P. Roversi, Addicted

Roversi, un altro noir

di Antonio Stanca

   È nato in Svizzera nel 1975 da genitori mantovani, si chiama Paolo Roversi, vive a Milano, è laureato in Storia contemporanea, è studioso di Charles Bukowski, al quale ha dedicato tre opere, è autore di un libro-guida su Mantova e di uno su Milano, ha scritto per la televisione, ha fondato e diretto rassegne dedicate al romanzo giallo, collabora con giornali e riviste, è uno scrittore, esponente del noir metropolitano. Non è il solo caso, non soltanto il Roversi a quarantasette anni è riuscito a fare tanto ma anche altri, molti altri e non solo in Italia. Essere scrittori, giornalisti e altro è diventato oggi il nuovo modo di essere autori, fare gli intellettuali impegnati in molti sensi è ormai il nuovo modello. Riguardo ai risultati non si può dire che questi esperimenti riescano sempre ché non è facile stare tra generi diversi, muoversi tra scritture diverse.

È un problema quello dell’autore variamente composito, lo si è discusso a lungo rimanendo divisi tra chi accetta e chi rifiuta la nuova figura.

    Roversi è una di queste e si può dire che sia più riuscita di altre. Nonostante i vari impegni è capace di concepire, nella narrativa, storie articolate, creare personaggi insoliti, procedere sicuro. Fa parte della corrente del noir metropolitano, del giallo ambientato nelle città. Con Addicted, però, romanzo del 2018 ora uscito in un’edizione speciale allegata al Corriere dello Sport-Stadio e Tuttosport, l’ambiente è quello della campagna pugliese e di una clinica per la cura delle malattie nervose situata in una zona dalla ricca vegetazione e dalle ampie distese di prati. La clinica si chiama Sunrise, il proprietario è Ivanov, un ricchissimo e potente capitalista russo, i ricoverati sono sette, quattro donne e tre uomini, sono di età diversa, ognuno ha un problema psicologico, un’ossessione, una dipendenza, una mania, un’addicted. Sono i primi degenti e sono curati gratuitamente, la dottoressa Stark e l’infermiere Dennis badano alle loro condizioni e a risolvere i loro problemi, Klaus è l’inserviente tuttofare.

    Ivanov ha fatto una gran pubblicità alla sua clinica, gli ammalati sono venuti da diverse parti perché lontano è giunto il nome della Sunrise e sicura è la guarigione promessa a quanti l’avessero scelta. Il metodo seguito dalla dottoressa è semplice, non consiste nell’assunzione di farmaci ma nel far acquisire agli ammalati la volontà di ridurre fino a cancellare i pensieri che disturbano la loro mente. Per questo la vita in gruppo, la formazione di comunità, la distribuzione dei compiti, l’assunzione di nuovi programmi, dovrebbero risultare dei mezzi efficaci.

    Si procede così e già s’intravedono i primi buoni risultati quando all’improvviso compaiono dei grossi problemi: sistematicamente, periodicamente vengono trovati morti, uccisi, quei ricoverati che tanto avevano creduto nei metodi della clinica. La strage continua finché tutti saranno eliminati e finché non si scoprirà che era stato il ricco Ivanov ad averla voluta per soddisfare istinti, perversioni delle quali aveva sofferto e non era mai guarito. Era stato lui a combinare, ordire, fare in modo che succedesse tutto questo. Altre gravi verità si scopriranno e in un vero e proprio racconto dell’orrore si trasformerà il romanzo. Inverosimile sembrerà la sua conclusione rispetto a quanto, all’inizio, aveva fatto pensare.

     Roversi lo ha costruito, lo ha scritto bene, ha saputo coinvolgere il lettore in una serie di situazioni sempre più sorprendenti. Da osservare ci sarebbero i rapidi passaggi tra eventi completamente diversi, la poca attenzione quando si cambia argomento, si passa ad altro. Una svista da attribuire alla maniera propria di chi scrittore vuol essere oltre che giornalista?