di carattere continuativo e multidimensionale». Nulla da dire in tal senso, anche in considerazione che l’obiettivo dell’integrazione tra sociale e sanitario rimane da decenni il “protagonista” indiscusso delle pianificazioni e delle programmazioni nazionali e regionali.

Se sui temi della governance il DDL appare convincente (introduzione del SNAA, integrazione tra Ambiti Sociali Territoriali e Distretti sanitari, introduzione di una unica e nuova valutazione nazionale sulla condizione degli anziani) molto meno lo è sul piano della definizione degli interventi e sul nodo decisivo delle risorse aggiuntive che tali interventi richiedono, oltre, come già detto, alla mancata esplicita e chiara revisione dei LEA e dei LEPS in ragione delle finalità della Riforma.
In negativo rileviamo che il DDL non comprende che l’intervento domiciliare per una persona con disabilità e/o non autosufficiente non è “solo” un problema di integrazione sociosanitaria, ma è, sempre in relazione all’attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, un problema di attivazione di processi di inclusione sociale, che significa agire sui contesti di vita e non solo sui bisogni assistenziali, perché questo è quello che indica come terreno di lavoro la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, né tantomeno può rappresentare la prospettiva di vita per le persone anziane non autosufficienti.

Nei passaggi successivi (art. 4 co.2 lett. m/ 3) si indica, altrettanto positivamente, che «l’offerta di prestazioni di assistenza e cura di durata e intensità adeguati, come determinati sulla base dei bisogni e delle capacità della persona anziana non autosufficiente». Il testo sembra indicare con sufficiente chiarezza che a determinare durata e intensità siano i bisogni e le capacità della persona, e non altri criteri (p.e. la disponibilità di risorse).

Immaginando però che tali interventi rientrino nei LEPS (oltre che essere già presenti nei LEA art. 22 DPCM 12.01.2017) occorre inevitabilmente chiedersi se, pur in presenza di positivi risultati derivanti dall’integrazione e dalla razionalizzazione dell’offerta vigente (ASL e Comuni), le risorse che il DDL mette a disposizione siano adeguate; un aspetto sul quale già il Forum Nazionale del Terzo Settore, le Federazioni delle Persone con disabilità, e non solo, hanno espresso precise valutazioni negative. In generale il tema delle risorse necessarie a garantire i livelli essenziali delle prestazioni sociali non appare adeguatamente affrontato in questo DDL, così come assente, se non con un generico richiamo ad una “armonizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEPS) rivolti alle persone anziane non autosufficienti e dei relativi obiettivi di servizio, con i livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA)” è il tema del raccordo ed eventuale rivisitazione dei LEA.

Se sui temi della governance il DDL appare convincente (introduzione del SNAA, integrazione tra Ambiti Sociali Territoriali e Distretti sanitari, introduzione di una unica e nuova valutazione nazionale sulla condizione degli anziani) molto meno lo è sul piano della definizione degli interventi e sul nodo decisivo delle risorse aggiuntive che tali interventi richiedono, oltre, come già detto, alla mancata esplicita e chiara revisione dei LEA e dei LEPS in ragione delle finalità della Riforma.

Occorre infine rilevare anche che tra i decreti legislativi da adottare viene anche prevista «l’introduzione su base volontaria in via progressiva e sperimentale di un’indennità unica universale volta ad equilibrare il sistema degli interventi tra erogazioni monetarie e offerta di servizi, ferma restando la disciplina attuale dell’indennità di accompagnamento, nonché la promozione del riordino e la semplificazione delle agevolazioni contributive al fine di sostenere e promuovere l’occupazione di qualità nel settore dei servizi socio-assistenziali e le misure finalizzate a favorire e sostenere le migliori condizioni di vita individuali dei caregiver familiari» (comunicato MLPS 10.10.2022).

Riguardo all’indennità unica universale ci limitiamo qui a sottolineare che l’elemento della volontarietà è a nostro avviso necessario per tutelare al meglio le condizioni di chi, come le persone con disabilità, è maggiormente esposte a rischi di impoverimento, una condizione che riguarda anche le famiglie con disabilità che sostengono costi maggiori rispetto alle famiglie senza disabilità (p.e. per spese mediche, acquisto di farmaci, accesso a servizi a pagamento, spese odontoiatriche, ecc). Una misura di cautela e salvaguardia che si accompagna, a nostro avviso, con la necessità che il valore economico dell’attuale indennità sia da considerare un valore minimo garantito.

Riguardo invece alle azioni, anch’esse da inquadrare nell’ambito dello SNAA, per sostenere e tutelare il ruolo dei caregiver familiari, riteniamo sia necessario collegare quanto positivamente il DDL prevede ad un ampio e organico panorama di servizi e prestazioni in favore di questo segmento di società, anche per colmare le lacune del nostro sistema di welfare evidenziate nel recente intervento del Comitato Internazionale di Monitoraggio previsto dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

di Marco Faini,
consulente Anffas Nazionale