Toh, i pendolari

Toh, i pendolari

di Francesco Scoppetta

La mia tesi, ormai risalente all’altro secolo, la posso riassumere così: la scuola vera italiana non viene mai raccontata. Sui perché si può aprire un ampio dibattito. Il mio testo di riferimento è del 1996, è di Rosario Drago e si intitola “Manuale di disobbedienza compatibile” (Erickson). “Ormai sono venuti meno i confini tra realtà e reality ed è come se vivessimo nei regimi ad economia socialista, quando lo stakanovismo di qualche volontario nascondeva la situazione normale della sottoccupazione e dell’improduttività”. In questa affermazione di Drago io trovavo e trovo una prima spiegazione. Vorrei aggiungere: «Non siamo ciò che fingiamo di essere, perciò dovremmo fare attenzione a chi fingiamo di essere» (Kurt Vonnegut).

Essendo calabrese, ed essendo le Calabrie territori che spaziano dal mare alla montagna passando per un Appenino molto simile a quello ligure con zone interne spesso raggiungibili solo con mezzi privati, il pendolarismo fa parte del cursus honorum di qualsiasi docente calabrese. L’avvicinamento a casa rappresenta da sempre la meta del supplente calabrese costretto a cominciare la carriera in posti sperduti e dimenticati da Dio. Un destino comune per tutti i lavoratori della scuola calabrese, una parte dei quali ha pensato bene perciò di cominciare a insegnare nel Nord dove c’è stato sempre posto per bidelli, assistenti e docenti di origine meridionale. E ci sono mezzi di trasporto pubblici.

Abbiamo sempre guardato con meraviglia i film americani con quelle famiglie che caricano l’auto e si trasferiscono in un altra città dopo aver venduto la casa e acquistata la nuova attraverso un agente immobiliare. Da oltre un secolo negli Usa si utilizzano i Multiple Listing Service (Mls), vale a dire liste in cui gli agenti immobiliari (Realtors, in inglese) di tutto il paese inseriscono gli immobili da vendere o dare in affitto disponibili su quasi tutto il territorio nazionale. Da noi non solo il mercato immobiliare è frammentato ma soprattutto il costo della vita è così diverso tra Nord e Sud da giustificare l’andata e ritorno del personale scolastico. Si ottiene il posto a t.i. al Nord e poi tornando giù si vive meglio con quello stipendio misero. La nostra questione salariale nella scuola rappresenta un problema irrisolvibile perchèdue coniugi che insegnano a Bordighera sono poveri mentre una coppia di insegnanti a Vibo Valentia sono ceto medio (se poi uno dei due è impiegato di banca la famiglia sta bene).

Agli inizi del 2023 la stampa ha scoperto una storia di pendolarismo scolastico da trattare e, appurato che fa notizia solo l’uomo che morde il cane e non viceversa, mette in pagina la storia della bidella Giuseppina Giuliano.

(Repubblica, 18/1/23) Ogni giorno in treno da Napoli a Milano e ritorno. Giuseppina Giuliano, la bidella pendolare: “Affitti troppo cari, così risparmio”

Ha 29 anni ed è stata assunta in un liceo milanese, dove lavora dal lunedì al sabato dalle 10,30 alle 17. Così prende il treno ogni mattina alle 5 e torna a casa alle 23,30: “Con il mio stipendio mi conviene il treno, una stanza non costa meno di 650 euro“.

Sulla storia si apre un dibattito nazionale, che poi però si concentra soprattutto sulla possibilità di viaggiare da Napoli a Milano con sole 400 euro mensili. Che sia una bufala? si chiedono i soliti “amenonladateabere”. Ma il pendolarismo, sull’intero territorio nazionale, ecco il punto, fa parte integrante, come detto, dello status dell’insegnante. E’ un pegno da pagare, un tirocinio obbligatorio, il nonnismo subìto dalle reclute, l’apprendistato dei camerieri, le forche caudine che subirono i romani ad opera dei Sanniti di Gaio Ponzio. E’ un argomento che di tanto in tanto fa capolino. 

Sveglia alle quattro, l’odissea degli insegnanti pendolari (Il Messaggero, Laura Alteri, 23/10/22). Sono tantissimi gli insegnanti che vivono una quotidiana odissea per raggiungere la scuola dove prestano servizio, a centinaia di chilometri da casa.
Anche ad Aprilia molte maestre arrivano soprattutto dal sud pontino, Lenola, Minturno, Formia e dalla Campania e ogni giorno devono fare tre o quattro ore di viaggio in treno. «La mattina prendo il treno della linea Roma-Formia, salgo da Fondi alle 5.40 per raggiungere la stazione di Campoleone e poi da lì quella di Aprilia», spiega Nancy, insegnante di sostegno presso una scuola primaria di Aprilia. «Faccio circa tre ore di viaggio, con un cambio di treno all’andata e due ore di viaggio al ritorno. Sono più sui mezzi che a scuola».
Un’odissea peggiorata dai tanti disagi del trasporto pubblico: corse soppresse per guasti sulla linea, treni fermi per incidenti o incendi, ritardi accumulati. «L’altro giorno sono tornata a casa tardissimo perché sul treno c’era un ubriaco che non voleva scendere», racconta Nancy. «Quando arrivo a Campoleone poi non trovo mai la coincidenza e devo aspettare mezz’ora il treno che mi porta ad Aprilia. L’unico bus che parte dalla stazione non va bene per noi perché dobbiamo stare a scuola alle 8.30», spiega invece Annalisa, insegnante in una scuola dell’infanzia, che viene da Minturno.

Di tanto in tanto, quindi, la stampa si occupa dei pendolari, e scrivere un articolo è pure facile, basta recarsi in una qualsiasi stazione ferroviaria e individuare i docenti o i bidelli in partenza. Non a caso, l’articolo più interessante e bello lo ha scritto un docente che è anche scrittore, Marco Lodoli. “Avanti e indietro in treno, dalla notte alla notte, la giornata di Pasquale che lavora nella scuola” (10/11/2021 Il Foglio). “La vita di Pasquale e di migliaia di lavoratori della scuola ormai è questa. Avanti e indietro su un treno, dalla notte alla notte. Il suo stipendio non arriva a 1.200 euro, e di questi soldi almeno 250 se ne vanno per i biglietti dei treni, degli autobus, della metro. “Con il Frecciarossa farei molto prima, ma costa troppo”. Viaggia, lavora e non protesta, Pasquale, anzi è contento perché la nostra scuola gli piace, c’è un ambiente sereno. Prima ha lavorato per tre anni in un liceo a Modena, mi racconta che lì era più dura, non si era trovato bene. In tanti fanno la vita di Pasquale, molti insegnanti di sostegno della mia scuola partono insieme a lui. Sono giovani e forti, hanno energia e coraggio, resistono. E di nuovo penso che io forse non ce l’avrei fatta, che mi sarei perso tra i binari, la fine della notte e le prime luci dell’alba. Guardo Pasquale, lo ammiro, da lui imparo tante cose, anche se non saprei dire di preciso cosa. Forse che la vita non è quella che ci raccontano in televisione, è molto peggio, è molto meglio“.

Ecco, forse la vita non è quella che ci raccontano. Il racconto sulla scuola italiana, zeppo di fumisterie giuridiche, di buoni propositi dei ministri che si avvicendano, di sperimentazioni avanguardistiche, di sigle incomprensibili ai non addetti ai lavori (apro un sito web di un IIS di Chioggia e trovo: PTOF, PI/PAI, RAV, RS e PDM, PNSD) procede spedito. Ma sotto il vestito, fuori dalla propaganda, dal supermercato pieno di Open day e dal Progettificio Continuo, la scuola vissuta è altro. Di tanto in tanto si apre uno spiraglio, poi si richiude e si torna a raccontare un’altra scuola che non ha niente a che fare e a che vedere con la scuola vera.

Quella scuola vera che la famiglia finlandese Mattsson ha criticato pochi giorni fa a Siracusa. Basta leggere le reazioni che ha provocato la temeraria signora Eline – quelli che dovevano reagire lo hanno fatto prontamente – per trasmettere a futura memoria la foto di quello che siamo. Non bisogna infatti dimenticare che la critica viene da una donna proveniente dal paese il cui sistema scolastico è stato riconosciuto come il migliore al mondo. Perché allora non provare a imparare qualcosa?

Per riflesso condizionato a me torna in mente sempre Alberto Arbasino che invitava gli italiani alla famosa gita a Chiasso. A mettere il naso un pò fuori casa, per evitare sempre di rimirarsi l’ombelico. Solo che è passato troppo tempo dagli anni sessanta, quando Arbasino lamentava che la vita intellettuale e culturale del nostro Paese fosse provinciale e marginale, che i valori identitari fossero calpestati o ridicolizzati, che bastasse uscire dai nostri confini per rendersene conto. 

La ministra finlandese dell’Istruzione Li Sigrid Andersson ha detto:
“Il nostro è un sistema che abbiamo costruito negli anni. Un secolo fa eravamo poveri, ora siamo all’avanguardia. Costruiamo la società del futuro partendo dalla base, cioè dall’istruzione e lo facciamo anche investendo molto sugli insegnanti. Sono preparati, competenti, hanno un buono stipendio e vengono rispettati per il ruolo che svolgono”. Certo, là si diventa insegnanti dopo una selezione durissima, ecco spiegato il ruolo sociale e gli stipendi alti. 

Una volta un giornalista Rai andò a fare un reportage in una scuola finlandese e un preside dopo avergli illustrato le attività e mostrato gli ambienti, gli presentò gli insegnanti. Alla fine disse: “Eccoli, sono orgoglioso di loro, sono i migliori”. Il giornalista (la trasmissione era Report) gli fece: “Lei è allora un preside fortunato”. Il preside lo guardò e replicò: ” Fortunato? Non sa che sforzo ho dovuto fare per sceglierli uno ad uno, quanto impegno mi ci è voluto”. Il giornalista, convinto che tutti copiano da noi, con graduatorie e punteggi di anzianità, rimase come si usa dire basito.